Guido Sarchielli

Contagio emotivo sul luogo di lavoro

Anche nell’ambito professionale ci si condiziona a livello di umore. Dunque, meglio avere intorno “influencer emotivi” positivi.

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I dipendenti di un’azienda americana operante nel campo della previdenza sociale timbrano l’uscita lavorativa in un modo un po’ speciale: premono un pulsante per segnalare le loro emozioni scegliendo una delle “faccine” proposte, corrispondenti alla soddisfazione per la giornata, all’insoddisfazione, alla tristezza, alla delusione o all’irritazione. È solo un espediente per migliorare l’immagine dell’organizzazione? Cos’altro potrebbe motivare tale monitoraggio degli stati d’animo predominanti e delle loro variazioni nell’arco della settimana o del mese?

È probabile che ci si sia resi conto che per ottenere buoni risultati non è sufficiente preoccuparsi dei “tratti cognitivi” dell’organizzazione (per esempio, la presenza di una cultura basata su idee e opinioni condivise; la trasmissione di obiettivi chiari; regole comuni e stili di comportamento da introiettare e premiare), ma occorre esplorare anche il suo “volto emotivo”. Ciò significa chiedersi se prevalgono l’empatia e l’ascolto o l’indifferenza e il cinismo; se c’è entusiasmo o se predominano il distacco e la freddezza; se ci si “sente bene” alla fine del lavoro o si è delusi o insofferenti; se vi è accordo sulle emozioni facilitanti (od ostacolanti) gli scambi informativi, sui sentimenti esprimibili liberamente e su quelli che dovrebbero essere autoregolati con attenzione, perché più pericolosi (la paura o la rabbia).

In ogni caso, scoprire il volto emotivo tipico di un team o dell’organizzazione ha un notevole rilievo pratico poiché anch’esso può produrre effetti non secondari sulle motivazioni, sul senso di appartenenza, sul coinvolgimento lavorativo e sulle prestazioni organizzative. È un compito non facile, dal momento che, mentre la “cultura cognitiva” è trasmissibile verbalmente o in modi formali (con artefatti come le carte dei servizi, le regole o le narrazioni sulla storia aziendale) che danno una certa stabilità nel tempo, il “clima emotivo” è più volatile e tende a diffondersi soprattutto in modo indiretto e poco consapevole, chiamando in causa gli stili di leadership, le forme di interazione tra le persone e i segnali paraverbali (timbro, ritmi della voce ecc.) o non-verbali, come il linguaggio del corpo e le espressioni facciali negli scambi comunicativi.

Per dar conto della pervasività delle emozioni lavorative e del loro modo di diffondersi, la ricerca psicologica degli ultimi anni ha ripreso il concetto di contagio emotivo. Esso consiste nella propagazione delle emozioni da una persona alle altre. Nelle loro interazioni le persone operano come emotional influencer: sono influenzate da e influenzano le emozioni altrui anche senza rendersene conto. Ciò si verifica, prima, mediante un’imitazione automatica di gesti e parole che esprimono emozioni (negative o positive) e poi con la progressiva sincronizzazione empatica, fino alla convergenza finale dei sentimenti provati in una data situazione. Così, se si è a fianco di persone che manifestano sentimenti di sconfitta, inferiorità, umiliazione, frustrazione, tristezza oppure irritazione, ostilità e rabbia, è molto facile che tali emozioni si diffondano per contagio, cioè spingendo inconsapevolmente l’intero gruppo verso il corrispondente polo emotivo di tristezza o iper-reattività, con effetti comunque deleteri sull’equilibrio delle condotte e sui livelli di soddisfazione e impegno lavorativi.

Questa contaminazione emozionale involontaria è piuttosto rapida. Procede con un “effetto domino” e risulta rafforzata non solo dal tipo di emozioni a cui si è esposti (quelle negative sono più preoccupanti), ma anche dal modo in cui esse sono esplicitate (con energia più o meno forte) e dal ruolo della persona che le manifesta. Ciò fa risaltare il ruolo del leader, che può fare il proverbiale buono e cattivo tempo nel marchiare e diffondere il clima emotivo di un gruppo di lavoro. Se egli è sfiduciato, pessimista, mostra scarsa fiducia e com-passione verso i collaboratori o è troppo ansioso e adirabile, il clima emotivo potrà diventare velocemente irrespirabile perché le persone non solo saranno frustrate, ma tenderanno a convergere sugli stessi sentimenti negativi innescati dal leader, con abbassamento del morale e perdite sul piano della creatività.

Per fortuna, il processo di contagio si sviluppa con le stesse modalità a spirale anche per le emozioni positive. Là dove è facilitata la diffusione di sentimenti di calore, gentilezza, ottimismo e dove, per esempio, la leadership si esprime con uno zelo relazionale fatto di genuinità, atteggiamenti di supporto, attenzione e apertura agli scambi emotivi, si realizza un contagio positivo che attenua gli effetti della presenza di persone umoralmente difficili e arricchisce l’efficienza collettiva. È stato dimostrato, infatti, che il contagio emotivo positivo tra i membri del gruppo aumenta la cooperazione e il senso di partecipazione alle attività, e diminuisce i conflitti interni e le condotte controproduttive (aggressività, assenteismo ecc.). Inoltre, il contagio di emozioni positive come la gioia migliora l’attenzione, le decisioni e le prestazioni, riducendo pure i rischi di errori cognitivi e di incidenti (il contrario per emozioni negative come la rabbia).

Dunque, dato che le emozioni anche di una sola persona possono incidere profondamente sul funzionamento di un team e sul morale dell’organizzazione, diventa importante per chi ha responsabilità organizzative:
a) rendersi conto tempestivamente (anche mediante telesondaggi o l’uso di specifiche app) del clima emotivo esistente e del tipo di processi di contagio che possono verificarsi;
b) stimolare i comportamenti organizzativi desiderabili, anche favorendo lo sviluppo di quelle emozioni positive che hanno alta probabilità di contagio, quali, per esempio, serenità, speranza, orgoglio, ispirazione, gratitudine, ironia.

Guido Sarchielli è professore emerito di Psicologia del lavoro all’Università di Bologna.


Riferimenti bibliografici

Barsade S. G., Coutifaris C. G. V.,
Pillemer J. (2018), «Emotional contagion in organizational life», Research in Organizational Behavior, 38, 137-151.
Petitta L., Probst T. M., Ghezzi V., Barbaranelli C. (2019), «Cognitive failures in response to emotional contagion: Their effects on workplace accidents», Accident Analysis & Prevention, 125, 165-173.
Qin P., Liu Y. Z. (2019), «The empirical research of the influence of leadership positive emotion on counterproductive work behavior», Psychology, 10, 877-902.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 279 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui