Anna Oliverio Ferraris

Il genitore narcisista

I danni che possono fare un padre o una madre che amino troppo sé stessi, pronti a rubare la scena persino al figlio.

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Quando Silvana, insegnante di lettere e filosofia, ricevette, nel primo pomeriggio di sabato, la telefonata dall’ufficio del padre provò la stessa rabbia e frustrazione di sempre. All’altro capo del filo c’era la segretaria che la informava che il commendatore suo padre, in città da mercoledì per affari, voleva che lei lo accompagnasse a una cena di lavoro sabato sera, ossia quello stesso giorno. Le comunicava poi l’indirizzo dell’hotel in cui il padre era alloggiato e l’orario in cui lei doveva passare a prenderlo in auto per poi recarsi insieme in un noto ristorante. Raccomandava, infine, di indossare un abito da sera.

Tre i motivi all’origine dell’irritazione di Silvana dopo quella telefonata. Il primo era che suo padre, un abile e fortunato uomo d’affari, invece di telefonarle direttamente l’aveva fatta chiamare dalla segretaria, a 300 km di distanza, come se si trattasse di un incontro di lavoro. Il secondo è che, sebbene non si sentissero da mesi, suo padre non metteva minimamente in dubbio che lei sarebbe stata disponibile ad accompagnarlo alla cena di lavoro, senza considerare che quella sera avrebbe potuto già essere impegnata, come di fatto era.

«M’ignora per mesi, si dimentica persino che esisto, e poi si aspetta che corra da lui all’istante perché gli serve un’accompagnatrice per la cena», aveva mugugnato Silvana tra sé e sé nel riagganciare. Non osando però dispiacere al padre, dai cui atteggiamenti assertivi era stata intimidita fin dall’infanzia, la donna, seppure dibattuta tra il cedere alla richiesta e il sottrarsi al noioso impegno, alla fine decise di rinunciare all’incontro coi colleghi programmato da tempo e a cui teneva molto.

Il terzo motivo di irritazione era che lei e suo padre si sarebbero incontrati soltanto l’ultima sera del soggiorno di lui in città, quando invece, se il loro rapporto fosse stato più affettuoso e meno anonimo, sarebbero potuti stare insieme anche nei giorni precedenti. Non solo, lei avrebbe potuto ospitarlo nel proprio appartamento, com’era solita fare quando qualche familiare o amico capitava in città. Un’evenienza, però, del tutto impensabile con quel genere di padre, nei cui confronti Silvana provava rabbia, frustrazione ma anche sensi di colpa per essere stata riottosa tante volte nei suoi confronti a causa del suo incurabile narcisismo.

La donna, che ha 36 anni, ricorda ancora con un’acuta sensazione di sconforto un episodio accaduto quando di anni ne aveva all’incirca 11. Aveva riprodotto, ad acquerello, su un grande foglio da disegno un paesaggio di montagna copiato da una foto che il padre aveva scattato durante una gita con gli amici e di cui spesso elogiava la bellezza, insieme alla sua pretesa abilità di fotografo. A quel dipinto Silvana aveva dedicato tempo, impegno e passione. Orgogliosa del risultato, l’aveva poi regalato al padre nel giorno del suo compleanno e lui si era compiaciuto per come fosse riuscita a copiare la sua foto. Ma quale fu la delusione della bambina quando il padre, quel giorno stesso, invece di tenere il regalo per sé e magari sistemarlo da qualche parte nel suo ufficio, lo cedette con nonchalance a una parente che era lì per caso, con queste frettolose parole: «Se ti piace, puoi prenderlo, è tuo».

Com’era possibile che papà non capisse con quanto amore lei si fosse dedicata a realizzare quel dipinto? Com’era possibile che non volesse tenere per sé il “suo” regalo? Com’erano possibili tanto disinteresse e tanta superficialità? Silvana, allora, aveva intuito che il padre, insensibile ai bisogni e ai sentimenti altrui, la considerava, più o meno inconsciamente, come una specie di sua appendice (o estensione di sé, o proprietà) da indirizzare e usare a proprio piacimento. Completamente centrato su di sé, sui propri desideri ed esigenze, privo di empatia verso gli altri, quell’uomo si comportava come se fosse superiore ad ogni altro membro della famiglia, infallibile e pronto a criticare le scelte di ognuno.

Nei confronti del fratello di Silvana, per esempio, aveva spesso battute, apparentemente scherzose ma nella sostanza denigratorie e offensive, che ridicolizzavano il ragazzo di fronte a familiari od ospiti. Ciò accadeva quasi sempre quando il figlio era al centro dell’attenzione per qualcosa di positivo che aveva fatto o per una lode che aveva ricevuto. Un esempio fra i tanti: il fratello di Silvana era stato premiato con una medaglia per essere arrivato primo in una gara di sci; mentre gli amici e gli altri sciatori si complimentavano con lui, il padre a voce alta si mise a raccontare a tutti i presenti – secondo lui, in tono scherzoso – che fino ai 10 anni quel “campione di sci” non riusciva ad andare in bicicletta. «Non sapeva salirci e ad ogni frenata cadeva rovinosamente. Un vero strazio!».

Questa rievocazione non solo procurò imbarazzo al figlio, ma spostò immediatamente l’attenzione dei presenti dal vincitore della gara a suo padre, che in quel momento evidentemente non tollerava di non essere al centro dell’attenzione. 

Le persone fortemente narcisiste si sentono a disagio quando i riflettori sono puntati su qualcun altro, anche se si tratta dei loro figli. Il genitore narcisista si compiace del successo dei figli solo quando lui stesso o lei stessa (cioè il genitore) ne trae dei vantaggi o si identifica in loro. In questi casi si sente direttamente responsabile dei conseguimenti dei figli e si crogiola in essi come se il protagonista fosse lui.

Non tutte le forme di narcisismo sono così sgradevoli. Alcune, sane, come l’autostima, non compromettono i rapporti con gli altri, consentono di ritardare le gratificazioni e permettono un sufficiente livello di empatia. Altre sono tipiche del processo di crescita. I bambini di età prescolare, per esempio, sono egocentrici e interpretano la realtà in rapporto alle proprie esigenze e desideri immediati. Anche nell’adolescenza vi sono forme sane di narcisismo, che servono per avere fiducia in sé stessi e affermarsi nel gruppo dei pari. Nelle forme patologiche, invece, il bisogno di essere al centro dell’attenzione è costante e assillante, cosicché, se in un particolare momento l’attenzione è concentrata su qualcun altro, il narcisista cerca di dire o fare qualcosa che possa attirare l’attenzione su di sé. 

Sotto il bisogno di essere ammirato del narcisista si nasconde il desiderio di essere invidiato. L’invidia, infatti, non è soltanto il desiderio di avere ciò che hanno gli altri, ma comporta anche del risentimento verso la persona oggetto d’invidia e la sensazione che tale persona sia più meritevole e più fortunata di colui che la invidia. Essere invidiati significa, quindi, anche essere considerati superiori agli altri, quella che è l’aspirazione segreta del narcisista.

Anna Oliverio Ferraris, scrittrice, psicoterapeuta, docente universitario, ha pubblicato Famiglia (Bollati Boringhieri), una guida per comprendere il mondo di oggi, e Tutti per uno (Salani), un romanzo di formazione adatto ai “percorsi di lettura” delle scuole superiori.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui