Elisabetta Galli

Metodo e abitudini per il successo negli studi

Alcune riflessioni e qualche consiglio su come perfezionare il proprio metodo di studio, tenendo a mente la più potente delle leve: l’automotivazione.

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Il tema del talento e delle alte prestazioni è oggi assai rilevante sia nel campo degli studi che nell’orientamento al lavoro poiché si ritiene che nel mondo attuale, sempre più competitivo e globalizzato, il titolo di studio non costituisca più una garanzia per un’occupazione qualificata.

Per acquisire prestazioni elevate, dunque, non sono sufficienti motivazioni e capacità: sono fondamentali la determinazione, la pianificazione delle tappe di apprendimento e l’adozione di un metodo basato su regole e abitudini capaci di modificare i comportamenti errati in attitudini profonde e ben orientate. L’individuo è chiamato a costruirsi un percorso di qualità che lo renda flessibile e abile per affrontare le sfide della vita personale e professionale, ma un simile percorso di formazione è lungo e complesso e talvolta irto di difficoltà.

Lo studente, specialmente nell’approcciare studi a maggior tasso di difficoltà, come quelli universitari o della scuola superiore, è spesso disorientato e senza un metodo chiaro e ciò conduce di frequente all’insuccesso o all’abbandono degli studi. Dunque, cultura, consapevolezza, pianificazione e un efficace metodo di studio sono gli architravi su cui si fonda il successo nel percorso di studi, unitamente alla necessità di coltivare (o ritrovare) la riflessione, che, per dirla con Socrate, è alla base della vera conoscenza.

I DIVERSI TIPI DI MEMORIA

Perché avere metodicità nell’apprendimento è fondamentale? Perché è il giusto mezzo che permette di ottenere risultati e raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissi, attraverso un processo di accumulazione ragionata della informazioni acquisite. Sia sufficiente osservare – per analogia – che è il metodo, in particolare quello assai noto come “scientifico” o “sperimentale”, determinato da diverse fasi conseguenziali e verificabili, ad animare la scienza e con essa il progresso in tutti i campi della vita.

Tuttavia, ciò che talvolta praticano gli studenti è uno studio lasciato alla estemporaneità, privo di sistematicità e carente di una precisa pianificazione; talaltra, il metodo seguito – pur presente – non tiene conto dei processi neurologici dell’apprendimento e perciò si rivela completamente inefficace a consolidare i concetti, a sviluppare il ragionamento critico e le capacità logiche, ad aumentare il tasso di conoscenza profonda di un argomento. 

Lo studio dei processi di apprendimento e della relazione fra memoria e cervello è progredito molto negli ultimi anni, anche per la tendenza a indagarne gli aspetti salienti nella quotidianità, al di fuori della situazione protetta del laboratorio. Risulta importante, per comprendere meglio la funzionalità e il ruolo della memoria nel processo di apprendimento, proporre un breve excursus sulle principali ricerche nel campo. 

Seppure resti controverso quante specie di memoria si conoscano, ne sono stati individuati e indagati alcuni tipi fondamentali, riassumibili in memoria sensoriale, memoria a breve termine e di lavoro, memoria a lungo termine, memoria quotidiana e memoria autobiografica. In particolare, la memoria a breve termine indica l’immagazzinamento temporaneo di piccole quantità di informazioni di natura non solo verbale, ma anche spaziale e visiva, e questo ci aiuta a svolgere i tanti compiti legati alla normale vita quotidiana. 

Per quanto attiene alla cosiddetta memoria a lungo termine, fondamentale per il trattenimento delle nozioni utili per uno studio approfondito e duraturo, si deve a Squire l’importante distinzione fra memoria esplicita o dichiarativa e memoria implicita o non dichiarativa. La memoria esplicita si riferisce alle situazioni nelle quali pensiamo che sia in gioco la memoria così come viene comunemente concepita, e cioè come la rimembranza di eventi particolari o di circostanze. La memoria implicita si riferisce invece ad apprendimenti che si traducono in prestazioni, come per esempio imparare a nuotare o ad andare in bicicletta, senza tradursi in ricordi espliciti.

Esistono poi dei tipi di memoria di carattere pratico che la ricerca scientifica ha preso meno in considerazione a causa anche della difficile comprensione del rapporto fra attenzione e memoria, quali per esempio la memoria prospettica o la memoria autobiografica, che concerne i ricordi che abbiamo su noi stessi e sulle relazioni che abbiamo costruito con le persone e con il mondo circostante.

Ma quale processo sottende l’apprendimento e il ricordo delle informazioni acquisite? Il premio Nobel Eric R. Kandel lo spiega molto bene: «L’apprendimento è il processo con cui acquisiamo nuove conoscenze sul mondo, e la memoria è il processo con cui conserviamo quelle conoscenze nel tempo. La maggior parte delle nostre conoscenze sul mondo e la maggior parte delle nostre competenze non sono innate, ma acquisite, costruite nel corso di una vita. Di conseguenza siamo ciò che siamo in buona misura grazie a ciò che abbiamo appreso e a ciò che ricordiamo».

La memoria si affina principalmente quale deposito delle informazioni e successivamente quale tecnica per il richiamo delle informazioni al momento della necessità del loro utilizzo. È noto che prima di essere conservate nella memoria profonda e a lungo termine, le informazioni sono immagazzinate nella memoria a breve termine e che il processo di conservazione e consolidamento è lungo perché i ricordi non vengono semplicemente raccolti ma anche costantemente rielaborati alla luce delle nuove informazioni che si vanno ad acquisire. Questo non è un mero processo di tipo meccanico, perché la memoria non trattiene solo sensazioni, percezioni, azioni, ma è la straordinaria plasticità delle nostre reti neuronali che sta alla base dei processi di memorizzazione poiché essa garantisce l’efficienza del funzionamento delle connessioni (sinapsi), capaci di eliminare quelle considerate superflue e di instaurarne di nuove. Il processo di selezione e scarto delle informazioni è peraltro indispensabile per garantire la massima efficienza e flessibilità della memoria stessa.

Le numerose ricerche scientifiche sul tema hanno dimostrato e convenuto che il cervello, durante l’apprendimento, ricorda soprattutto: i primi elementi imparati (effetto priorità); gli ultimi elementi pronunciati (effetto tempo recente); le nozioni collegate ad altre che sono già parte del patrimonio della persona; gli elementi particolarmente enfatizzati o eventi unici; gli elementi che coinvolgono in modo cospicuamente intenso uno o più dei cinque sensi, ovvero fatti che suscitano una forte emozione (per esempio, il giorno del matrimonio); gli elementi o fatti che suscitano uno spiccato interesse nella persona (chi ama il calcio ricorderà con particolare facilità la formazione delle squadre del campionato).

RAGIONAMENTO VS. MEMORIA: UNA DICOTOMIA DA SFATARE 

Noi siamo ciò che siamo perché abbiamo la capacità di ricordare quello che abbiamo pensato. «La memoria è il collante che consolida la nostra vita mentale, l’impalcatura che sostiene la nostra storia personale e ci permette di crescere e di cambiare nel corso della vita», sostengono due grandi scienziati come Squire e Kandel. Anche nel processo di apprendimento è il ricordo che permette alle nozioni studiate di diventare parte del nostro patrimonio. Ma è il ragionamento che connette le conoscenze tra loro, che ci dà modo di comprenderne la causa e gli effetti, che ci consente di chiarire i processi induttivi e deduttivi.
 

IL METODO DI STUDIO MIGLIORE

Poste queste considerazioni, ci chiediamo quale sia il metodo di studio più efficace per apprendere. È appena il caso di ricordare che sono le azioni di valore compiute giorno dopo giorno a radicarsi in noi e a permetterci di acquisire un valido metodo di studio e giungere al successo. Sostiene Luca Mazzucchelli, il direttore di questa rivista, autore del volume Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati: «Tu oggi non sei nient’altro che il risultato delle abitudini che hai adottato negli ultimi cinque anni […]. Allo stesso modo, tra cinque anni non sarai nient’altro che il risultato delle abitudini che da oggi deciderai di adottare». Il principio delineato vale, forse più che in ogni altro campo, in riferimento allo studio e all’acquisizione di nuove conoscenze. 

Per favorire l’apprendimento si deve sviluppare la concentrazione, abilità che oggi i giovani stanno sempre più perdendo anche a causa del massiccio uso delle tecnologie. È importante abituarsi a permanere in uno stato definito di flow (flusso), dove cioè ci si senta pienamente coinvolti. Di converso, se si legge un argomento per cui si prova scarso interesse, in quanto troppo facile (ne deriverebbe noia) o viceversa troppo complesso (ne deriverebbe una sensazione di frustrazione), l’apprendimento risulta più difficoltoso. Come insegna Mihaly Csikszentmihalyi, lo stato di flow rappresenta un coinvolgimento totale nell’attività, animato da obiettivi chiari. Perciò lo studente dovrebbe costantemente abituarsi e allenarsi a permanere nello stato di flow, riuscendo a evitare il più possibile le distrazioni sia tecnologiche (per esempio, la ricezione di notifiche del cellulare) o di altra natura (per esempio, la presenza del coinquilino che disturba mentre si è in casa a studiare). Contribuiscono a sviluppare questa abilità: l’effettuare un programma chiaro di studio suddividendo un grande obiettivo in sotto-obiettivi (per esempio, prefiggersi di studiare il secondo e il terzo capitolo del testo d’esame in una data fase del tal giorno); l’avere un approccio attivo alle questioni (porsi domande su ciò che già si conosce in merito a un argomento e su ciò che si intende apprendere; operare collegamenti con altri temi o discipline); il crearsi un ambiente di studio idoneo. E, qui, sia consentito un rapido cenno. 

L’ambiente, sia esso la biblioteca o la stanza di casa, influisce notevolmente sulle prestazioni di studio, perciò è bene recarsi in un contesto in cui si ha voglia di stare. Se si tratta della stanza di casa, potrebbe essere utile personalizzarla il più possibile con alcuni strumenti che facilitano l’apprendimento, quali il leggio per aiutare la vista e la postura, e una lavagna ove “simulare” la situazione d’esame. Il dilemma degli studenti sovente è poi: musica o silenzio assoluto? Tendenzialmente, la seconda opzione è da preferire. Nel caso in cui si scelga la musica, che essa sia sempre senza le parole (che rappresenterebbero una grande distrazione per il cervello); alcune ricerche hanno poi dimostrato che la musica di Mozart ha influssi positivi sulla ritenzione. 

Ma su tutte queste considerazioni una è preminente: l’abitudine ad essere ordinati, che per i giovani è particolarmente difficile da attuare. Si è mai vista una sala chirurgica disordinata oppure un box di Formula 1 con gli strumenti per il cambio-gomme accatastati a caso? No, e la ragione è semplice: l’ordine aiuta a supportare il pensiero e la logicità e, al contempo, ad evitare le distrazioni. Perciò, almeno sulla scrivania (ma sarebbe auspicabile in generale) l’ordine dev’essere massimo, con i soli libri e materiali dell’argomento che si sta affrontando. 

CRONOBIOLOGIA DELLO STUDIO E DEGLI ESAMI

Roberto Manfredini, ordinario di Medicina all’Università di Ferrara, ha scritto un recente e interessante saggio dal titolo Un tempo per ogni cosa. Vivere in sintonia con il proprio orologio biologico. Egli sostiene che dalle 9 alle 11 rende al massimo la memoria a breve termine, mentre la memoria a lungo termine è favorita dopo la pausa pranzo. Il giorno dell’esame, poi, meglio essere tra i primi dell’appello (almeno per coloro che hanno un cronotipo da “allodola”, cioè vispi e brillanti al risveglio), mentre per i cronotipi “gufi” (più lenti a svegliarsi e ad affrontare la giornata) tra le 10 e le 12 potrebbe essere il momento migliore. 

ALTRE ABITUDINI DA INCORAGGIARE

Come ci insegna la scienza, perseveranza, volontà e autodisciplina favoriscono l’automotivazione, che è sicuramente una leva forte per ottenere risultati eccellenti negli studi, e anche su questo aspetto è opportuno lavorare con metodo. Ora, ripercorrendo idealmente una giornata di studio, individuiamo alcuni dei comportamenti che, se diventassero abitudini, potrebbero aiutare lo studente nel suo percorso. 

Abituarsi a programmare: nulla va lasciato al caso. Si devono pianificare con cura gli esami da sostenere e il materiale da studiare, specialmente all’università, ove, a differenza della scuola superiore, gli studenti sono lasciati estremamente liberi. Diceva saggiamente Benjamin Franklin: «Se non riesci a pianificare, stai pianificando di fallire». 

Frequentare le lezioni (all’università): è sicuramente una sana abitudine, se il tempo viene messo a frutto, e perciò è bene interagire con i colleghi e con il docente e prendere appunti in modo produttivo, evitando del tutto l’approccio passivo. Rivedere subito dopo la lezione, seppur brevemente, gli appunti su ciò che il docente ha spiegato evita inoltre un drastico decadimento del ricordo.

Abituarsi a effettuare i cicli di studio: 40 minuti circa di studio concentrato, 15 minuti di autentica pausa rigenerante (evitando i social), 5 minuti per rivedere ciò che si è appreso nei 40 minuti precedenti. Ciò scongiura un sovraccarico mentale che di sicuro è scarsamente produttivo. 

Utilizzare un metodo per studiare in modo efficace: le mappe mentali, ideate dallo psicologo Tony Buzan e delle quali il massimo esperto in Italia è Matteo Salvo, combinando colori, immagini e parole-chiave aiutano a immagazzinare con facilità anche grandi quantità di nozioni, pure complesse. 

Abituarsi a “studiare per spiegare”: quando un concetto o una nozione li si sono appresi veramente e se ne è pienamente padroni, allora li si sapranno spiegare agli altri. È questo un aspetto chiave di primaria rilevanza. Spesso gli studenti pensano di aver studiato, ma in realtà non sono in grado di trasferire poi le conoscenze al professore o alla commissione. È fondamentale abituarsi a intraprendere uno studio che non sia mai fine a sé stesso, bensì immaginare di dover spiegare l’argomento, per esempio, ai partecipanti di una conferenza o ai colleghi.

Si ricordi, inoltre, che il confronto con i migliori aiuta a crescere: pertanto un buon metodo di studio potrà prevedere, oltre all’applicazione individuale, sessioni di ripasso con i colleghi e momenti di confronto, ma è bene allenarsi sempre con chi è capace e possibilmente è il migliore: questo rappresenterà uno stimolo per crescere. 

Infine, è opportuno rammentare, e possibilmente mettere in pratica, anche se alcune volte sarà difficile, che se si riuscirà ad associare emozioni positive all’apprendimento – cosicché lo studio possa risultare un piacere – si schiuderanno le porte della conoscenza e di un brillante futuro. Giacché, come dice il saggio, «La conoscenza è la capacità d’infinito che è data a noi umani»

Elisabetta Galli, Ph.D., è autrice di pubblicazioni scientifiche sul diritto penale, consulente aziendale e istruttrice certificata da Tony Buzan per insegnare le Mappe Mentali®.

https://www.eblconsulenza.it/elisabetta-galli/


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Doidge N. (2016), Il cervello infinito (trad. it.), Ponte alle Grazie, Milano. 

Goldberg E. (2010), La sinfonia del cervello (trad. it.), Ponte alle Grazie, Milano. 

Kandel E. R. (2017), Alla ricerca della memoria (trad. it.), Codice, Torino. 

Manfredini R. (2019), Un tempo per ogni cosa. Vivere in sintonia con il proprio orologio biologico, Piemme, Casale Monferrato.

Salvo M., Galli E. (2018), Professione: studente 30 e lode. Il metodo rivoluzionario per affrontare l’università con successo, Feltrinelli-Gribaudo, Milano. 

Trabucchi P. (2018), Opus, Corbaccio, Milano. 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 282 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui