Silvia Bonino

Fare finta: molto più di un gioco

Nei giochi di finzione dei più piccoli, anziché un avviamento alla pratica delle bugie, va colta la capacità di dominare un’assenza sino a farne
una piacevole “realtà virtuale”.

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In passato i bambini sono stati spesso considerati dei piccoli adulti, cioè degli esseri che non hanno ancora completato e perfezionato le capacità degli adulti, ma che sono a questi sostanzialmente simili. Lo studio scientifico della psicologia infantile ha da tempo – oramai da più di un secolo – messo in discussione questa convinzione, che tuttavia rimane ancora diffusa nel senso comune, benché in maniera inconsapevole.

Se oggi la maggior parte degli adulti si dichiara convinta che i bambini abbiano caratteristiche proprie, legate alle diverse età, nondimeno la difficoltà a comprendere il bambino come differente dall’adulto riemerge sovente. Un esempio diffuso è lo stupore, e talvolta anche la preoccupazione, di tanti genitori di fronte all’immaginazione infantile, e nello specifico al gioco del “fare finta”; alcuni temono che questa fantasia possa essere pericolosa e finisca per far perdere loro contatto con il mondo reale. Questa preoccupazione è talvolta maggiore per i figli maschi, secondo un modello che, per loro, prevede più che altro giochi di movimento o di manipolazione meccanica degli oggetti.

La comparsa del fare finta rappresenta, al contrario, un’importante tappa dello sviluppo cognitivo, caratteristica esclusiva degli esseri umani. Il gioco di finzione compare all’incirca a partire dai 2 anni, in concomitanza con un importante sviluppo neurofisiologico. In precedenza, i bambini giocano molto, ma il loro gioco è limitato all’imitazione di un modello che vedono (come fare ciao con la manina) oppure alla manipolazione degli oggetti (come nei giochi d’incastro). Invece, intorno ai 2 anni compare appunto il gioco del fare finta, o gioco simbolico, in cui i bambini imitano e mettono in scena ciò che non è presente. Questo tipo di gioco mostra che il bambino sta acquisendo la capacità di richiamare alla mente qualcosa che non cade sotto i suoi sensi, e di conseguenza di rappresentarsi un oggetto al posto di un altro, come suo “simbolo”.

Fare finta: molto più di un gioco

Jean Piaget ha definito questa capacità “rappresentazione mentale”; essa si esprime, oltre che nel gioco simbolico, nell’imitazione differita (cioè nell’imitazione di un modello non più presente) e nel linguaggio. Mentre nel linguaggio sono usati dei suoni convenzionali per comunicare con gli altri, nel gioco i simboli sono personali e mutevoli. Così il bambino può fare finta che una scatola sia un’automobile, ma immediatamente dopo essa può diventare una casa. Il bambino, però, non fa alcuna confusione sulla reale natura degli oggetti. Egli sa bene che la scatola resta una scatola (e infatti può usarla come contenitore, quando non gioca più), ma la sua immaginazione gli permette di attribuirle una realtà diversa, un significato nuovo e personale, modificabile a piacere.

Occorre quindi che gli adulti sia­no consapevoli dell’importanza del gioco simbolico, che segna una tappa decisiva nello sviluppo delle capacità cognitive caratteristiche della specie umana e solo di questa. Il fatto che tutti i bambini con un normale sviluppo fisiologico, cresciuti in un normale ambiente sociale, presentino tale sviluppo non ci deve far dimenticare la sua importanza. Attraverso questo tipo di gioco sono favorite l’inventiva e la creatività, aspetti determinanti dell’intelligenza e della risoluzione dei problemi. I giochi di finzione sono importanti non solo per lo sviluppo intellettivo, ma anche per quello affettivo e sociale. Essi infatti, inizialmente semplici, brevi e solitari, si strutturano nel tempo in azioni complesse, che coinvolgono più bambini mettendo in scena copioni sempre più elaborati. In questo modo i bambini non solo si scambiano conoscenze, ma imparano anche a collaborare. Allo stesso tempo, tramite l’imitazione dei ruoli adulti, primo fra tutti quello di mamma e papà, riflettono sul mondo sociale in cui vivono, sulle sue caratteristiche e contraddizioni.

Di conseguenza, il gioco del fare finta è molto importante anche sul piano affettivo ed emotivo, dato che in esso il bambino esprime e realizza i suoi desideri, così come manifesta e domina emozioni disturbanti – quali paura e rabbia – e conflitti. Per esempio, il bambino che fa finta di essere il cane che ringhia domina e supera la paura, del tutto reale, che magari ha provato di fronte a un grosso cane incontrato per strada. Ugualmente il gioco, così frequente, di fare finta di essere adulti (fare il papà, la mamma, la maestra) permette di rovesciare i ruoli e di sconfiggere insicurezze e timori. Il bambino e la bambina possono così assumere un ruolo importante e “mettere in scena” in modo indiretto situazioni che sono state per loro fonte di disagio, come un rimprovero o una punizione. In tutto ciò è coinvolto anche il linguaggio, che fin dall’inizio accompagna il gioco del fare finta, dapprima solo con parole isolate e poi in forma sempre più articolata e organizzata, con l’invenzione di storie e racconti ad alta voce, anche quando il bambino gioca da solo.

Quando il gioco non è solitario, anche gli altri bambini contribuiscono alla costruzione di tali racconti. Questo tipo di gioco ha la sua massima espressione nel periodo della scuola dell’infanzia, all’incirca fino ai 5-6 anni e tende a diminuire gradualmente in seguito. In alcuni bambini si trasforma e dà luogo all’invenzione di racconti e alla messa in scena in recite e rappresentazioni teatrali. C’è, insomma, un nesso tra il gioco dei bambini e le creazioni delle età seguenti, maggiormente codificate dalla cultura.

Per tutte queste ragioni il gioco del fare finta non va guardato con sospetto o, peggio, osteggiato. Esso non sostanzia una fuga dalla realtà, ma, al contrario, sviluppa la capacità di vedere il mondo in modo diverso e inventivo, aprendo alla creatività e a diverse possibilità d’azione. Perciò è indispensabile favorire il gioco di finzione offrendo materiali opportuni; a questo scopo i migliori sono quelli poco strutturati, che più si prestano a trasformazioni e invenzioni personali. Ancor più è importante dar loro tempo e spazio nella vita di tutti i giorni, senza soffocare i piccoli nella rigida agenda di attività impostate e preordinate dall’adulto. Queste attenzioni da parte di genitori ed educatori devono essere ancora maggiori oggi, dove l’uso pervasivo della televisione e degli strumenti virtuali blocca i bambini in una fruizione passiva, per lo più limitata alla visione di contenuti confezionati dall’industria dell’intrattenimento. 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 271 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui