Elena Buday

La costruzione dell'identità dell'adolescente tra amore e odio

In particolare per gli adolescenti, in fase di strutturazione della loro personalità, capire e comunicare cosa si ama e cosa si odia è un modo per fare risaltare la propria identità rispetto al mondo 

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Uno dei principali fattori di benessere psicologico è il senso di identità: se questo non è ben strutturato, ogni evento, scelta, relazione della nostra vita saranno più difficili, più sollecitanti, e saremo costantemente esposti al rischio di sofferenze, eventualmente anche di natura psicopatologica. Ma cosa si intende per “senso di identità”, e perché si tratta di un elemento così importante per la vita e la salute psichica?

L’identità: cos’è e perché è importante

Il concetto di identità rimanda alla coscienza della nostra esistenza e persistenza nel tempo, che permette di definirci come soggetti in un contesto con il quale intratteniamo relazioni e nel quale ricopriamo ruoli riconosciuti e relativamente stabili, pur nel mutare di condizioni interne ed esterne. Si tratta di poter disporre di un chiaro confine tra noi e gli altri che permetta di percepire con precisione cosa stia all’interno di questo confine (ciò che ci appartiene) e cosa invece collocare all’esterno, in quanto appartenente all’altro da noi. È dunque sul senso di identità che poggia la possibilità di intrattenere relazioni con il mondo esterno, riconosciuto in quanto tale e distinto da noi.

Com’è stato illustrato da Erikson nei suoi studi, divenuti classici, il senso di identità permette di attraversare i cambiamenti della vita con una percezione di continuità personale: possiamo vivere emozioni, relazioni e situazioni molto diverse senza perdere la nozione della nostra persistenza, la nostra stabilità e il senso di permanenza della nostra soggettività. In altre parole, si tratta di sapere chi siamo e di non perderci, non solo sul piano geografico, anagrafico e cognitivo, ma soprattutto su quello affettivo, che si esprime attraverso le nostre personalissime e mutevoli emozioni, di cui non necessariamente siamo pienamente consapevoli nel momento in cui le proviamo. Nelle prime fasi della nostra vita, esse sono esperite in modo non distinguibile da elementi estranei al sé e sono espresse attraverso azioni non controllabili, secondo un principio di azione-reazione: per esempio, il neonato si spaventa per un forte rumore e scoppia a piangere, senza avere la consapevolezza di quanto sta accadendo.

La possibilità di integrare consapevolmente le emozioni si basa su un complesso percorso maturativo reso possibile dal contenimento e dal rispecchiamento da parte di un ambiente sufficientemente adeguato e sintonico: interiorizziamo e facciamo nostre tali funzioni inizialmente erogate dall’ambiente, ossia impariamo a conoscere il nostro mondo emotivo sulla base delle risposte che l’ambiente dà alle nostre espressioni emotive inizialmente inconsapevoli. È così che le nostre reazioni emotive vengono progressivamente ad acquisire un significato consapevole che costituisce il nucleo della nostra soggettività e identità. Questa si costruisce nel continuo gioco di rimandi tra espressione/sperimentazione di sé e ritorni di senso e di valore forniti dall’ambiente: il tipo di significato che verrà offerto dall’ambiente alle nostre espressioni influenzerà in maniera importante le sue risposte, e con esse il nostro senso di noi stessi e la nostra identità.

 

A questo si associa la possibilità di mantenere un senso sicuro e stabile del nostro valore personale, ovverosia di possedere una solida autostima che ci sostenga sia quando incontriamo gli auspicati successi sia quando incorriamo in qualche inevitabile insuccesso. Questo nucleo solido e definito della nostra identità viene a costituire una “casa” interna sicura nella quale poterci sentire protetti dalle mutevoli vicende del mondo anche quando non vanno come vorremmo: le cose possono andar male, gli altri possono avere i loro pensieri, atteggiamenti, comportamenti non sempre in linea con i miei, ma io rimango io e questo mi mette in grado, se necessario, di prendere le distanze emotive da ciò che mi minaccia, mi disturba, mi sollecita eccessivamente, per poter riflettere con calma ed elaborare risposte e soluzioni che sento mie, a partire da un senso di sicure conoscenza, comprensione e padronanza del mio mondo interno. 

La centralità dell’adolescenza

Sebbene il processo di costruzione identitaria prosegua per tutta la vita, al punto da non potersi mai dire concluso, l’adolescenza è la fase della vita in cui siamo maggiormente impegnati in questo compito evolutivo, grazie alla maturazione neurobiologica e psico-sociale caratteristica di tale fase. Un bambino è in grado di dichiarare la propria identità basandosi sugli aspetti più concreti ed evidenti che ha appreso su sé stesso, ma è dall’adolescenza in poi che essa viene ad assumere significati affettivi profondi legati alla conoscenza e consapevolezza di sé come soggetto in relazione. La paradossale affermazione di Winnicott «Il bambino non esiste (senza una madre)» si riferisce senz’altro all’impossibilità per il cucciolo di sopravvivere senza le cure del caregiver, ma anche all’inconsapevolezza di sé e all’assenza, durante l’infanzia, di un confine percepito tra sé stesso e la madre, vissuta non come un individuo separato, ma come prolungamento indistinguibile di un sé indefinito. In altre parole, in questa fase manca un’identità soggettiva pienamente formata: in principio vi sono l’inconsapevolezza dell’esistenza propria e del mondo esterno, e la totale dipendenza dall’accudimento e dallo sguardo dell’adulto. Alla necessità di “essere visti”, che significa anche essere compresi e rispecchiati, seguirà poi la possibilità di arrivare a “vedersi” e comprendersi in relazione all’altro.

Il lungo lavoro di definizione dell’identità procede dunque da uno stato di completa fusione con l’ambiente, dal quale inizialmente non solo dipendiamo ma addirittura non ci distinguiamo in modo consapevole, verso la progressiva separazione, soggettivazione, definizione di confini che permetteranno sia la conoscenza di noi stessi come soggetti che quella degli altri; ciò è alla base dell’indipendenza nell’occuparci autonomamente di noi stessi e dei nostri bisogni, allorché saranno giunti a una rappresentazione consapevole. Nella costruzione di questa rappresentazione consapevole è cruciale il tipo di riconoscimento e di rispecchiamento erogati dall’ambiente, che percepisce il bambino e gli offre, attraverso risposte più o meno sintoniche e convalidanti, un’immagine di ritorno che lui interiorizzerà. L’identità, pertanto, non è un dato innato, bensì un’acquisizione progressiva e sempre in divenire, frutto di un importante processo evolutivo di costruzione sia cognitiva che affettiva, mediata dall’interazione con l’ambiente, che si avvia nella prima infanzia e prosegue per tutta la vita, trovando nell’adolescenza una fase di sviluppo cruciale.

Adolescenza: amore, odio e costruzione del confine

Osservando il funzionamento psicologico adolescenziale, alcuni fenomeni possono essere visti come indicatori dei tentativi di definire la propria soggettività in contrapposizione al mondo esterno, cioè di emergere come individui distinti dagli altri. Ne sono esempi quella polarizzazione di gusti e atteggiamenti, quelle estremizzazioni giovanili leggibili come indicatori del lavoro dell’adolescente che tenta di stabilire un confine chiaro tra ciò che gli appartiene e ciò che invece è altrui e va lasciato al mondo esterno.

La passione e l’entusiasmo che tanti ragazzi dimostrano per alcuni personaggi molto amati, assolutizzati nella loro positività e contrapposti a qualunque alternativa, insieme alla devozione che sono in grado di dedicare loro costituiscono un esempio di questi processi: affrontano volentieri e senza annoiarsi viaggi, corse, ore di attesa per incontrare il loro trapper preferito e scattare una foto con lui, perché è meraviglioso. Il suo odiato rivale è invece assolutamente “sfigato”, e la sua musica, che a noi adulti profani sembra piuttosto simile, è “inascoltabile”. Non proviamo nemmeno a proporre a un figlio adolescente di dedicare un decimo di quel tempo e di quella devozione ad attività diverse che a noi sembrano importanti ma che lui odia, come per esempio lo studio o il riordino della stanza: il povero ragazzo sarà preso dall’immediato esaurimento di qualunque energia vitale e stramazzerà sfinito sul divano, dimostrando così quanto sia profondo il suo disinvestimento sulle aree e sulle attività proposte da noi, ossia non dipendenti da una sua scelta o iniziativa personale.

La fisiologia della crescita spinge gli adolescenti a lavorare alacremente alla ricerca di nuovi oggetti, d’amore e d’odio, che permettano di disinvestire dai vecchi oggetti infantili da cui fino a poco tempo prima dipendevano. In tal modo il loro investimento affettivo viene progressivamente trasferito su nuovi contenuti, interlocutori, riferimenti, stavolta non attribuiti loro dalla sorte, com’è stato riguardo ai genitori o alla loro condizione di origine, ma personalmente scelti, dunque significativi ed espressivi dei loro gusti e dei loro nuovi posizionamenti identitari e relazionali.

Nel mondo extrafamiliare l’adolescente può scoprire aspetti comuni o di differenza che fondano la sua nascita sociale come soggetto non solo “figlio dei propri genitori”, ma anche attore di altre e differenti esperienze. Specialmente durante l’adolescenza, infatti, prendono avvio nuove vicende di sperimentazione di sé in ambienti esterni (amicali, sociali e sessuali), con l’acquisizione di nuovi ruoli progressivamente più significativi e investiti affettivamente, che sostengono l’ampliamento del senso di identità al di fuori del contesto familiare di partenza. Rispecchiarsi nel gruppo dei pari per identificarsi come soggetto distinto dalla propria famiglia, appartenente alla propria generazione: è in questo che consiste la nascita sociale. Per esempio, un adolescente potrà collocarsi tra gli sportivi, appassionati di una certa disciplina, di una certa squadra, di un certo campione, identificandosi con i loro valori e sentendosi appartenente a quel gruppo, eventualmente contrapposto ad altri gruppi, magari con colori avversari. Oppure seguirà interessi di altro genere, alla ricerca per esempio della popolarità e del successo sociale, o preferirà definirsi un musicista, un nerd, uno youtuber o un gamer… La costruzione di idoli, passioni e interessi condivisi è connessa a vissuti di identificazione con tutti coloro che, nella propria generazione, vivono lo stesso entusiasmo e trasporto, e crea un senso di appartenenza molto importante per la definizione identitaria.

Altrettanto fondante è l’aspetto di strutturazione dell’identità per differenza: gli adolescenti individuano non solo idoli, modelli e personaggi con i quali identificarsi, ma anche anti-idoli, persone dalle quali si sentono oltremodo diversi, distinti e distanti, coloro ai quali non vorrebbero mai assomigliare. Si tratta di processi di confronto con il mondo esterno che generano amori e odi profondi e intensi, assai importanti per la definizione dei propri valori e ideali, che spesso si depositeranno in maniera quasi permanente nella costruzione della propria identità: attraverso le sue reazioni affettive di amore e odio, l’adolescente sta scoprendo quali sono i valori di riferimento che intende far propri, basando su di essi le scelte della propria vita presente e futura, o che intende rifiutare. 
Secondo un’ottica psicodinamica, il senso di identità poggia su due pilastri fondamentali: da un lato, i processi di identificazione, che ci permettono di riconoscerci nei nostri simili come soggetti appartenenti a una stessa specie e comunità, comprendendo i sentimenti altrui sulla base dei nostri, ma anche imparando a comprendere i nostri sentimenti sulla base di quelli degli altri; dall’altro lato, ognuno di noi è anche un soggetto unico e irripetibile che si distingue in base a caratteristiche fisiche e psicologiche individuali, in virtù delle quali prova i propri sentimenti e pensa i propri pensieri: è a questo che si riferisce il pilastro dei processi di differenziazione.

L’identità si colloca dunque sul paradossale crinale tra uguaglianza e differenza rispetto agli altri soggetti che ci circondano: siamo uguali a loro ma diversi da loro, e il nostro senso di identità dipende sia dal poterci riconoscere/identificare con loro sia dal poterci da loro distinguere/differenziare. La sperimentazione, che ci porta alla scoperta di chi e cosa amiamo od odiamo, è un fattore fondamentale per permettere il progressivo affinamento del nostro senso di identità.

Amore, odio e costruzione identitaria nel contesto attuale

Quali tratti specifici vengono ad assumere i percorsi di costruzione identitaria nel contesto attuale? Tale contesto ha alcune caratteristiche peculiari. Sul piano affettivo-relazionale, la crescita dei ragazzi di oggi è caratterizzata da un livello particolarmente basso di conflittualità tra le generazioni: si parla di “famiglia affettiva”, contrapposta a quella “normativa”, prevalente fino ad alcuni decenni fa. Le famiglie risultano tendenzialmente più pacifiche, centrate sul mantenimento al proprio interno di una buona relazione e di un senso di appartenenza, spesso con scarsa differenziazione tra le generazioni. Si riscontra un forte utilizzo di processi di reciproca identificazione, volti a ottenere il rispetto delle regole per amore del genitore e non per paura dell’autorità: la funzione delle regole è protesa al mantenimento di una buona relazione e di una pacifica convivenza, piuttosto che improntata a valori etici assoluti e rivolti al mondo esterno, come accadeva nella famiglia normativa.

Assistiamo alla cosiddetta trasformazione del campo edipico in campo narcisistico, ovverosia al prevalere della realizzazione estetica del proprio sé (personale e familiare) sull’adeguamento sacrificale a norme e valori etico-morali. Nel campo narcisistico è diffusa l’aspirazione a rimanere belli, giovani, performanti e senza rughe come eterni adolescenti, con ancora tutte le possibilità aperte davanti a sé e poche scelte compiute e definitive dietro di sé.

Il contesto sociale extrafamiliare risulta caratterizzato inoltre dalla diminuita offerta di gruppi a forte connotazione identitaria. Un tempo era frequente che un giovane facesse parte di gruppi politici o religiosi, aderisse a correnti musicali specifiche e differenziate da altre (per esempio il punk), scegliesse look indicativi del suo posizionamento all’interno delle correnti della sua generazione. Oggi – con il prevalere del mercato globalizzato sulle ideologie politiche, da molti dichiarate ormai morte – questa esperienza è molto più rara: quei gruppi a forte connotazione identitaria sono pressoché scomparsi. Non solo non esistono più le sezioni di partito, che accoglievano in luoghi e identità differenziati i giovani “rossi” e i giovani “neri”, ma anche il fenomeno degli ultrà delle squadre di calcio ora risulta molto meno marcato, così come non esistono praticamente più le cosiddette “tribù giovanili” (punk, paninari ecc.), attualmente stemperate in look e aggregati generazionali assai simili e trasversali.

Quale effetto ha sulla costruzione identitaria degli adolescenti questa che potremmo chiamare “omologazione globalizzata”, priva di orientamenti precostituiti che indirizzino i loro vissuti di odio e amore? Nel contesto attuale la costruzione identitaria è per lo più affidata ai singoli, chiamati ad autodefinirsi senza l’appoggio a strutture collettive in grado di organizzare identità gruppali, come già ben descritto dal sociologo Bauman a proposito delle odierne “identità liquide”. Un rischio del mandato identitario individualistico della nostra cultura è quello del paradosso tra l’omologazione commerciale che ci rende tutti simili e la ricerca narcisistica di un’identità individuale che ci vorrebbe tutti diversi e speciali. L’obiettivo di individuarsi e di emergere non prevede l’appoggio a entità sociali che offrano un’appartenenza né un confronto antagonista. E questo, per gli individui emotivamente e psicologicamente più fragili, potrebbe risultare un compito alquanto difficile. Il mancato supporto gruppale alla gestione dei vissuti di amore e odio nella costruzione identitaria può essere uno degli aspetti che concorrono a determinare alcuni fenomeni di disagio, connessi alla ricerca di ideali irraggiungibili, alla vergogna e all’odio rivolto contro le parti fragili di sé e dell’altro, così diffusi tra gli adolescenti di oggi.

 

Riferimenti bibliografici

Bauman Z. (1999), Modernità liquida(trad. it.), Laterza, Roma-Bari.

Bauman Z. (2011), Intervista sull’identità(trad. it.), Laterza, Roma-Bari.

Erikson E. (2018), I cicli della vita. Continuità e mutamenti(trad. it.), Armando, Roma. 

Harter S. (1998), «The development of self-representations». In W. Damon, N. Eisenberg (Eds.), Handbook 
of child psychology: Social, emotional, and personality development
, John Wiley & Sons Inc., Hoboken, pp. 553-617.

Pietropolli Charmet G. (2003), Ragazzi sregolati, Franco Angeli, Milano.

Pietropolli Charmet G. (2008), Fragile e spavaldo, Laterza, Roma-Bari. 

Elena Budayè psicologa e 
psicoterapeuta, socia dell’Isti­tuto Minotauro, dove insegna ed è membro del comitato scientifico della Scuola di formazione in Psicoterapia psicoanalitica dell’adolescente e del giovane adulto.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui