Roberto Escobar

CINEMA: La fattoria dei nostri sogni

Un film, ispirato a una storia vera, su una coppia che lascia la città per la campagna. Al di là del facile mito bucolico, tutte le difficoltà e le frustrazioni nel tradurre in realtà il sogno naturalista, ma anche l’ostinazione nel restargli fedeli.

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l sogno di John e Molly Chester, marito e moglie, era, o sarebbe stato, vivere «in perfetto equilibrio con la natura». Regista e sceneggiatore lui, ottima cuoca lei, i due raccontano come il sogno prima sia diventato un incubo e poi si sia trasformato in un impegno realistico, coraggioso, generoso, e forse in qualcosa di più. Lo fanno nel film La fattoria dei nostri sogni (The Biggest Little Farm, USA, 2018, 91’), girato da lui, che lo ha pure scritto (con Mark Monroe), ma interpretato, e soprattutto vissuto, da entrambi.

La coesistenza con la terra è come un ballo, dice John a commento delle immagini che ripercorrono il lavoro fatto per anni con Molly. E intende la “terra”, che in italiano scriviamo con la minuscola, la terra che si coltiva. Ma alla fine del film appare con evidenza che si può intendere anche “earth”, in italiano “Terra” con la maiuscola.

Per realizzare il loro sogno, i due scelgono di lasciare la metropoli e di trasferirsi in campagna. Diventare agricoltori, immergersi nell’idillio della natura, in un equilibrio conquistato per sempre, definitivo: questo diventa il loro progetto di vita. A farli decidere è il loro cane Todd, che ha bisogno di grandi spazi dove abbaiare senza che il padrone di casa minacci lo sfratto. Raccolti i finanziamenti necessari, si gettano con entusiasmo nell’avventura. Tutto questo la regia lo racconta anche utilizzando la leggerezza e la favola del cinema d’animazione.

E però la terra che John e Molly vorrebbero coltivare, sulle colline dietro Los Angeles, è arida, secca, dura. Tutto, intorno ai loro 200 acri, è un susseguirsi di monocolture che alla perfezione dell’equilibrio con la natura – a questa utopia generosa ma ingenua, come poi si vedrà – hanno preferito quella del suo sfruttamento univoco e intensivo.

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Questo articolo è di ed è presente nel numero 277 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui