Paola A. Sacchetti

Bambini troppo impegnati

Hanno agende fitte come quelle dei manager di alto livello, divise tra impegni professionali e personali, sport, feste, corsi. Trovare un’ora libera in un giorno qualsiasi della settimana è un’impresa titanica. E ancora non hanno l’età per votare.

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Nuoto o basket, teatro, pittura, corsi di fumetto o di musica, lezioni di inglese o di informatica, il catechismo per chi lo sceglie, senza contare le feste di compleanno, gli incontri a cadenza settimanale con i compagni al parco o in ludoteca, i laboratori organizzati dalla scuola o dal doposcuola, le partite e le gare che si svolgono nei week-end. Oltre allo studio e ai compiti per casa. I bambini di oggi sono super-impegnati, si spostano come palline da ping pong da un corso all’altro, seguono routine ferree.  Perché questo accade? E, soprattutto, avrà un effetto positivo tutto questo impegno extrascolastico sullo sviluppo dei bambini?

L’obiettivo di molti genitori è fornire ai propri figli il maggior numero possibile di strumenti per affrontare il mondo quando saranno grandi, così da essere “vincenti” in una realtà competitiva come quella attuale. L’ansia genitoriale di non far mancare nulla ai propri figli, di dar loro tutte le occasioni per imparare, di crescere bambini e ragazzi in grado di affrontare ogni situazione, spinge i genitori a riempire le agende dei piccoli di mille attività diverse, con l’illusione che più cose imparano ora, meno problemi avranno domani. Non è esattamente così. 

Stimolare i bambini fornendo loro occasioni per imparare cose nuove, per sviluppare un interesse o un talento artistico, per aprire la loro mente rendendoli curiosi di ciò che li circonda è senz’altro positivo ed essenziale per un sano sviluppo cognitivo ed emotivo. Tuttavia sovraccaricarli di stimoli è controproducente

QUANDO È TROPPO? COME CAPIRE QUANDO L'IMPEGNO RICHIESTO È ECCESSIVO?

Per capire quando l’impegno richiesto è eccessivo, è necessario osservare i bambini e verificare se alcuni comportamenti, modalità relazionali, reazioni ecc., mai verificatesi in passato, hanno iniziato a presentarsi. 

Portare avanti numerose attività richiede un’elevata dose di energia, impegno e attenzione. Se questo è vero e spesso faticoso e stancante per un adulto, lo è molto di più, e potenzialmente più dannoso, per un bambino. A lungo andare, infatti, possono determinare nel bambino eccessiva stanchezza e disattenzione, riducendo di conseguenza il rendimento a scuola, ma anche nelle attività svolte.

Può anche procurare stress, che si può manifestare con nervosismo e irritabilità, dolori somatici di vario tipo, dal mal di testa al mal di pancia, aggressività e instabilità dell’umore, arrivando a produrre un’altalena emotiva che fa passare dall’eccitazione al pianto senza motivi apparenti. 

Inoltre, gli studi scientifici stanno rilevando che sovra-impegnare i bambini rischia di renderli adulti meno “efficaci”, meno preparati al mondo che dovranno affrontare. Esattamente l’opposto di quello che il genitore ansioso o ipercompetitivo voleva ottenere.

GLI EFFETTI SUI BAMBINI

I bambini troppo impegnati sono insicuri e confusi, hanno bassa autostima e sviluppano ansia da prestazione per le aspettative e le pressioni genitoriali. Si sentono inadeguati perché non riescono a eccellere come desiderano i genitori, e, qualora invece vi riuscissero, sentono il livello di aspettative e di pressione crescere sempre di più, aumentando in un circolo vizioso l’ansia e la stanchezza. Sono poco autonomi, non sanno raggiungere un obiettivo da soli, si sentono “spersi” senza l’aiuto di un adulto che organizzi le loro giornate e li indirizzi. 

I bambini iperstimolati hanno poca creatività e fantasia, non sanno cosa fare se lasciati da soli a gestire il loro tempo, hanno meno immaginazione e senso dell’umorismo, sono meno espressivi e loquaci, poco curiosi, emotivamente fragili e incapaci di gestire le frustrazioni. 

Per alcuni lo stress dei mille impegni porta a manifestare difficoltà nell’apprendimento, problemi di sonno o dell’alimentazione: fanno fatica a finire i compiti o a studiare per il poco tempo a disposizione e la stanchezza; non dormono bene o troppo poco, con incubi o risvegli frequenti; mangiano male o saltano il pranzo perché non hanno tempo, iniziano a mangiare molto per compensare le ansie e le frustrazioni o a ridurre il cibo per rientrare nei parametri fisici richiesti dallo sport praticato. 

Per altri, invece, è più evidente l’irrequietezza motoria o l’iperattività, i comportamenti aggressivi e sfidanti, le difficoltà di concentrazione. O, ancora, si stancano presto delle attività che svolgono e hanno bisogno sempre di nuovi stimoli, di esperienze più eccitanti, più divertenti, più impegnative, diventando un bisogno incessante che può portare a dipendenza. 

Tutti questi aspetti sono campanelli d’allarme importanti di malessere. E non possono essere considerati effetti collaterali accettabili o sacrifici da sopportare per ottenere un risultato in futuro, perché non portano i bambini a essere adulti migliori o maggiormente in grado di far fronte alla vita, in quanto ogni singola manifestazione di malessere può determinare disturbi e problemi più seri nell’adolescenza e nell’adultità. 

CHE COSA FARE ALLORA?

Bambini meno impegnati non significa che non debbano avere nulla da fare. Anche l’estremo opposto è disfunzionale e crea malessere. Fare uno sport o seguire un corso è utile a stimolare lo sviluppo del bambino, la cosa essenziale è che svolga attività che gli piacciano o che siano realmente adatte e valide. Per far questo, è essenziale ascoltarlo e capire quali sono i suoi interessi, coinvolgendo nella scelta dell’attività, anche se la decisione ultima su quale attività/corso/sport praticare è e deve rimanere dei genitori. 

Evitare di organizzare agende fitte di impegni per sopperire al poco tempo trascorso con i propri figli è un’altra cosa utile. Per i bambini è meglio, e maggiormente funzionale al loro benessere, trascorrere poco tempo ma di qualità con i genitori, fare delle cose insieme, che facciano piacere a tutti, come, per esempio, vedere un film, fare una passeggiata, giocare con un animale domestico, leggere un libro. 

E, soprattutto, i bambini dovrebbero avere tempo libero da ogni impegno. Tempo per giocare, per annoiarsi, per pensare. Il “tempo libero” spaventa i genitori perché può far provare noia ai propri figli. Ma la paura della noia è dell’adulto, perché rappresenta, nella vita di molti di questi adulti, la solitudine, il vuoto, la mancanza di interessi e progettualità. E per un genitore diventa intollerabile l’idea di far provare sensazioni di questo tipo ai propri figli. In questo modo, però, la paura della noia viene “trasmessa” ai bambini, che imparano presto a non tollerare di non avere nulla di programmato da fare, di non avere qualcuno con cui giocare o che li intrattenga.

La noia e l’ozio sono invece motori potenti per lo sviluppo della creatività e della personalità. Permettere al bambino di sperimentare uno spazio e un tempo che siano solo suoi lo aiuta a confrontarsi con se stesso, a entrare in contatto con le proprie emozioni e i propri desideri. Un tempo in cui possa annoiarsi e trovare un modo per sopportare e affrontare la noia, in cui giocare da solo, sperimentare e inventarsi giochi con quello che ha a disposizione. Un tempo che gli permetta di disegnare senza un tema deciso da altri, realizzare costruzioni o oggetti senza dover fare qualcosa di realistico o di “bello”, per fissare il soffitto pensando a cosa vuole fare da grande, ascoltare la musica che gli piace e non quella che deve imparare suonare, leggere i fumetti o travestirsi anche se non è Carnevale. 

I momenti di noia, di pausa, liberi da ogni impegno, sono essenziali per uno sviluppo equilibrato e sereno, perché consentono al bambino di conoscere se stesso e scoprire parti di sé; di percepire se stesso come “altro” rispetto, in primo luogo, ai genitori, e poi anche ai coetanei o ai fratelli; di esplorare e capire che cosa gli piace fare e cosa no, quali sono i suoi interessi, desideri e ambizioni; di elaborare le proprie emozioni e quanto gli è successo durante la giornata. In questo modo, impara, per tentativi ed errori, a gestire il proprio tempo, sviluppa le capacità di prendere decisioni in modo autonomo, di problem solving, di esercitare autocontrollo e di attenzione. E con il gioco libero sviluppa la creatività, avvia e sostiene la comprensione di ciò che lo circonda, apprende a gestire le proprie e altrui emozioni. 

Non si può, né si dovrebbe, insegnare al bambino a gestire il proprio tempo libero. È utile invece spiegargli che si tratta di uno spazio personale che ognuno gestisce come vuole e quale sia l’importanza di avere questi momenti a disposizione in cui poter fare ciò che preferisce o desidera. Lasciandolo libero di sperimentare e di trovare, da solo, un antidoto alla noia, il bambino non solo imparerà a organizzare e a gestire il proprio tempo per “riempirlo” di cose che gli piacciono, ma scoprirà aspetti di sé importanti per la sua vita futura.