Donatella Di Corrado

La psicologia dello sport tra antichi modelli e sfide recenti

Le differenze tra gli atleti, i fattori psicologici che influenzano le prestazioni, le dinamiche di gruppo, il legame tra processi cognitivi e attività motorie, la salute mentale e il doping, la riabilitazione degli infortuni: sono solo alcuni degli oggetti di studio di una disciplina giovane ma di crescente interesse

 

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L’introduzione della definizione di “psicologia dello sport” si deve a Pierre de Coubertin, fondatore dei giochi olimpici e che tenne, nel 1913 a Losanna, il primo convegno internazionale dedicato agli aspetti psicologici e psicofisiologici della pratica sportiva. All’inizio della sua storia la psicologia dello sport si era data come obiettivo quello di studiare la personalità degli atleti, ricercando modelli cognitivi e comportamentali utili a differenziare le caratteristiche degli atleti dagli altri uomini (le differenze di genere nella pratica di uno sport, nonché le differenze individuali). Oggi si pone come obiettivo la salvaguardia del benessere psicofisico dell’uomo e del suo essere atleta, analizzando i processi mentali, emotivi e gli effetti della pratica sportiva direttamente sulla persona, per favorire l’incremento della prestazione sportiva.

ALLENARE ANCHE LA MENTE

L’Association for the Advancement of Applied Sport Psychology sostiene che nel corso degli ultimi decenni il quesito più impellente posto dai tecnici e dagli atleti alla comunità scientifica è: «Come si possono compiere prestazioni sempre più eccellenti?».

Il principale oggetto del suo interesse e intervento è incentrato nei confronti dell’atleta di alto livello, in quanto portatore nel gesto atletico di tutto sé stesso: motivazioni, attitudini, abilità e capacità tecniche, ma anche portatore di sue eventuali insicurezze e conflitti. Oggi ogni atleta sa quanto sia vero che il primo reale nemico da battere è il fantasma della paura, dell’insicurezza, della bassa stima di sé, prima ancora dell’avversario. Sarebbero proprio le variabili intra e interpersonali, motivazionali ed emozionali prima di tutto, a fronte di una preparazione fisica ormai omologata, a determinare il rendimento dell’atleta. Dunque essere operativi nell’ambito dello sport significa sviluppare un programma di allenamento per la mente, al pari dei programmi di allenamento fisico; ma ancor prima significa lavorare su quegli elementi che costituiscono la base psicologica di un atleta, e che gli permettono di utilizzare al meglio le proprie risorse, attraverso un opportuno allenamento mentale (Cox, 2012). Quali pensieri attraversano la mente di un atleta mentre compie l’azione decisiva per la vittoria?

E quanto conta la coesione di gruppo nel mettere a punto una strategia di gioco?

Ma non è solo sugli atleti di élite, e su come migliorare la loro performance, che la psicologia dello sport centra la sua attenzione e le sue ricerche con risvolti applicativi.

GLI ASPETTI INTERDISCIPLINARI

Nel tentativo di allargare il proprio campo di intervento nella psicologia dello sport, i ricercatori sono in costante e continua interlocuzione con studiosi che provengono da altri ambiti disciplinari, scambiandosi modelli teorici e prassi operative. Infatti, la psicologia dello sport richiede approcci interdisciplinari rispetto sia ad altre branche della psicologia (psicologia cognitiva, psicofisiologia, neuropsicologia, psicologia clinica, dello sviluppo, sociale, applicata e delle organizzazioni, ecc.) sia alle scienze del movimento come la fisiologia, alla medicina dello sport, alle scienze dell’educazione.

Un argomento importante nella psicologia dello sport, specie nella formazione e alle età più giovani, è sempre stato quello relativo alla motivazione. Ma gli approcci sono cambiati fino ad arrivare ai resoconti più contemporanei che si concentrano su particolari fenomeni comportamentali: per esempio la teoria dell’autodeterminazione (Ryan et al., 2017).

Negli ultimi anni l’interesse dei ricercatori si è ampliato nella direzione della salute mentale e dei disturbi psichici sia tra gli atleti di élite (Kuettel et al., 2020; Lundqvist et al., 2021) che tra chi fa sport a livello dilettante. Questo interesse è stato, almeno in parte, stimolato dal movimento per la salute mentale trovato nei programmi globali di promozione della salute che richiedono una maggiore reattività nella società in generale.

E l’argomento interseca il campo della tendenza, sempre più diffusa anche a livello amatoriale, al doping e all’uso di sostanze dannose per la salute, oltre che per l’etica dello sport. Numerose ricerche (Lucidi et al, 2008, Murgia et al., 2014; Mallia et al., 2016) hanno studiato i fattori cognitivi ed emotivi che favoriscono questa tendenza, come la mancanza di efficacia autoregolatoria e il disimpegno morale.

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Questo articolo è di ed è presente nel numero 287 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui