Umberta Telfener

La danza narcisa

Una modalità disfunzionale dello stare insieme si ha quando uno o entrambi i partner sono incapaci di mettersi nei panni dell’altro e assolutizzano la propria posizione.

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«Carismatico, eloquente, un encantador, “il mio principe azzurro”. La persona narcisa si mostra brillante, ama salire in cattedra e venir ascoltata, è divertente, spesso trasgressiva, mai banale. Ha bisogno di essere al centro dell’attenzione, cerca emozioni forti di cui ha assoluta necessità». Questo scrivevo nella prima pagina del mio libro Ho sposato un narciso, uscito nel 2006. Mi riferivo soprattutto agli uomini narcisisti, quando ormai è diventato d’obbligo applicare questa descrizione sia a uomini che a donne, perché il narcisismo – che nell’Ottocento e nei primi del Novecento era un tratto di personalità di chi se lo poteva socialmente permettere – è diventato una caratteristica comune. È un disturbo di personalità all’interno di una società che Lash (1979) ha definito «cultura del narcisismo», caratterizzata da edonismo, autoreferenzialità ed egoismo. Troviamo sia uomini che donne, anche giovani adulti, che funzionano molto bene nella vita di tutti i giorni – simpatici, stimolanti e pieni di energia – ma che possono ridursi a uno straccio nelle situazioni amorose, in cui mettono alla prova, squalificano, scompaiono, pretendono, tradiscono e si comportano in maniera egoista, incapaci di mettersi nei panni dell’altro/a.

 

IL NARCISISMO IN LETTERATURA
Il narcisismo in letteratura è caratterizzato da:
- il tema della stima e del valore personale: iper-valutazione e idealizzazione di sé, accompagnate da un senso precario e fragile di coesione;
- un’esagerata sensibilità e vulnerabilità nella sfera relazionale: mancanza di empatia nelle relazioni, contro-dipendenza;
- aspetti distruttivi, autolesivi; 
- emozioni di frammentazione, vergogna, terrore primordiale, esclusione dal gruppo, diversità primaria, anche rabbia e vendicatività se non si è confermati dagli altri;
naturalezza con cui si confermano le idee su di sé e sul mondo in modo autoreferenziale.

ASPETTI RELAZIONALI

- Immagine di sé come autarchici, auto-conclusi, da cui la sospettosità verso l’altro, che è contemporaneamente importante e svalutato;
- bisogno degli altri come conferma;
- amore idealizzato e fusivo, meraviglioso e al contempo pauroso;
- partner amato come limite;
- proiezione dei propri stati d’animo sull’altro, a seguito della difficoltà a comprendere la mente propria e quella altrui;
- attaccamento evitante;
aspetti valoriali basati sul dovere e non sul desiderio.

ANTONIO

Antonio è un giovane uomo di 35 anni, ha avuto più storie in cui è rimasto poco coinvolto e che sono andate in un modo che lui stesso definisce «normale». Ora si è «veramente innamorato» e sono cominciate le preoccupazioni e la sofferenza: sente la compagna come minacciosa, ha inspiegabili ansie, teme di venire incastrato e contemporaneamente abbandonato. Si sente debole, e questo non gli piace affatto. Ha voglia di incontrarla, ma si trova a sabotare ogni programma che fa con lei, «senza comprendersi più». È diventato inaffidabile, cerca di litigare, cerca scuse per non raggiungerla, attacca briga, guarda le altre mentre è con lei, fa costanti paragoni e vorrebbe delle conferme, ma si sente debole se le chiede esplicitamente. Si allontana, sparisce, non spiega il proprio comportamento e si rassicura se la donna risponde mostrando un attaccamento ansioso, ancora più se soffre per lui. Se la donna si tormenta, secondo lui gli dimostra che è affezionata e, se è affezionata, probabilmente non lo lascerà. Se l’altro mostra segni di dipendenza, Antonio può evitare di provarli a sua volta e può permettersi di esplorare altrove, sentendosi rassicurato.

Interessante come una persona che funzionava “normalmente” si trovi a entrare in un mondo pieno di paure e ambivalenze nel momento in cui scatta l’attaccamento. La clinica ipotizza che i narcisisti funzionano bene quando entrano in relazioni poco coinvolgenti e che sono abitati da grandi paranoie e paure quando si innamorano. L’ipotesi è che siano stati abbandonati da chi si occupava di loro in maniera brusca e inspiegabile, quando erano molto piccoli. Ciò fa sì che non vogliano subire di nuovo questo dolore e che vedano con sospetto una relazione coinvolgente: sono certi che saranno abbandonati e che soffriranno di nuovo e hanno paura della propria dipendenza dal partner.

Nelle storie ordinarie in cui non si mettono in gioco non si scatena l’imprinting del dolore che hanno avvertito al primo abbandono. Se un/a partner è “perfetto” per loro – forte al punto giusto, interessante, socialmente competente – va visto con sospetto, va tenuto alla larga, controllato, ridimensionato, in modo che non diventi potente come la mamma che tanto li ha fatti soffrire. Come si reagisce a questo terrore di farsi male? La bigamia è la più facile delle strategie: il tradimento aiuta; anche sparire e riapparire può funzionare; oppure è utile ridimensionare la storia negandole peso o squalificandola. 

Se un/una narcisa sceglie un partner non minaccioso sarà tranquillo per un certo tempo, ma presto si annoierà e tenderà a cambiare. Se invece sceglie una persona che gli/le tiene testa, sarà inizialmente il/la compagno/a ideale: sarà stimolante, meraviglioso, attento, perché desidera che l’altro/a l’apprezzi e la/o “comperi” emotivamente. Di colpo, quando sentirà di aver raggiunto l’obiettivo, potrà trasformarsi in una persona distratta, priva di energia, poco stimolante, maleducata o insensibile, poiché sentirà di doversi difendere. Difendersi, beninteso, da niente di reale, solo da fantasie e presupposti scarsamente plausibili, dall’idea irrazionale che l’altro inevitabilmente è pericoloso e provoca dolore. Alcune persone mi hanno raccontato che già nel viaggio di nozze il/la partner ha subìto una mutazione ed è diventato un altra, addirittura di ritorno dalla cena di matrimonio, oppure alla nascita del primo figlio: da corteggiatore attento, il partner si trasforma in personaggio depresso e “sdraiato”, passivo aggressivo.

NARCISISTI GRANDIOSI E DELUSIVI

La psicologia ingenua propone che i narcisisti siano degli esteti, curati all’esagerazione, attenti al loro look e a quello di chi sta loro intorno, circondati da specchi. Niente di più falso. La letteratura e l’esperienza clinica suddividono i narcisisti patologici in 2 categorie ben distinte: i grandiosi e i delusivi. I grandiosi – overt, sintonici – usano gli altri per accrescere il senso di sé, si dimostrano ottimi amici, adattabili, eleganti, si circondano di cose belle e costose e hanno bisogno di essere ammirati; curano il proprio status, i propri interessi, non evitano esperienze arricchenti e sembrano prendere a piene mani dalla vita. Possono essere dei partner di soddisfazione, a patto che li si rinforzi senza mai sfidarli e che si sia pronti a seguirli rispettando sempre i loro desideri. I delusivi – covert, distruttivi – sono invece più problematici e più dipendenti dal campo. Oscillano tra stati di grandiosità e momenti di svalutazione di sé e del mondo, e vivono faticosamente il quotidiano, covando una solitudine endemica. Pericolosi, pessimisti, umorali, sono autodistruttivi e vivono di rimpianti. Essendo convinti di essere poco amabili, si difendono in maniera estrema, rimangono comunque affascinanti per il gioco che instaurano, per la capacità che hanno di far sentire l’altro a volte sull’altare, a volte nella polvere. Perché è dall’altro che succhiano la propria energia vitale, senza mai ringraziare. 

Ho parlato del fatto che i narcisisti hanno una marcia in più, hanno un Io grandioso che li organizza, funzionano bene nei momenti di crisi, soprattutto se fuori dalla routine, hanno un assoluto bisogno di piacere e sono mossi in primis dal senso del dovere, incapaci di decodificare il proprio desiderio. Potremmo paragonarli a degli armadilli, fragili dentro ma con una corazza molto forte: per i grandiosi questa corazza è la magnificenza di cui si circondano, per i delusivi è l’isolamento a discapito degli altri, per tutti e due è la capacità di sedurre e il bisogno di ricevere conferme. 

Non possiamo non accennare al “buco nero” in cui a tratti cadono, uno stato pervasivo di mancanza di energie che può essere scambiato per depressione, nel quale cercano l’isolamento come cura. Raccontano di una sensazione di angoscia in mezzo al petto che li fa sprofondare molto in basso a seguito di momenti di noia, per mancanza di stimoli e ogni volta che aprono alla propria insicurezza. Sono infatti abitati da una premessa irrazionale e “sbagliata” che li fa sentire terrorizzati e schiacciati dal mondo, quella di essere deboli, un bluff, malgrado i successi.

Mara è una donna di 45 anni che ha due figlie femmine, 12 e 14 anni. Pretende molto da loro, le considera principalmente quando si comportano come lei desidera, altrimenti tende a relegarle in una posizione periferica. Parla di sé, si immagina che la possano consolare e che debbano aiutarla e darle forza. Si confida con loro, vorrebbe che loro gioissero dei suoi successi e scomparissero quando non sente di avere sufficiente energia. Loro sanno tutto di lei, lei si permette di dimenticare e non ascoltare abbastanza. Quando una delle figlie sta male e ha bisogno di aiuto, Mara si angoscia ancor più della diretta interessata, tanto che a quest’ultima conviene non farsi vedere e non chiedere aiuto alla madre. Oppure Mara nega il problema e passa oltre, totalmente concentrata su di sé. Se le si chiede che tipo di madre è, risponderà che è attenta e molto partecipe, che condivide tanto con le figlie e le aiuta in termini sostanziali.

AUTOREFERENZIALITÀ

Sono comunque i partner i principali capri espiatori dei narcisisti – siano essi compagni, genitori o figli –, che vengono trattati in modo a volte crudele, in base ai capricci e agli stati d’animo dell’altro. I narcisisti appaiono come persecutori, ma si sentono dei perseguitati; la loro umoralità è spesso un meccanismo di difesa per diventare impermeabili ai troppi stimoli che li perturbano, perché non sono saldi sulle loro gambe e troppo spesso dipendono dallo sguardo dell’altro. Non a caso, si parla di “autoreferenzialità” – la sordità dell’anima – riguardo all’esigenza di farsi da soli le loro leggi e di cantarsela e suonarsela a dispetto degli altri. Si parla di visione “auto-centrata” della realtà, che porta a rimanere fedeli a sé stessi e a ripetere nel tempo i soliti comportamenti, comunque giustificandosi e dando all’altro la responsabilità di ciò che accade. Per questo i partner da una parte si sentono importanti per il narciso, ma dall’altra percepiscono di non essere una priorità nella vita di lui, sentono di non riuscire mai a catturarlo e di non poggiare mai su una base sicura: in ogni momento il partner potrebbe cambiare idea e lasciarli. Non riescono a dare mai per scontato il rapporto con lui. 

L’attaccamento evitante non si esplicita subito. Nella fase dell’innamoramento, i narcisisti danno il meglio di loro, capaci di sintonizzarsi sui bisogni dell’altro e investiti nel progetto di apparire fantastici e buoni, i migliori sulla faccia della terra. Desiderano infatti essere sempre dalla parte della ragione, che il/la partner rimandi un’immagine molto positiva di loro e della relazione con loro. Verrà un tempo in cui sull’altro proietteranno i propri stati d’animo, che essi peraltro non leggono come propri: la loro critica diventerà un’accusa di essere troppo critici, la loro gelosia un’accusa di mancanza di fiducia da parte del partner; le difficoltà del rapporto saranno considerate un difetto del compagno/a. Una dinamica assai faticosa, in quanto il Tu perde il suo valore reale per diventare la proiezione e il rinforzo dell’Io, quasi che il narciso perda l’Altro per rimanere solipsisticamente centrato su di sé. Il partner non ha vita reale, rimane un prolungamento del Self o un nemico da combattere. Per questo i narcisisti patologici rischiano di diventare sconsigliabili: senza consapevolezza di questo meccanismo, ciò che avviene in loro è una sorta di negazione della relazione e dell’altro, che prima era portato in palmo di mano. L’insensibilità cresce con la confidenza, passano infatti con estrema velocità dall’innamoramento, l’apoteosi della loro grandezza, alla routine, in cui sentono di perdere i confini di sé e a volte cercano il conflitto per sentirsi vivi.

I narcisisti – uomini e donne – sembrano non avvertire la mancanza dell’altro, possono troncare il legame con apparente facilità, senza rimpianti e in maniera totale, come se chiudessero una porta. Pensano di poter tornare se l’altro li lascia fare, ma per andarsene di nuovo, come pare a loro. La fuga, l’allontanamento è infatti il meccanismo di difesa per combattere la propria dipendenza e la noia: vanno a cercare altrove. Tendono a nascondersi e a negare la presenza dell’altro nella loro vita: a una telefonata non rispondono, a un messaggio segue il silenzio, come se si prendessero una pausa; senza avvisare, propongono pause, precarietà, interruzioni, fughe. Come se fosse lecito comportarsi in base al loro stato d’animo del momento, indipendentemente dalle convenzioni sociali e dai bisogni dell’Altro.

FURIO E OLIMPIA

Non possiamo, quindi, non tenere in considerazione la danza relazionale che si viene a creare, un incastro spesso ripetitivo, una danza che i due ballano tra loro, un circolo virtuoso o vizioso che tende ad amplificarsi. Ancora nel mio libro Ho sposato un narciso c’è una coppia che seguiamo nel tempo, Furio e Olimpia, ambedue narcisisti, lei grandiosa e lui delusivo. Lei vorrebbe cose belle, grandi, passione ed energia, programmi insieme e spazio individuale; lui desidera certezze nonostante la scarsa energia e le messe alla prova cui sottopone il rapporto; vorrebbe dare il minimo ed essere amato come un principe azzurro. Olimpia a volte si lamenta di «venir amata male», Furio percepisce le critiche della donna e non si sente accolto, si difende, ha voglia di fuggire. Fantastica una donna che lo ami incondizionatamente, un’assoluta complicità fusiva in cui si senta al sicuro. Olimpia attribuisce la propria infelicità a Furio, che, non sentendosi parte in causa, incolpa lei. I due, pur amandosi, non sono capaci di dimostrarselo e passano da una crisi all’altra. Mettendosi alla prova, si lasciano, si riprendono, litigano, ambedue soffrono.

Il circolo vizioso si accende quando gli aspetti deboli e difensivi di uno entrano in gioco con gli identici aspetti dell’altra. Ciascuno dei due non sopporta l’ambivalenza dell’altro, senza rendersi conto che è anche la propria. Il circolo virtuoso potrebbe instaurarsi se il partner andasse comunque verso l’altro, se accettasse invece di criticare il comportamento del/la compagna, se ciascuno dei due non si avvertisse così vulnerabile da sentirsi minacciato dall’indipendenza dell’altro e contemporaneamente non fosse così indipendente da attentare alla vulnerabilità dell’altro. Un “cocktail” difficile da dosare, una danza dai passi sempre diversi eppure identica. 

Per concludere, vorrei pertanto mettere in guardia dalle relazioni in cui uno o tutti e due mostrano sintomi di narcisismo patologico, in quanto diventano relazioni che fanno male, rendono insicuri e in cui si perpetrano molestie morali difficili da digerire (Hirigoyen, 2000). Sembra quasi che il/la narcisista faccia di tutto per rompere il suo giocattolo preferito, per poi criticarne la fragilità e permettersi di non sentirne la mancanza, piangendo per altro, in realtà perché il giocattolo non c’è più. La necessità di difendersi sempre e comunque dall’altro porta a un sabotaggio sottile che rischia di distruggere l’identità del partner. Questi meccanismi difensivi in amore sono spesso al di fuori della consapevolezza e vengono messi in atto nei momenti in cui l’amore è considerato pericoloso in quanto troppo intenso e allo stesso tempo precario. Tali meccanismi hanno comunque il potere di destabilizzare la sicurezza personale del/la partner, che uscirà da questo tipo di relazione sentendosi fragile e in crisi.

Umberta Telfener, psicologa per la salute, è didatta del Centro milanese di Terapia della famiglia e membro del board dell’European Family Therapy Association - Training Institutes Chamber (EFTA-TIC).


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Hirigoyen M. F. (2000), Molestie morali (trad. it.), Einaudi, Torino.

Lash C. (1979), La cultura del narcisismo (trad. it.), Bompiani, Milano.

Telfener U. (2006), Ho sposato un narciso, Castelvecchi, Roma.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui