David Lazzari

Stress e vita quotidiana

Come diceva Hans Selye, pioniere degli studi sullo stress, quest’ultimo è «il sale della vita». Cioè qualcosa di indispensabile, che tuttavia assunto in dosi eccessive fa male.

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Sembra inesorabile che la parola “stress” evochi i peggiori guai e ci trasmetta un senso opprimente di ineluttabilità. Eppure il “padre” dello stress, Hans Selye, colui che per primo ne ha scoperto i meccanismi alla base, lo definì «il sale della vita»; e, come sappiamo, il sale ha due caratteristiche essenziali: è indispensabile e, in dosi eccessive, fa male.

Dopo alcuni decenni di studi sullo stress, possiamo dire che Selye aveva pienamente ragione. Lo stress è un insieme di processi che non è legato alla eccezionalità ma alla quotidianità, perché accompagna tutte le nostre attività.

Tipicamente, il cortisolo, l’ormone principale dello stress, è elevato al mattino, per renderci più attivi e reattivi, e va poi scemando, per ridursi al minimo durante il riposo. Dal punto di vista evolutivo, lo stress ha avuto una funzione salvavita, giacché i suoi circuiti si attivano in millisecondi e ci mettono in grado di affrontare prontamente la minaccia. 

Ma si tratta degli stessi processi che si attivano quando affrontiamo i “pericoli” o le sfide della quotidianità. Facciamo un esempio: se vado in auto, devo dare gas in relazione alla pendenza della strada o della velocità, posso andare da un massimo a un minimo in relazione alla strada e ai miei obiettivi. Ecco, lo stress funziona esattamente così: è l’energia che attiviamo per affrontare i nostri percorsi quotidiani. Cosa vuol dire? Che se la strada è impegnativa o voglio andare veloce, devo attivare di più i circuiti dello stress.

Esistono però delle differenze importanti tra macchina ed esseri umani. Nell’uomo la dimensione psichica svolge una cruciale funzione di valutazione e di attivazione, anche se non sempre in modo cosciente e consapevole. Il sistema cervello-psiche non solo valuta la realtà in base alle nostre esperienze, ma sviluppa pensieri, desideri, progetti. Noi non siamo semplicemente delle macchine meravigliose, organismi viventi complessi formati da miliardi di cellule, ma organismi dotati di coscienza e pensiero, plasmati dalle nostre storie di vita. Quindi, come affrontiamo la vita dipende dalla nostra soggettività.

Ecco perché lo stress non è solo legato alle condizioni esterne, ma anche a come le viviamo e persino ai nostri pensieri. Questa è una scoperta abbastanza recente, grazie al fatto che ora ci sono gli strumenti per studiare tali aspetti.

Vediamo, per esempio, una situazione stressante per molti. Abbiamo 3 varianti: a) mi trovo a parlare di fronte a un pubblico impegnativo; b) osservo una persona che fa questo; c) penso di trovarmi in questa situazione (lo penso solamente). Ebbene, in tutti e tre i casi si attivano i circuiti dello stress!

Nel primo attivati dalla mia valutazione del contesto, nel secondo per una forma di “contagio” da empatia e nel terzo attivati dai miei pensieri negativi.

Ciò ci dice quanto vivere in un mondo complesso e connesso metta alla prova le nostre capacità di adattamento e quindi l’uso che facciamo di circuiti arcaici come quelli dello stress – plasmati dall’evoluzione addirittura prima della comparsa dell’Homo Sapiens – nel nostro attuale contesto di vita.

BENESSERE E SALUTE

Non c’è pertanto da stupirsi se la ricerca ha evidenziato una forte relazione tra livelli di stress, benessere e salute. Il problema dello stress è la sua funzione evolutiva: salvare la vita viene prima di ogni altra funzione. E quindi tali circuiti hanno 2 caratteristiche essenziali: sono pervasivi, cioè coinvolgono tutto il nostro essere, dalle cellule alla psiche, e prioritari, cioè prendono il sopravvento su ogni altra funzione.

Questi circuiti indirizzano le energie, il funzionamento corporeo, il comportamento per dare in massimo. Un respiro più corto, un cuore che batte più velocemente, una pressione sanguigna che aumenta, i muscoli che si tendono, uno stato generale di allerta e tensione, e così via. Il corpo si attiva in relazione alla sfida percepita dalla nostra psiche. In una situazione normale, tutto ciò dovrebbe essere modulato con momenti o periodi di attivazione e fasi di recupero. Un po’ come accade con la veglia e il sonno, o con lo sforzo fisico e il riposo: una fase, anche intensa, di impegno e poi una fase di recupero. 

Ma cosa accade se i circuiti dello stress vengono sollecitati troppo spesso? Se, consapevolmente o meno, noi teniamo il pedale dello stress pigiato con frequenza eccessiva, i tempi di recupero divengono inadeguati e la macchina comincia ad andare in sofferenza. Questa sofferenza all’inizio si traduce in fatica, in segnali di stanchezza fisica e/o mentale. Qui il fattore tempo è fondamentale, poiché se queste situazioni sono momentanee non succede nulla, ma se le trasciniamo per anni allora la nostra struttura (corpo e mente) subisce un logoramento che altera in vario modo il suo funzionamento.

Si parla di “disturbi funzionali” perché ancora non ci sono danni, lesioni, alla struttura, cioè malattie vere e proprie. Ma queste possono arrivare se le cose vanno avanti, come mostrano migliaia di ricerche e di studi epidemiologici.

Chi vive nello stress cronico ha un rischio più elevato di ammalarsi a livello cardiovascolare (+70%) (Rozanski, 2014), di diabete (+50%) (Hackett e Steptoe, 2017), di tumori (Chida et al., 2008; Batty et al., 2017), sviluppando demenza (+20%) (Johansson et al., 2013), e così via.

Una condizione di distress psicologico (accentuato disagio) protratta per molti anni compromette la salute del 65% (Russ et al., 2012). I dati parlano chiaro: oggi lo stress cronico è il principale fattore di rischio per la salute umana. Ma prim’ancora di compromettere la salute, è la qualità della vita che si abbassa, il concetto di “benessere” oggi da molti associato all’idea di beni materiali, ma che in realtà va riferito allo stare bene con sé stessi e con la vita (“ben-essere”).

Lo stress cronico, infatti, logora anche la psiche, il centro di coordinamento e progettazione della nostra attività, delle nostre relazioni, della nostra vita in generale. Sia indirettamente, dato che logora i circuiti cerebrali che supportano la psiche, sia direttamente, dato che alimenta vissuti più negativi e riduce le nostre capacità di riflessione, consapevolezza e progettazione. Peggiora il modo in cui vediamo e affrontiamo il mondo, e ciò proprio quando ne avremmo più bisogno!

IL BUON USO DELLO STRESS

Noi oggi siamo portati a considerare la nostra salute più come un patrimonio che va tutelato e, se possibile, accresciuto, che come una passiva rendita genetica da spendere vivendo.

E in effetti l’idea è corretta perché partiamo da eredità genetiche diverse, ma la salute è frutto dell’interazione dei geni con il contesto e le nostre esperienze: ciò che facciamo e come viviamo. Ecco quindi che un’attività fisica e un’alimentazione equilibrata diventano pratiche importanti, atte ad accrescere il buon funzionamento del nostro organismo e a proteggerci dalle malattie.

Accanto a questo, tuttavia, dobbiamo aggiungere il buon uso dello stress, perché viviamo in un mondo potenzialmente molto stressogeno e lo stress cronico fa numerosi danni. Però, attenzione: non ripetiamo l’errore che è stato fatto, per esempio, con l’alimentazione. L’esempio è calzante. Un mondo ricco di cibo ha portato le persone a mangiare di più, spesso usando perdipiù il cibo come forma per scaricare le tensioni del vivere.

La risposta è stata il diffondersi delle diete intese come prescrizioni, elenchi di cose da fare o vietate, come se le persone fossero tutti scolaretti da mettere in riga. Ma queste ricette calate dall’alto non funzionano, le persone hanno bisogno di sviluppare una consapevolezza e una motivazione adeguate per fare le cose giuste. Oggi si è capito che per alimentarsi correttamente non servono prescrizioni rigide, ma una cultura diffusa del mangiare sano e lo sviluppo di un atteggiamento equilibrato verso il cibo.

Ebbene, anche per il buon uso dello stress serve proprio questo: più che formule comportamentali pretenziosamente valide per tutti, bisogna aiutare le persone a costruire un equilibrio personale. Abbiamo visto come lo stress sia l’energia che utilizziamo lungo le strade della vita, soprattutto quando ci sono salite, ripide discese od ostacoli da superare, quando la psiche – cosciente o inconscia – percepisce problemi, rischi, sfide, reali o immaginari che siano. Vediamo allora di capire da cosa dipendono soggettivamente i nostri livelli di stress.

Ognuno di noi, quando affronta la vita, in tutti i suoi aspetti (dallo studio o lavoro agli affetti, svaghi ecc.) si trova di fronte a “richieste” provenienti dal mondo esterno e a bisogni e aspettative personali. Un lavoro, per esempio, si traduce in una serie di richieste (cose da fare, compiti, comportamenti) al lavoratore. Ma lo stesso lavoratore è portatore di bisogni e aspettative rispetto al proprio lavoro. Possiamo chiamare tutto ciò “richieste esterne e interne”.

D’altra parte, per restare in questo esempio, il lavoratore ha delle risorse personali (competenze specifiche, abilità intellettive ed emotive ecc.) con cui gestire le richieste, alle quali si aggiungono le risorse che può procurarsi dal contesto (i colleghi, le tecnologie, le informazioni). Possiamo ora immaginare tale persona, che chiameremo Andrea, al centro di questi 4 fattori: richieste esterne e interne, risorse interne ed esterne. Se tracciamo una croce su un foglio, possiamo anche dare un punteggio da 1 a 10 a dette voci e fare delle somme.

Secondo il modello della “bilancia dello stress” (Lazzari, 2017) messo a punto con una serie di ricerche, l’equilibrio fra i 4 aspetti racconta le nostre dinamiche adattive e il bilancio che ne consegue: il livello di sbilanciamento evidenzia i nostri livelli di stress.

Per fare un esempio assai semplice: se ho 17 alla voce “richieste” (9+8) e 12 a quella “risorse” (5+7), lo sbilanciamento di 5 evidenzia un gap negli equilibri adattativi personali che si traduce in una probabile attivazione cronica dello stress. Si tratta di un modello semplice ma nient’affatto banale che è stato messo alla prova con diversi parametri di stress (ansia, depressione, stress percepito, livelli fisiologici di stress) confermando che più ci si allontana dall’equilibrio fra i 4 fattori e più elevati sono i livelli di stress.

Questa bilancia ci aiuta a capire come siamo messi nelle diverse situazioni della vita, a sviluppare maggiore consapevolezza e quindi strategie personali più funzionali ed equilibrate. In pratica, stiamo trattando la nostra energia alla stregua dei soldi e tracciamo delle valutazioni dinamiche tra guadagni (attuali e possibili) e spese (attuali e possibili).

IL PRIMO STEP: VIA I LUOGHI COMUNI 

Ci sono tante idee sbagliate che ci impediscono il buon uso dello stress: pensarlo come qualcosa di troppo generico e inafferrabile, vedersi come impotenti (“Che ci posso fare?”), pensare che per combatterlo occorra cambiare completamente vita o diventare un’altra persona. Non c’è nessuna “mission impossible”, non occorre complicarsi la vita!

Se i circuiti e le manifestazioni dello stress sono certamente complessi, il concetto di fondo è semplice: possiamo osservare quanta energia investiamo e dove, e quando ne vale la pena, come la ricarichiamo. Selezionare le richieste che ci arrivano dal mondo esterno, valutare il realismo delle nostre aspettative e l’autenticità dei nostri bisogni, osservare se sono congrui con le risorse che ci attribuiamo o che potremmo sviluppare.

Osservare quanta energia prendiamo dal mondo e quanta ne diamo: essere altruisti a volte è molto gratificante. In questo mondo complesso non ci servono ricette semplificate o dei guru che ci dicano cosa fare, ci serve diventare più consapevoli di noi stessi, osservarci senza timori sapendo dove guardare. Sembra che dobbiamo imparare a vivere meglio – è un paradosso? Anni fa non avevamo bisogno di imparare a mangiare o a fare movimento, si mangiava ciò che dava la terra che calpestavamo e facevamo movimento per vivere. Oggi le possibilità si sono moltiplicate e siamo entrati nell’epoca delle scelte esistenziali, di un rapporto artificiale con il mondo, delle strategie soggettive. Se la vita è un investimento continuo, conviene saperne qualcosa di più.

UN'OTTICA VINCENTE 

La visione dello stress e il modello della “bilancia” presentati in questo articolo sono in piena sintonia con la visione di Kelly McGonigal illustrata nel suo libroIl lato positivo dello stress. Perché lo stress fa bene e come sfruttarlo al meglio (Giunti Psychometrics, 2018).

Come abbiamo visto, lo stress è energia per affrontare gli impegni e le sfide della vita, e il tema è quello di usarlo al meglio, non certo di demonizzarlo. Come dice la McGonigal, «lo stress è ciò che si manifesta quando in gioco c’è qualcosa che vi interessa», e certamente non possiamo augurarci di vivere una vita senza interessi!

Assumere lo stress come energia positiva ci fornisce la giusta prospettiva per allearci con esso, per utilizzarlo anziché combatterlo, per trovare il giusto rapporto “costi/benefici”.

Siamo portati a pensare che poco stress sia sempre un bene, oppure, all’opposto, che il massimo stress ci migliori i risultati. In realtà esiste in tutte le situazioni un’area ottimale di rapporto tra i livelli di stress e i risultati che otterremo, e trovarla dipende in gran parte da come vediamo le cose. La ricerca mostra – in modo a volte sorprendente – l’importanza del nostro atteggiamento. Mettere a fuoco il lato positivo dello stress trasforma ciò che viviamo e le sue ricadute su corpo e psiche, cambia il modo in cui affrontiamo le sfide della vita e ci consente di gestire al meglio la nostra “bilancia” personale.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui