Giorgio Nardone

Le due facce di Narciso

Ciò che il narcisista, sempre più preso da conferme di sé, non capisce: che per avere bisogna dare.

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Narciso, racconta Ovidio nel terzo libro delle Metamorfosi, è un bellissimo giovane, figlio della ninfa Liriope, che, in virtù della sua grazia e bellezza, viene amato e corteggiato da giovani e fanciulli. Narciso, tuttavia, respinge e disdegna ogni tipo di attenzione, incurante del dolore che procura. Anche la ninfa Eco, condannata da Giunone a non poter più parlare ma solo a ripetere le ultime parole che le vengono dette, si innamora perdutamente del giovane. Eco, non contraccambiata, insegue Narciso fino a indebolirsi sempre più, tanto che di lei non rimarrà nient’altro che la voce. Le ninfe, adirate con Narciso per la sua mancanza di attenzione, chiedono a Nemesi, dea della vendetta, di punirlo facendolo cadere vittima della sua stessa bellezza. Narciso patirà così lo stesso dolore inflitto a chi ha rifiutato: innamorato della sua propria immagine, sarà condannato a non ricevere attenzione e amore.

Il mito classico di Ovidio apre le porte alla comprensione di questa condizione di cui l’essere umano può soffrire e che può diventare drammatica nei suoi effetti, sia per il narcisista sia per chi sventuratamente si trovi a intrattenere con lui una relazione. La psicologia ha, poi, cercato di definire quando il narcisismo diventa patologia e quando invece alcuni tratti, come un’elevata stima di sé e delle proprie qualità, rappresentano aspetti positivi e costruttivi dell’individuo e dell’agire umano.

È TUTTA UNA QUESTIONE DI DOSI

Dobbiamo innanzitutto considerare che il temine “narcisista” fa riferimento ad aspetti della persona che non hanno una connotazione negativa di per sé, ma che l’acquisiscono in virtù del loro eccesso. I tratti che, come vedremo, contraddistinguono in senso patologico una personalità narcisistica sono caratterizzati da una dimensione di rigidità, eccesso e pervasività. Freud fu tra i primi a parlare di narcisismo, facendo riferimento proprio al mito greco. Oltre alla dimensione patologica egli evidenziò che il narcisismo è fisiologico, in quanto appartenente a una precisa fase di sviluppo della vita. I bambini sono, per loro natura, egocentrici, centrati su di sé, non sempre considerano gli effetti che le loro azioni hanno sugli altri o sugli altrui sentimenti. Ponendo in primo piano i propri bisogni e desideri, non hanno la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di mostrare empatia.

Una certa dose di egocentrismo e di egoismo, nel senso di un’attenzione al benessere proprio, a incrementare l’immagine positiva di sé e dare priorità al raggiungimento dei propri obiettivi, è fisiologica anche in età adulta. Un certo grado di egoismo è necessario in quanto rappresenta quell’attenzione a sé stessi che permette anche di essere di aiuto agli altri. Come le indicazioni di sicurezza sui voli aerei ci ricordano di indossare per primi la maschera di ossigeno e poi di farla indossare al bambino che abbiamo accanto, così dovremmo saperci occupare di noi stessi, per occuparci degli altri. Se una variabile che distingue il sano dal patologico è il grado in cui una certa caratteristica si presenta, l’altra variabile è il rapporto e l’equilibrio tra attenzione a sé e attenzione agli altri. Già Kohut (1971) aveva evidenziato come tra normalità e patologia esista una continuità e come l’atteggiamento narcisistico non sia limitato a una fase evolutiva, ma possa essere presente lungo l’intero arco di vita. La conferma sociale della propria desiderabilità e del proprio valore si mantiene per tutta la vita, dunque, ed è in un certo qual modo necessaria per mantenere un buon livello di autostima. Ognuno di noi conosce sé stesso attraverso la relazione con l’altro.

In natura ogni cosa può trasformarsi da positiva in negativa, o viceversa da nocumento a beneficio, in base al dosaggio e alla frequenza. Pensiamo, per esempio, ai virus, tema oggi di grande attualità. Una carica virale elevata fa ammalare l’organismo, portandolo in alcuni casi fino alla morte; una carica virale ridotta, viceversa, permette all’organismo di attivare le proprie difese immunitarie e consolidare un vero e proprio scudo contro l’agente patogeno. Allo stesso modo, l’eccesso di cura – pensiamo all’uso smodato di integratori alimentari – produce un effetto tossico. Anche la miglior medicina, assunta in eccesso, diviene veleno e ammorba l’organismo. Traducendo le parole attribuite a Paracelso, »Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit«, diremo che »Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto«.

UN GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA

Questo principio vale per tutto, non solo per le sostanze che introduciamo dall’esterno, ma anche per le nostre modalità di azione, percezione e gestione. Quando la valutazione di sé diviene ipervalutazione e necessita di continue conferme, in un processo in cui gli altri vengono considerati non per quello che sono ma solamente in quanto utili a mantenere alta l’immagine di me, allora ci avviciniamo al polo patologico del narcisismo. Dal punto di vista psicopatologico, gli studi annoverano il disturbo narcisistico tra i disturbi di personalità. Ovvero tra i disturbi che non fanno riferimento a un ambito specifico e circoscritto, ma che rappresentano in termini pervasivi il modo in cui la persona percepisce la realtà e agisce su di essa. Il sistema di percezione e reazione, e la conseguente modalità di relazione che la persona ha con sé, con gli altri e con il mondo, si irrigidiscono sul bisogno di sostenere e migliorare la propria autostima in maniera parossistica.

Queste persone sovrastimano le loro capacità e i propri talenti, esagerano i propri successi e ritengono di avere delle caratteristiche che le rendono uniche, speciali e in qualche modo superiori agli altri. Nella relazione con sé stesse tendono a porre attenzione e a sovrastimare le loro qualità fisiche, hanno fantasie di grandi successi, si considerano estremamente intelligenti, degne di prestigio e riconoscimento sociale, come dei re Mida capaci di trasformare tutto ciò che le riguarda in qualcosa di lucente e prezioso. Tale eccesso di stima, proprio in virtù del suo carattere smisurato, si trasforma da punto di forza in punto di debolezza. La stima di sé, che non si fonda su esperienze pratiche e non si consolida attraverso l’esperienza, manca di fondamenta stabili. Così, il Sé grandioso diviene un gigante dai piedi di argilla, che non solo necessita di riconoscimenti continui, ma che sente anche tutto il peso del timore di non essere così grande come vorrebbe. In questo caso non ci troveremo di fronte a una persona che agisce con distacco emotivo, sentendosi davvero superiore agli altri, ma piuttosto a una persona ipersensibile alle critiche, perseguitata dalla paura di non essere apprezzata.

Possiamo considerare il narcisismo, nella sua forma disfunzionale, come problematica legata al bisogno di valutazione positiva di sé, bisogno che si manifesta o con atteggiamenti arroganti e di eccessiva sicurezza o, al contrario, con atteggiamenti di insicurezza, volti però sempre a ottenere la rassicurazione e il riconoscimento degli altri. Da quanto finora detto, è evidente che il rapporto che il narcisista ha con gli altri è estremamente critico e problematico. Talmente critico che – nell’ambito sentimentale, per esempio – basta fare una piccola ricerca su Internet per notare quanto numerosi siano i contributi e i post su come riconoscere un partner narcisista e come gestirlo. Sembra che il numero di narcisisti sia in aumento, e in un certo qual modo ciò può essere l’effetto – come fanno notare alcuni studiosi – di una società che ha amplificato la centralità dell’apparire e del talento misurato attraverso il numero dei follower, e non basato su capacità sviluppate tramite l’esercizio e la dedizione. Tutto ciò è aggravato da stili genitoriali di tipo iperprotettivo in cui si fa di tutto per agevolare i figli nella strada verso un successo che viene peraltro dato per scontato. Per questa visione, solo il fatto di esistere è sufficiente, non occorrono ulteriori dimostrazioni di merito.

I bambini crescono, così, con l’idea di avere un dono, una qualità inestimabile, che il mondo non deve far altro che riconoscere. Ciò non li aiuta a superare la fisiologica fase narcisista, portandoli semmai al rischio di rimanere incastrati nell’idea di valere “a prescindere” e che gli altri esistono solo per riconoscere e sostenere il loro valore. Quando tale riconoscimento viene a mancare, i giovani possono trovarsi a sperimentare momenti di estrema difficoltà in cui sentono di non essere all’altezza e si deprimono, o ritengono di essere maltrattati e perseguitati da un mondo che non li comprende.

NARCISISMO NELLA COPPIA

Se vogliamo assumere un’ottica costruttiva, dovremmo pertanto fare attenzione a bilanciare l’attenzione ai nostri bisogni con l’attenzione e la considerazione degli altri. Nessuno può crescere all’interno di un vuoto relazionale e la relazione con sé stessi, con gli altri e con il mondo dovrebbe essere incentrata su un circolo virtuoso, in cui è il contribuire al successo altrui che permette di elevare il valore di sé. Significa diventare giocatori a somma diversa da zero, in cui il successo personale non si basa sull’insuccesso altrui e in cui ci si innalza senza la necessità di abbassare l’altro. Un contesto in cui, allo stesso tempo, si coltiva la conoscenza di persone di valore non per vivere di luce riflessa del loro successo, ma come fonte di ispirazione e crescita.

Nelle situazioni di narcisismo disfunzionale è usuale osservare che la persona non è in grado di provare “empatia”, ossia non riesce a prendere in considerazione i sentimenti e le necessità dell’altro. È come se costui fosse considerato in qualche modo privo di sentimenti e di bisogni affettivi di rilievo: i suoi pensieri e le sue sensazioni diventano importanti solo in virtù dell’effetto che producono sul narcisista. Tale condizione, forse più delle altre, pone in evidenza la problematicità e la drammaticità che un disturbo può creare a livello relazionale, e nelle dinamiche di coppia sono solitamente i partner a farne le spese. Se, da un lato, corrisponde al vero che è frequente incappare in un narciso, dall’altro è parimenti vero che alcuni comportamenti narcisistici sono aggravati da una complementarità patologica che si instaura all’interno della coppia.

Quando il lato narcisista si irrigidisce, diviene molto difficile per la persona riuscire a costruire una sana relazione di coppia, data la sua incapacità o impossibilità a considerare i sentimenti e il benessere del partner. Il partner è talmente necessario, e appiattito, nella funzione di mantenere l’immagine di sé, che la relazione viene gestita esclusivamente sulla base di ciò che se ne può trarre. È come se il narcisista dovesse combattere con il timore di un vuoto, fatto della mancanza di grandezza e valore, che fagocita tutto il resto.

Altre volte i tratti narcisisti innescano delle reazioni col partner che rendono il rapporto di coppia ancora più disfunzionale. È il caso delle situazioni nelle quali la persona cerca di prevenire il conflitto o il rifiuto, dando continue conferme o assecondando ogni desiderio del partner. In altri casi si tenta di trovare una soluzione attraverso il ragionamento e il confronto. In entrambi i casi – assecondare o discutere – non si perviene a una reale soluzione, in quanto ogni tentativo finisce per confermare e incrementare il bisogno narcisistico. La relazione si fa sempre più ambivalente: da un lato, si hanno momenti di estrema vicinanza, quando la relazione conferma il senso di grandezza; dall’altro, momenti di estrema lontananza, quando il partner non si adatta ai desideri. Ma è proprio il carattere ambivalente della relazione che tiene le persone ancora più legate al narcisista e che rende difficile decidere di prendere definitivamente le distanze da una situazione che, pure, non si fatica a riconoscere come tossica.

IL CEO NARCISISTA

Se l’attenzione degli studiosi si è molto concentrata sull’effetto relazionale e sulle conseguenze all’interno del rapporto di coppia, altrettanto interessante è considerare il ruolo che personalità narcisistiche rivestono in ambito lavorativo e professionale. Una famosa ricerca di Christian Gimsø (2014) su 3200 candidati per la scuola di formazione della leadership delle forze armate norvegesi ha messo in evidenza un aspetto abbastanza sorprendente. I candidati che mostravano ai test la presenza di indicatori di disturbo narcisistico della personalità ottenevano i punteggi più elevati nei colloqui di selezione. Secondo lo studioso, le persone narcisiste hanno maggiori possibilità di essere assunte in virtù del loro essere brillanti e sicure di sé. Tuttavia, rischiano di essere poi dei leader inefficaci in quanto di solito hanno scarse capacità relazionali, svolgendo usualmente le proprie mansioni senza preoccuparsi delle persone intorno a loro. Le caratteristiche di sicurezza, estroversione e fiducia nelle proprie abilità, compatibili con capacità di leadership, permettono a queste persone di essere valutate positivamente, ma poi tale valutazione non regge la prova dei fatti. Una leadership efficace dev’essere capace di considerare e promuovere il benessere e le prestazioni dell’intero team, riconoscendo e potenziando le abilità di collaboratori e dipendenti, capacità che invece un narcisista non possiede.

Cosa succede quando ad essere narcisista è colui che è a capo di un’azienda? Quali effetti ha questo sulle sorti dell’impresa? Alcuni studi hanno messo in evidenza come il narcisismo dei CEO sia associato a una tendenza più elevata a correre rischi, tendenza che solitamente incrementa la vulnerabilità dell’organizzazione rispetto a fattori esterni (Aven, 2011). Tuttavia, gli studiosi sembrano attualmente concordare sul fatto che avere manager narcisisti a capo di un’azienda non è di per sé un fattore di criticità, laddove la sua valenza positiva o negativa dipende ed è mediata dalla globale struttura organizzativa dell’azienda (Resick et al., 2009). CEO narcisisti hanno la tendenza a implementare un orientamento imprenditoriale dell’azienda, sostenendo l’innovazione, la capacità di correre rischi e l’intraprendenza; caratteristiche che di fatto contribuiscono allo sviluppo dell’organizzazione, a patto che ci si trovi all’interno di un processo guidato e monitorato.

Per concludere, potremmo affermare che la differenza tra narcisismo sano e narcisismo patologico si misura, da un lato, per mezzo degli effetti che produce per sé, per gli altri e per il mondo (società, azienda ecc.) e, dall’altro, per mezzo della presenza, più o meno marcata, di 3 fattori:
1) una carenza significativa nella propria autostima;
2) il tentativo di compensare tale deficit mediante azioni che permettano una sorta di affermazione di sé, mediante tentate soluzioni – come la ricerca del riconoscimento o la svalutazione dell’altro – che finiscono però per incrementare il timore di non valere;
3) la gestione manipolatoria o controllante della relazione al fine di diminuire il rischio collegato all’esposizione interpersonale (Miller, 1992).

Tra normalità e patologia, tra narcisismo funzionale o disfunzionale la differenza risiede nella capacità di seguire quello che Milanese (2020) ha definito il postulato fondamentale dell’autostima, ovverosia la consapevolezza che questa non si eredita, ma si costruisce. L’autostima, come il valore personale, è qualcosa che si conquista sul campo, e non qualcosa che viene concesso o, appunto, ereditato. Il sublime autoinganno del narcisista insano è vedere selettivamente ciò che conferma la sua desiderabilità e le sue capacità, negando a sé stesso tutto ciò che le disconferma e finendo puntualmente per realizzare fragorosi disastri (Nardone, 2014). Il «sano egoista» (Nardone, 1998), che nel lessico comune corrisponde al “narcisista sano”, agisce invece offrendo disponibilità e attenzione agli altri, ben consapevole che, così facendo, ciò che relazionalmente gli tornerà indietro sarà molto di più di quanto avrà dato. Insomma, se vuoi avere comincia col dare.

Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua crea­tività che per il suo rigore metodologico.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Aven T. (2011), «On some recent definitions and analysis frameworks for risk, vulnerability, and resilience», Risk
Analysis: An International Journal, 31 (4), 515-522.

Gimsø C. E. (2014), «Narcissus and leadership potential: The measurement and implications of narcissism in leadership selection processes», BI Norwegian Business School, Series of dissertations, 4.

Kohut H. (1971), Narcisismo e analisi del Sé (trad. it.), Bollati Boringhieri, Torino, 1977.

Milanese R. (2020), L’ingannevole paura di non essere all’altezza. Strategie per riconoscere il proprio valore, Ponte alle Grazie, Milano.

Miller I. J. (1992), «Interpersonal vulnerability and narcissism: A conceptual continuum for understanding and treating narcissistic psychopathology», Psychotherapy: Theory, Research, Practice, Training, 29 (2).

Nardone G. (1998), Psicosoluzioni. Risolvere rapidamente complicati problemi umani, Ponte alle Grazie, Milano.

Nardone G. (2014), L’arte di mentire a se stessi e agli altri, Ponte alle Grazie, Milano.

Resick C. J., Whitman D. S., Weingarden S. M., Hiller N. J.
(2009), «The bright-side and the dark-side of CEO personality: Examining core self-evaluations, narcissism,
transformational leadership, and strategic influence», Journal of Applied Psychology, 94, 1365-1381.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui