Intervista a: Mauro Fornaro
di: Paola A. Sacchetti

Gli effetti psicologici di due anni di pandemia e della guerra

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Dopo due anni di pandemia, con restrizioni, quarantene e timori di contagio e il termine dello stato di emergenza di pochi giorni fa, la nuova variante di Omicron 2 sta nuovamente facendo aumentare i casi, infastidendo alcuni che speravano in un “quasi ritorno alla normalità” e allarmando altri. Come se non bastasse, la guerra in Ucraina ha portato l’orrore nelle nostre case, con immagini di distruzione, feriti, morti. L’incertezza e la paura sono tornate prepotentemente nelle nostre vite, o forse non se ne erano mai andate ed erano solo in silente attesa di ridestarsi. Molte persone, già provate dai malesseri esasperati dalla convivenza forzata con il Covid, ora si sentono nuovamente in balìa di emozioni difficili da comprendere e gestire. Accanto alla giusta e auspicabile empatia verso il popolo ucraino, emergono agitazione, insonnia, incubi, pianti irrefrenabili, angoscia, senso di impotenza e sentimenti di malessere diffuso, ansie anticipatorie per le possibili conseguenze, dagli effetti sull’economia e sulla crisi energetica, alla paura di un attacco nucleare e dell’avvento della terza guerra mondiale.  

Prof. Fornaro, può aiutarci a capire quali conseguenze tutto ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo potranno avere sul nostro benessere psicologico? Quali sono gli effetti psicologici della guerra sul nostro già precario equilibrio psico-fisico-emotivo? 

Dopo 75 anni di sostanziale pace in Europa e dopo che si era persa memoria della pandemia di influenza spagnola di un secolo fa, ci siamo trovati a far fronte a due sciagure che credevamo di non dover più vedere in Europa, grazie al superamento della guerra fredda da una parte, al progresso della medicina dall’altra parte. Il “nostro benessere psicologico” come dice lei, è tanto più inficiato quanto più i due fenomeni erano fuori dall’orizzonte dei nostri pensieri. Ecco dunque lo sgomento collettivo, con i nuovi motivi di ansia oltre a quelli già presenti (clima, precarietà del lavoro).

Svegliati dal nostro “sonno” collettivo, appare inevitabile un cambiamento di mente, in parte già in atto: occorre realizzare fino in fondo che la sicurezza del vivere pure nella nostra civiltà occidentale non è affatto garantita. Nuove pandemie non sono escluse, a causa di globalizzazione e cambiamenti climatici, dicono gli scienziati. La guerra in atto poi, con i crimini che da sempre l’accompagnano, ci “sbatte in faccia” l’amara verità che la civilizzazione non ha tolto le stratificazioni più selvagge presenti nell’essere umano, che pur ama definirsi homo… sapiens. Ansie e paure dunque sono destinate ad accompagnarci a lungo: come tutti i motivi di stress psicologico possono farci maturare, o anche farci crollare.  

Ma non occorrerebbe proprio a quest’ultimo proposito distinguere l’ansia dalla paura?

Giustissima osservazione. La paura è la reazione emotiva a fronte di un pericolo chiaro, reale. L’ansia è per un pericolo non ben definito, o esagerato; diventa angoscia quando il sentimento è molto forte, spesso per nulla commisurato all’entità del pericolo. Ebbene, occorre che, a fronte di virus letali e di guerre reali, la giusta paura non diventi angoscia: la paura è utile, perché grazie a essa cerchiamo di evitare il pericolo; l’angoscia porta invece a reazioni disfunzionali, irrazionali.  

Dunque, come possiamo far fronte a questa nuova ondata di incertezza, angoscia e paura ri-sollecitate dalla guerra? 

Il modo di reagire ai pericoli dipende dalla personalità di ciascuno. Soggetti già ansiosi di per sé, specie quelli affetti da ansia cosiddetta generalizzata (cioè non specificata rispetto all’oggetto), hanno un motivo in più per star male a fronte di immagini di distruzioni, di cadaveri, riportateci dai media e al pensiero poi delle sciagure che potrebbero colpire pure noi. Nella mia esperienza clinica noto due reazioni opposte: in alcuni un forte incremento di ansia, in altri una rimozione, nel senso che per evitare di soffrire non ne vogliono sapere, cambiano subito programma tv. Fare la “politica dello struzzo” è poco dignitoso, ma possiamo capire chi altrimenti starebbe troppo male.  Analoghe reazioni noto in chi è dotato di particolare sensibilità empatica: immedesimandosi profondamente nelle sofferenze altrui, deve evitare le scene troppo forti. Molto meno giustificabile è chi razionalizza con il diniego: la non sopportazione dell’effetto scioccante di certi avvenimenti porta ad affermare che non esistono, sono solo esagerazioni propagandistiche. È mia opinione che la resistenza psicologica a prender atto di tante inquietanti crudeltà si accompagni a vecchi riflessi condizionati di natura ideologica: “È impossibile che il popolo russo, quello del solidarismo comunista, dell’eroica battaglia di Stalingrado commetta queste bestialità… sono invenzioni della Nato”.

Professore, lei ha fin qui illustrato come tante persone di fatto reagiscano a paure e angosce per la guerra. Ma come possiamo più correttamente farvi fronte? In particolare suscita grandi preoccupazioni la possibilità, per alcuni remota per altri concreta, di una terza guerra mondiale, con l’uso dell’arma atomica. Come si possono affrontare questi timori?

Le angosce di imminente fine del mondo periodicamente si sono affacciate nella storia dell’umanità, oggi tornano in alcuni sotto forma di angosce pantoclastiche, cioè di distruzione totale con le bombe atomiche. Ai più anziani tornano in mente le paure degli anni ’60, quando le due superpotenze andavano a gara nel costruire ordigni fino a 1000 volte più potenti della bomba di Hiroshima: avrebbero potuto distruggere più volte il nostro pianeta. Fortunatamente, pressioni popolari e razionalità dei politici a partire dagli anni ’70 portarono alla riduzione della proliferazione nucleare. Oggi una guerra atomica su vasta scala, benché minacciata propagandisticamente, è improbabile; ma non è impossibile in futuro, per iniziativa di dittatori paranoici che messi alle corde sragionano con il “muoia Sansone e con lui tutti i Filistei”. Gli svizzeri da anni costruiscono sotto le proprie case bunker anti-atomici in cui rifugiarsi: mi chiedo a che servirebbero se, una volta usciti, trovano un territorio completamente distrutto e fortemente contaminato. 

In sostanza, per reagire ragionevolmente a queste minacce occorre muoversi su due piani: per limitare le proprie angosce, il singolo deve guardarsi dentro e vedere quanto i motivi di paura non si innestino su pregresse fragilità, così da enfatizzare le paure. Insegna infatti la psicoanalisi che la percezione di pericoli pur reali tende a riattivare mostruosi fantasmi persecutori infantili. Occorre dunque scremare i propri fantasmi sforzandosi di prestare attenzione ai dati di realtà. A fronte poi dei reali pericoli di una guerra anche qui da noi, oggi come allora non resta che l’impegno politico: far arrivare a chi ci governa la nostra voce, con i vari mezzi offertici, serve a orientare gli Stati democratici verso politiche non bellicose. Inoltre la condivisione dell’impegno con chi ha le nostre stesse preoccupazioni aiuta a lenire l’ansia personale.


 

Mauro Fornaro, psicologo e psicoterapeuta di orientamento psicoanalitico, già ordinario di Psicologia dinamica all'Università degli Studi “Gabriele d'Annunzio” di Chieti-Pescara e presidente del Corso di laurea magistrale in Organizzazione e relazioni sociali. Si è occupato in prevalenza di storia ed epistemologia della psicologia e della psicoanalisi, oltre che dei rapporti tra psicologia ed etica, psicoterapia e ricerca empirica. 


Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.