Silvia Bonino

Ragionare per similarità e prototipi:

veloce ma ingannevole

I bambini spesso ragionano secondo meccanismi illogici frutto della loro percettività. Il problema è quando queste modalità persistono in età adulta.

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I bambini ragionano in modo diverso dagli adulti, come ogni genitore attento può notare nella quotidiana vita familiare. Non è un caso che Jean Piaget, uno dei massimi studiosi dello sviluppo dell’intelligenza e del pensiero, abbia effettuato le sue pionieristiche osservazioni sui propri figli piccoli. Nell’infanzia i bambini sono colpiti dagli aspetti percettivi delle situazioni e i loro ragionamenti vanno dal particolare al particolare. Di conseguenza essi collegano tra loro realtà diversissime, e stabiliscono connessioni arbitrarie e illogiche, solo sulla base di similarità percettive.

Piaget riporta un esempio illuminante, riferito alla propria figlia di 3 anni. La bimba aveva richiesto delle arance; le era stato risposto che non era possibile, perché in quella stagione non erano commestibili, in quanto ancora verdi e non gialle e mature. Poco dopo, bevendo la camomilla, la bambina osservò che questa era gialla, non verde, e richiese le arance. Per lei, se la camomilla era gialla, anche le arance dovevano esserlo, e potevano di conseguenza essere mangiate, così come la camomilla poteva essere bevuta. Questo tipo di ragionamento è stato definito analogico o trasduttivo: per quanto potenzialmente creativo, esso conduce a conclusioni erronee. (CONTINUA...)

Dall’attenzione ai singoli aspetti percettivi, i bambini passano poi a considerare in modo privilegiato la tipicità di una situazione o classe di fenomeni, con l’uso di una strategia di ragionamento che è stata definita “euristica della rappresentatività”.

Per esempio, se si chiede a bambini della scuola primaria, intorno agli 8 anni, se d’estate al mare è maggiormente probabile che ci siano più donne o più donne abbronzate, essi rispondono in grandissima maggioranza che ci sono più donne abbronzate. La risposta è errata sul piano logico, perché la sottoclasse delle donne abbronzate è necessariamente meno numerosa della classe più generale e includente delle donne; infatti, la probabilità di un evento diminuisce se questo viene congiunto a un altro: con il crescere dei vincoli, diminuisce la probabilità. La risposta errata non è limitata alla fanciullezza, ma persiste anche nelle età seguenti, quando lo sviluppo del pensiero logico formale dovrebbe invece farla scomparire. Essa rimane maggioritaria ancora nella prima adolescenza; in seguito è utilizzata da un terzo dei diciottenni, mentre gli studi sugli adulti confermano che anche questi ultimi compiono ancora molti errori nel ragionamento di tipo probabilistico, privilegiando l’euristica della rappresentatività.

Questi risultati indicano che i bambini, ma anche gli adolescenti e gli adulti, ragionano sovente non seguendo le regole della logica e quindi della probabilità, ma in base alla rappresentatività o tipicità di una situazione. Al mare, le donne abbronzate non sono più numerose delle donne, ma sono più rappresentative di una situazione di vacanza di cui l’abbronzatura è parte integrante: sono, insomma, il prototipo della donna al mare. Di conseguenza, la valutazione della frequenza viene fatta sulla base non di criteri logici, ma della tipicità, con l’utilizzo dell’euristica della rappresentatività. 

Il persistere dell’uso di tale strategia anche in età adulta indica che molta parte delle nostre valutazioni, nella vita quotidiana, si basa non sulle regole del ragionamento logico, ma su altri criteri, fortemente legati alla nostra esperienza. Sono determinanti non solo gli elementi percettivi, ma soprattutto l’esperienza fatta nella vita sociale, con le emozioni positive o negative che ad essa sono associate. Si creano, così, prototipi altamente rappresentativi che condensano in una persona o situazione caratteristiche rilevanti sul piano non solo percettivo, ma anche emotivo e sociale. Il prototipo diventa un punto di riferimento nella nostra vita di tutti i giorni, dove ci consente valutazioni e giudizi rapidi, sulla cui base agire. Proprio perché viola le regole della logica e del ragionamento probabilistico, l’euristica della rappresentatività tende a diminuire lungo l’età evolutiva, come conseguenza sia dello sviluppo neurofisiologico sia della scolarizzazione. Quest’ultima in particolare svolge un ruolo decisivo nell’abituare le persone a ragionare in modo logico.

In mancanza di tempo per una valutazione di tutti gli elementi, e in presenza di situazioni semplici, l’errore logico su cui l’euristica della rappresentatività si fonda può essere trascurato e non avere effetti significativi. Questo modo di ragionare diventa però rischioso se vi ricorriamo pure per valutare situazioni complesse che richiedono invece di essere analizzate con strumenti di tipo logico. In casi del genere, tale euristica diventa fonte di gravi errori, perché porta a valutare in modo errato – in specifico a sovrastimare – condizioni che sono identificate come prototipiche. Per fare un esempio di attualità, pensiamo a come possiamo essere indotti a rappresentarci tipicamente l’immigrato quale delinquente (in quanto ladro, sfruttatore, spacciatore, terrorista), dal momento che alcuni di loro lo sono e che l’impatto emotivo e sociale del loro comportamento è fortissimo. Questa rappresentazione prototipica può indurci a ritenere che tutti gli immigrati siano disonesti, e quindi ad affrontare il fenomeno dell’immigrazione in termini illogici e inadeguati, con soluzioni che nei fatti si riveleranno inefficaci o controproducenti.

Lo studio della psicologia dello sviluppo ci aiuta quindi a comprendere la complessità e gli inganni del nostro modo di pensare, dove modalità di ragionamento prevalenti nelle prime fasi dello sviluppo non si perdono, ma coesistono, anche in età adulta, con altre modalità più evolute e razionali. Essere consapevoli di questa complessità è il primo passo per non cadere in modalità di ragionamento, appunto come quelle basate sulle analogie percettive e sulla prototipicità, che ci conducono a conclusioni illogiche e di conseguenza a decisioni erronee. Occorre pertanto riconoscere che nel nostro modo di ragionare, anche da adulti scolarizzati del mondo occidentale, coabitano criteri diversi, non tutti di tipo logico. Questa consapevolezza è il frutto di una riflessione su di sé, e sul proprio modo di ragionare, che richiede tempo e capacità critica: caratteristiche che mancano del tutto nelle reazioni automatiche dei “mi piace” o “non mi piace” e nei pochi caratteri di un tweet sulle reti sociali. È, dunque, più che mai compito della scuola educare al ragionamento logico e alla capacità di individuarne gli errori.

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo nell’Università di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).

silviabonino.it

Questo articolo è di ed è presente nel numero 273 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui