Guido Sarchielli

Il lavoro su misura

Oggi, almeno in parte, ci possiamo “fabbricare” il nostro lavoro. Cioè personalizzarlo in maniera da farlo corrispondere ai nostri punti di forza.

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Quando si cerca di capire com’è fatto il lavoro, uno degli errori comuni è quello di non considerare la distinzione tra come esso viene progettato formalmente e come viene svolto effettivamente dai lavoratori. In realtà, proprio l’attenzione a questo comune gap tra lavoro prescritto e lavoro reale ha fatto sì che, da molti decenni, si siano riconosciute le numerose “astuzie” del lavoratore per ridurre la fatica e stare meglio (originali modifiche di attrezzi di lavoro, scaltre deviazioni dalle procedure o dai ritmi) o si sia preso atto di come il lavoratore cerchi di dare una sua originale interpretazione ai ruoli assegnati (si è paragonato il lavoratore a uno “scultore” del proprio ruolo) o addirittura sia propenso ad arricchire le normali routine aggiungendo nuove attività che rendano più varia e stimolante la sua esperienza quotidiana. 

Questa esigenza del lavoratore di trasformare a misura di sé i compiti assegnati riprogettandoli di fatto sul campo, ha significato spesso una sorta di difesa (ridurre i sovraccarichi o la monotonia) dal tradizionale modo di progettare e organizzare il lavoro, che impone, diciamo così, un vestito di taglia uguale per tutti e prescrive i modi di lavorare secondo una razionalità ingegneristica indipendente dalle persone che poi dovranno svolgerli. La tendenza autodifensiva (ma spesso creativa) di cui parliamo sembra essere uscita dalla semiclandestinità per assumere un carattere proattivo ed essere rilanciata dai cambiamenti del lavoro e dei contesti. Infatti, da un lato, le nuove tecnologie applicate alle procedure di lavoro forniscono infinite opportunità di inventare adattamenti nei compiti e, dall’altro, le esigenze, per le organizzazioni, di maggiore flessibilità, di innovazioni produttive e di rapidi cambiamenti stanno sollecitando i lavoratori stessi ad assumersi più responsabilità e intraprendenza nella gestione delle attività, dei ruoli lavorativi e delle carriere. Ciò significa avere maggiori possibilità di riconoscere i contributi spontanei delle persone nel ridefinire il lavoro concreto e nel proporre modifiche ai vari livelli senza che ci siano pressioni o conseguenze negative in caso di divergenza tra prescrizioni formali e soluzioni creative proposte.

Siamo entrati nell’era del cosiddetto job crafting, inteso come un insieme di comportamenti proattivi che un lavoratore attua per ridisegnare ciò che deve fare, ossia modificare compiti, relazioni e percezioni del suo lavoro per renderli più vicini alle proprie aspettative, passioni, interessi e punti di forza.

Questa riprogettazione su base individuale è divenuta oggetto di un’estesa ricerca psicologica che sta accumulando conoscenze e suggestioni operative sui modi in cui la personalizzazione si può attuare dal basso senza rivoluzionare l’andamento delle cose né crea­re conflitti con i dirigenti.

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In tal senso sono stati individuati 3 grandi ambiti di cambiamento mossi dall’intraprendenza individuale:
a) i compiti assegnati, cioè l’ampliamento o la modifica parziale delle responsabilità: per esempio, proporsi volontariamente per un nuovo progetto o per imparare a usare un nuovo strumento; proporre, per un’addetta alle vendite, di fare anche la vetrinista del negozio; arricchire un lavoro tecnico aggiungendo attività di insegnamento o di tutorato dei giovani; usare le proprie competenze informatiche per migliorare il software di gestione dei clienti ecc.;
b) le relazioni di lavoro: per esempio, trovare il tempo per una conversazione faccia a faccia invece di limitarsi alle e-mail; modificare il proprio stile di comunicazione con atti di gentilezza o inviando note di ringraziamento a un collega; proporre di cambiare il formato delle riunioni di lavoro per renderle più efficaci; incontrare chi ha bisogno di aiuto e ti fa sentire utile; aumentare i legami con chi è disponibile e autentico, e invece prendere le distanze da chi risulta invidioso o disprezzante ecc.;
c) i significati del lavoro, ovverosia le modifiche nel modo in cui sono viste le attività e le interazioni con gli altri per collegarle alla propria identità personale e sociale e dare valore anche altruistico al proprio impegno quotidiano: per esempio, uno chef potrebbe riconsiderare il proprio ruolo non solo come espressione di creatività personale, ma anche come strumento di crescita della reputazione del ristorante; un’addetta all’amministrazione potrebbe reinterpretare le proprie mansioni come parte indispensabile di un soddisfacente servizio per i clienti; un autista di autobus potrebbe sentirsi arricchito nello svolgere pure il ruolo di fornire utili consigli di visite turistiche ai propri passeggeri ecc.

Sono già disponibili le prove degli esiti positivi del job crafting quando esso è reso possibile senza secondi fini di sfruttamento malizioso dell’impegno volontario delle persone a produrre cambiamenti. In particolare, si possono ricordare: il miglioramento delle prestazioni (efficienza ed efficacia), dei livelli di adattabilità e del clima aziendale; lo sviluppo di motivazioni intrinseche e del coinvolgimento personale; la crescita della soddisfazione e del benessere emotivo. Inoltre, le persone implicate nel job crafting ricevono valutazioni più positive dai colleghi e superiori, essendo apprezzate per la loro creatività a vantaggio di tutti, e tendono a enfatizzare il proprio rapporto positivo con il lavoro anche nella prospettiva di potenziare la propria occupabilità e di immaginare nuovi obiettivi di carriera.

È dunque opportuno incoraggiare il job crafting? La risposta è positiva purché ci sia la disponibilità dei manager a chiarire bene gli obiettivi prioritari da raggiungere (aumentando i gradi di autonomia sui mezzi), a sfruttare le valutazioni periodiche sulle prestazioni per dare feedback fattivi e costruire insieme le linee di azione migliori per ottenere “lavori su misura”, a valorizzare i risultati conseguiti riconoscendo i meriti individuali ma anche l’importanza delle innovazioni per il bene comune dell’organizzazione.

GUIDO SARCHIELLI è professore emerito di Psicologia del lavoro all’Università di Bologna.


Riferimenti bibliografici

Demerouti E. (2014), «Design
your own job through job crafting», European Psychologist, 19 (4), 237-247.

Dubbelt L., Demerouti E., Rispens S. (2019), «The value of job crafting for work engagement, task performance, and career satisfaction: Longitudinal and quasi experimental evidence», European Journal of Work and Organizational Psychology, 28 (3), 300-314.

Wrzesniewski A., Lo Buglio N., Dutton J. E., Berg J. M. (2013), «Job crafting and cultivating positive meaning and identity in work», Advances in Positive Organizational Psychology, 1, 281-302.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 276 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui