Davide Montermini

La legna e la lama. Il “cosa” e il “come” nel lavoro

Spesso le valutazioni di una prestazione professionale sono tarate sulla quantità della sostanza. Ma altrettanto importante è la qualità del metodo

 

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Nel corso di un qualsiasi periodo lavorativo balza all’occhio un dato empirico evidente: si dedica molta più cura al cosa si sta facendo, rispetto al come la si sta svolgendo. Il cosa rappresenta il contenuto, il work to do, il compito da eseguire, il come è invece il processo, la strada che si percorre per arrivare agli step intermedi e all’obiettivo finale: una riunione, con il suo ordine del giorno e contenuti è il cosa; il suo svolgimento, il clima, i toni, i turni di parola, l’ascolto reciproco, le dinamiche presenti sono il come.

Lo sbilanciamento in favore del cosa è spesso molto forte, quasi da portare a relegare il come a un’inutilità; anzi, quando qualcuno fa notare che si potrebbero raggiungere gli stessi obiettivi in modo diverso, il gruppo spesso lo accusa di essere un rompiscatole e respinge le sue proposte. La maggiore attenzione al cosa è dovuta a più fattori: nel percorso scolastico e di vita siamo stati valutati per l’output prodotto, per i risultati, non per il processo seguito per raggiungerli: imparo a memoria la lezione, prendo 7 e non importa se la dimentico il giorno stesso. Una torta viene apprezzata per quello che è, nessuno ci chiede se abbiamo seguito alla lettera una ricetta su Internet, se ci abbiamo messo del nostro, se abbiamo fatto vari tentativi prima di riuscirci, se abbiamo eseguito o meno una ricerca e una selezione degli ingredienti, se ci siamo stressati nel realizzarla o se è stato un piacere mettere le mani in pasta.

Sul lavoro, nonostante sia poco verbalizzato perché scomodo, esiste un pensiero di fondo: vengo pagato per i risultati che porto, per il budget rispettato, per l’obiettivo raggiunto nell’ossequio dei tempi, per la quantità maggiore di unità realizzate in confronto allo stesso mese dello scorso anno, per il numero di clienti raggiunti e acquisiti… non per altro. Anche durante la valutazione delle prestazioni, benché siano presenti KPI (Key Performance Indicator) qualitativi, maggiore attenzione è sistematicamente dedicata ai dati quantitativi, riguardanti il cosa, appunto. 

I dati quantitativi, inoltre, sono molto più facili da trattare e comodi da condividere perché “parlano da soli”, soddisfano il bisogno unanime di oggettività, esplicitano essi stessi se i parametri prefissati sono stati rispettati o meno. I parametri qualitativi sono invece naturalmente più rischiosi, poiché comportano il rischio di addentrarsi nella palude intricata delle interpretazioni, nel dibattito – a volte senza fine – delle diverse percezioni della soggettività.

Questo pensiero influenza purtroppo anche la modalità di lavoro in gruppo. C’è una tensione che spinge a non dedicarsi troppo al come lavorare insieme e più al cosa fare in unità di tempo per raggiungere risultati. Anche il gruppo ha un’agenda fitta di punti da rispettare, eseguire e spuntare una volta portati a termine: «Si lavora per questo!».

Un altro motivo per cui è difficile dedicare tempo al come è il tempo stesso. Infatti, tutte le volte che si argomenta su come ottimizzare un processo, su come comunicare meglio e senza stress, su come collaborare con più efficacia, tecnicamente si sta togliendo tempo al flusso prioritario e dominante, ossia quello di agire per l’obiettivo. Ciò genera la percezione di perdere tempo, una cosa che nessuno vuole. 

Generalmente ci si ferma a lavorare sul come solo quando il lavorare insieme vive un trauma, un’esplosione più o meno dolorosa: conflitti accesi, livelli di stress troppo alti, forme di mobbing, esclusioni, assenteismo, fuga di persone importanti.

I team building sono un eccellente strumento per poter lavorare sul come, dedicandogli finalmente il tempo che merita. L’importante è farlo prima dello sviluppo di situazioni difficili, insomma prima di scottarsi: questo permette anche di evitare un tempo sempre lungo e dispendioso di energie per curarsi le ferite, necessario per riportare in saldo positivo il clima del gruppo. 

Narra Steven Covey in Seven ha­bits: «Due falegnami indissero una gara a chi tagliava più legna: li divideva un muro, e il primo falegname sentiva spesso silenzio dall’altra parte. A fine giornata, il primo falegname, certo di avere vinto, dato che aveva dedicato tutto il tempo a tagliare la legna con l’accetta, si sorprese di avere invece perso e chiese al secondo: “Ma cosa stavi facendo durante il silenzio che sentivo?”. E quest’ultimo rispose: “Affilavo la lama”». 

Se tagliare la legna rappresenta il cosa, il come è affilare la lama. In tal senso, i team building sono dei grandi arrotini. In che modo riescono ad effettuare l’affilatura? Semplice, spostano il cosa su altro: cucina, rafting, sport, soft air, fire walking, escursioni, gaming, cacce al tesoro. Così mantengono il come libero di essere osservato e migliorato, proprio perché svincolato dalla tensione finalistica tipica del cosa: lavorare, fare cose, raggiungere risultati, essere premiato con riconoscimenti e denaro.

Di seguito alcuni punti sul come nei team building, che, se ben osservati e restituiti, possono arricchire e migliorare il come lavorativo.

Obiettivi: come vengono interpretati dal team e dai singoli, come a partire da essi si snocciola la strategia d’azione.

Regole: come il gruppo legge tra le righe delle regole fornite, come ricerca soluzioni efficaci e si dà regole in autonomia.

Processo decisionale: come sono effettuate le scelte all’interno delle operazioni da svolgere, se in autonomia da un singolo che convince gli altri, se con una fase iniziale di apertura e ascolto delle idee (brainstorming) e una successiva di chiusura per convergere verso una selezione delle proposte e una scelta tra di esse.

Livello conflittuale: come sono gestiti imprevisti e cambiamenti in corso d’opera e controversie; come nascono, perché nascono e come si evolvono; come i componenti del team reagiscono ad essi e intervengono.

Leadership: se maggiormente centrata su alcuni componenti del team, se in uno in particolare, o se “situazionale”, mobile e dinamica a seconda dei momenti e delle diverse competenze delle persone.

Partecipazione e comunicazione: come si muovono i flussi di comunicazione, se si verificano comunicazioni aggressive, resistenti, passive, dirette-assertive, empatiche. Se la quantità di partecipazione è distribuita con equilibrio o si verificano particolari concentrazioni. Quanto il team è predisposto all’ascolto degli altri membri e alla collaborazione.

I team building sono un prezioso momento in cui si è liberi di rompere la routine acquisita sul cosa; un break, una pausa appunto, capace di attivare consapevolezza sul come, ridando importanza a tutto ciò a cui si stava conferendo poco valore, ma essenziale per “tagliare bene la legna”.

DAVIDE MONTERMINI è psicologo delle organizzazioni ed esperto del cambiamento. Da oltre dieci anni formatore in ambito soft skills, è alla continua ricerca e sviluppo sul campo di percorsi esperienziali in grado di generare un miglioramento concreto per le persone, i team di cui fanno parte, le prestazioni e il benessere lavorativo.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui