Elena Buday

Amicizie evolutive e regressive in adolescenza

Non bisogna essere prevenuti verso le nuove amicizie dei nostri figli. Semmai dotarli di senso critico perché non finiscano per dipendere da esse.

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L'immaturità caratteristica del bambino fa sì che l’infanzia costituisca una fase di fisiologica dipendenza dalle proprie figure di riferimento; dall’adolescenza in poi, invece, prende avvio un fondamentale processo evolutivo di costruzione della propria indipendenza, non solo concreta e materiale, ma anche e soprattutto emotiva e psicologica. Questo processo risulta avventuroso e complesso, poiché si snoda su vari livelli ed è influenzato da vari fattori personali, contestuali, psicologici, educativi, culturali, sociali.

METTERE ALLA PROVA LA PROPRIA AUTONOMIA

Nell’esperienza dei genitori degli adolescenti, un motivo ricorrente di preoccupazione e timore riguarda le relazioni extrafamigliari che i ragazzi stringono in maniera sempre meno nota e controllabile da parte loro. Siano queste vissute direttamente di persona o mediate dalla Rete, che permette ai ragazzi di tenersi sempre in contatto tra loro, gli adulti che fino a poco tempo prima erano i principali promotori, organizzatori e registi della socialità dei propri figli si trovano, con l’adolescenza, messi al margine, poco informati, se non addirittura esclusi da quella che diventa a tutti gli effetti la loro nuova “famiglia sociale”. Finito il tempo delle merende, festicciole e pigiama-party organizzati dalle mamme per favorire la frequentazione tra amichetti, inizia quello delle contrattazioni su uscite, orari, inviti verso case e destinazioni sconosciute, in compagnie di cui a volte risulta dubbia la raccomandabilità.

Si tratta di un passaggio evolutivo ineludibile e di innegabile importanza, destinato tuttavia a suscitare altrettanto ineludibilmente nei genitori una quota di ansia legata alla progressiva perdita di controllo sulle azioni del figlio fuori di casa, che va di pari passo con la sua crescita e la sua acquisizione di autonomia e responsabilità. Quello dello sviluppo di nuove amicizie e della costruzione di una socialità disgiunta da quella famigliare è uno dei componenti principali del più ampio processo di separazione/individuazione che porterà i genitori a non riconoscere più il “loro bambino”, divenuto un soggetto altro da sé. Quando le cose vanno bene, questi passaggi comportano un arricchimento della vita del ragazzo: nei pari egli troverà figure di attaccamento sostitutive e transizionali che lo sosterranno nell’elaborare la dipendenza dai genitori e nel conquistare l’autonomia, modelli di identificazione con cui confrontarsi per affinare la conoscenza non solo del mondo ma anche di sé stesso, l’appartenenza a un gruppo che lo supporterà nel suo bisogno di apprezzamento e identità, attenuando il senso di solitudine e perdita che accompagna i processi separativi. Le relazioni amicali in adolescenza costituiscono pertanto esperienze di fondamentale importanza, poiché forniscono un ambito insostituibile di sperimentazione di sé, occasioni di confronto e rispecchiamento, collaudo e rifinitura dei propri ruoli sociali.

Tuttavia, esistono anche situazioni, per quanto particolari e minoritarie, in cui le cose non vanno bene ed effettivamente i legami amicali dell’adolescente appaiono vissuti secondo modalità che non ne sostengono la crescita ma ne esprimono il blocco, contribuendo a creare a loro volta ostacoli e fattori di rischio. L’identità dell’adolescente è ancora in fase di definizione e dunque particolarmente plasmabile dai rimandi ricevuti dall’ambiente; i legami con i genitori sono sottoposti a rimaneggiamenti e messe alla prova, con una fisiologica spinta alla trasgressione nella ricerca della definizione dei propri personali valori; l’esperienza delle emozioni non è ancora giunta ai suoi livelli maturi di piena integrazione e può risultare particolarmente intensa, travolgendo completamente l’adolescente o spingendolo a evitarla. Questi sono solo alcuni dei motivi che fanno dell’adolescente un soggetto particolarmente vulnerabile ed esposto alle influenze del contesto sociale e amicale.

Diventa importante allora chiedersi quali fattori, nella sua mente o nel suo contesto, predispongano un adolescente a sviluppare amicizie regressive piuttosto che evolutive e come possiamo distinguere le une dalle altre. Inoltre, quali sarebbero gli interventi più opportuni da parte di genitori preoccupati di fronte alle frequentazioni o alle modalità relazionali con cui il loro figlio vive le sue amicizie?

LA GAMMA DELLA PREOCCUPAZIONE DEI GENITORI

L’entità della preoccupazione può variare da lieve – cambiamenti di gusti, atteggiamenti, linguaggi, stili, abitudini (per esempio, bambini di quinta elementare che, al ritorno da scuola, sconvolgono i genitori recitando a memoria i testi volgarissimi del trapper del momento) – a moderata – improvvisa insubordinazione all’autorità genitoriale, messa in discussione delle priorità precedenti, della validità delle regole e delle abitudini famigliari di fronte alle proposte diverse del gruppo degli amici (per esempio, «Perché mai dovrei rientrare a casa a mezzanotte il sabato sera, quando tutti i miei amici rientrano alle 6 del mattino, magari dopo aver fatto colazione tutti insieme?»; «Cosa m’importa ormai della scuola, dello studio, dei libri, di fronte all’eccitante divertimento della compagnia reale e virtuale?») –, a grave – completa fuoriuscita da ogni possibilità di controllo educativo, abbandono scolastico, fughe, comportamenti trasgressivi e/o rischiosi, utilizzo di sostanze tossiche.

AMICIZIE PROBLEMATICHE

Nei nostri studi di consultazione psicologica rivolti agli adolescenti e alle loro famiglie, accade spesso di accogliere la preoccupazione di genitori fortemente allarmati perché hanno l’impressione che, crescendo, il loro figlio o figlia sia irriconoscibile sotto molteplici aspetti: che abbia preso una cattiva strada a seguito della frequentazione di pessime compagnie, di fronte alle quali tutti i buoni insegnamenti che loro avevano impartito al bambino sono stati spazzati via, resi inefficaci dall’irresistibile potere del gruppo che seduce, conquista, trascina in direzioni inattese e rischiose.

Di solito l’andamento delle consultazioni condotte a partire da questo genere di domande differisce anche a seconda dell’entità della preoccupazione iniziale. Quando si parla di situazioni come quelle descritte nel paragrafo precedente, nella categoria “preoccupazione grave”, difficilmente le origini del problema sono riconducibili solo agli effetti delle relazioni extrafamigliari del ragazzo con gruppi di riferimento più o meno “tossici”, trasgressivi o devianti: più facilmente, si tratta dell’emergere di difficoltà evolutive più generali che possono riguardare anche la relazione con il contesto e che, se non inquadrate e risolte, possono arrivare a disturbare stabilmente il comportamento, le relazioni, la personalità nel suo insieme. È molto importante in queste situazioni che il nucleo famigliare si affidi a un professionista per intervenire efficacemente sul problema che si sta manifestando.

Viceversa, le situazioni riferite alla “preoccupazione lieve” di solito non rappresentano, di per sé, indicatori di aspetti problematici: si possono più facilmente ricondurre a quegli aspetti di fisiologica delusione e differenziazione che sono indicativi, anzi, del procedere dei percorsi evolutivi di costruzione di una propria identità più ampia rispetto alla sola identità di figlio. È fatica intrinseca al compito di ogni genitore quella di assistere – inizialmente con una quota di impotente sconcerto, destinato però a trasformarsi poi nella gioia stupita del compito generativo riuscito – alla trasformazione del proprio ex bambino in soggetto altro da sé, appartenente non più esclusivamente al nucleo intrafamigliare, ma alla comunità, alla società, al mondo. In questo processo di “seconda nascita”, il gruppo dei pari, degli amici, dei coetanei, svolge un’importante funzione maieutica che facilita il distacco dalla nicchia affettiva infantile e il costituirsi di un nuovo soggetto sociale.

È comprensibile che i genitori, vedendo i loro figli crescere e trasformarsi secondo linee impreviste sovente non in linea con le aspettative generalmente molto alte nutrite sin dall’infanzia, possano vivere stati di forte preoccupazione rispetto a ciò che sta accadendo e possano sviluppare particolare diffidenza nei confronti dei nuovi oggetti d’amore e di interesse dei figli, sospettati di soppiantare i vecchi, magari anche vanificandone il lavoro svolto fino a quel momento. È così che il gruppo degli amici diventa spesso la “cattiva compagnia” colpevole di tutti i mali del figlio o della figlia, dal calo di rendimento scolastico alle rispostacce maleducate che mai il figlio una volta si sarebbe permesso di dare, dal mancato rispetto degli orari di rientro o di utilizzo del cellulare alla sperimentazione di sostanze più o meno pericolose. Tuttavia, è quasi sempre opportuno «ridurre da parte dei genitori la paranoicizzazione dei nuovi oggetti nel sospetto che siano i killer dei vecchi» (Pietropolli Charmet, 2000), perché tale “paranoicizzazione” impedisce di vedere tutti gli aspetti del figlio che lo hanno portato in una determinata condizione, attribuendoli solo e soltanto alle esecrate figure esterne, ossia ostacolando una piena comprensione delle dinamiche evolutive del ragazzo.

UNA QUOTA DI RISCHIO FISIOLOGICA

Come ogni passo di crescita, anche quello della socializzazione in adolescenza comporta una quota di rischio. La fiaba di Pinocchio, che nel suo percorso verso la crescita incontra vari personaggi che lo distolgono dalla “retta via”, ne è una ben riuscita descrizione metaforica. Tuttavia, nell’azione educativa e di sostegno alla crescita, è importante concentrarsi, più che sugli elementi di rischio esterno, sui fattori di rischio e protezione interni che consentono di difendersi in modo più o meno efficace dalle minacce eventualmente presenti nel mondo extrafamigliare, con il ricorso a movimenti di riconoscimento del pericolo, pensiero critico, protezione, autodifesa.

È impossibile proteggere l’adolescente da tutti i rischi del mondo esterno nel momento in cui impara ad addentrarvisi, nello stesso modo in cui, da bambino, era impossibile proteggerlo da ogni rischio di caduta mentre imparava a camminare. La crescita avviene proprio imparando a fronteggiare i rischi attraverso un’assunzione di responsabilità. Quello che è importante, dunque, è fornire al soggetto in crescita strumenti per riconoscere i rischi, evitare errori là dove sia possibile e imparare da essi là dove non lo sia.

Da questo punto di vista, problemi come un’eccessiva dipendenza dagli amici, dai loro usi, costumi e valori di riferimento, dalla loro accettazione ad ogni costo, o come un’eccessiva disponibilità a lasciarsi influenzare da loro possono nascere da diversi fattori interni di vulnerabilità. Per esempio, la fatica a tollerare il dolore della perdita del legame narcisistico infantile con i genitori può portare l’adolescente a ricercare con forsennata ostinazione l’accettazione e l’approvazione da parte del gruppo, in maniera adesiva e compiacente, senza dare importanza ad alcun riferimento critico che pure razionalmente-cognitivamente egli avrebbe presente. Alcuni adolescenti, cioè, non sopportano di trasformarsi da idoli adorati dell’intero nucleo famigliare in anonimi adolescenti qualunque, scarsamente visti e apprezzati dal gruppo: hanno bisogno di riconquistare “fuori”, ad ogni costo, quella visibilità e popolarità infantile che non possono più avere dentro le mura domestiche, a causa della crescita che porta via la fantasia ideale e onnipotente.

Altri ragazzi attuano un disinvestimento feroce di tutti gli insegnamenti famigliari perché farebbero troppa fatica a metterli in discussione e farli evolvere, non avendo capacità elaborative personali o spazi di negoziazione famigliare sufficienti: per questo saranno portati a sostituire un’autentica separazione con il semplice spostamento della dipendenza dai genitori agli amici. In altri casi, assistiamo all’ingresso e alla ricerca di appartenenza a un gruppo-banda nel tentativo di anestetizzare in forma condivisa il dolore per la perdita del valore e del futuro: là dove il progetto vitale personale e collettivo sia per qualche motivo spento o appaia perduto, si verifica spesso il tentativo di vitalizzare fugacemente il gruppo con un’impresa trasgressiva che regali un’effimera sensazione di crescita e vitalità.

FATTORI DI PROTEZIONE

I genitori preoccupati che le “cattive compagnie” rischino di far deragliare il percorso di crescita del figlio come possono dunque intervenire per ridurre la probabilità che ciò avvenga? Su quali fattori di protezione possiamo contare? L’esperienza mostra che il tentativo di arginare il problema ponendo divieti o attaccando e svalutando gli amici in questione per mantenere, prolungare o ripristinare la centralità delle figure genitoriali nel controllo dei comportamenti del figlio rischia di peggiorare la situazione, innalzando il livello del conflitto, spingendo il ragazzo a mentire o ad agire di nascosto, incrementando l’intensità del suo legame con il gruppo. Così come nell’infanzia la protezione del bambino non si era potuta esprimere evitandogli di ammalarsi durante l’inserimento all’asilo nido, dato che il bambino aveva bisogno di farsi gli anticorpi, nello stesso modo ora l’adolescente ha bisogno di confrontarsi con i rischi del mondo per imparare a gestirli responsabilmente. Se un genitore vuole risultare vincente rispetto a un’amicizia “tossica” non può farlo diventando a sua volta amico del figlio, ma nemmeno può svolgere il ruolo del nemico, pensando di avere il potere di vietare ciecamente e senza argomentazioni convincenti ciò che al figlio sta così a cuore in quel momento. Nell’impossibilità di controllare costantemente i comportamenti del ragazzo, ciò che risulta efficace è la possibilità di avere con lui, sin dall’infanzia, una buona relazione che gli permetta di ascoltare, prendere in considerazione e tenere a mente gli insegnamenti ricevuti dai genitori come guide “buone” preposte a svolgere una funzione anticorpale sui rischi insiti nelle amicizie più problematiche.

Soprattutto in adolescenza, la vita e la crescita non si possono limitare all’interno delle pareti domestiche e della realtà famigliare, ma hanno bisogno di volgersi verso il mondo “fuori”, perché il bisogno evolutivo dell’adolescente passa per la nascita come soggetto sociale, per la sperimentazione identitaria nelle relazioni con i coetanei.

Se vogliamo fornire anticorpi alle amicizie tossiche, occorre educare al senso critico e non alla sottomissione – in primis a noi genitori –, altrimenti sarà molto più facile che alla dipendenza acritica da noi venga semplicemente sostituita una dipendenza acritica da amicizie tossiche. Il fattore protettivo più importante rispetto al rischio costituito dalle “amicizie tossiche” è quello di essere educati, fin da bambini, all’elaborazione personale dei contenuti, anziché alla loro assunzione passiva. Questo aspetto si rivela sempre più importante nel mondo di oggi, nel quale gli adolescenti appaiono sempre più circondati da influencer di cui rischiano di subire il condizionamento spersonalizzante, che da maestri in grado di partire maieuticamente dalla loro persona e dai loro contenuti, aiutandoli ad esprimerli, insomma e-ducandoli.

Elena Buday, psicologa e psicoterapeuta, è socia dell’Istituto Minotauro, dove svolge attività clinica, insegna e fa parte del comitato scientifico della Scuola di psicoterapia dell’Adolescente e del Giovane adulto.


Riferimenti bibliografici

Cirillo L., Buday E., Scodeggio T. (2013), La terza famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo.
Lancini M., Turuani L. (2009), Sempre in contatto, Franco Angeli, Milano.
Pietropolli Charmet G. (2000), I nuovi adolescenti, Raffaello Cortina Editore, Milano.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 282 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui