Giorgio Nardone

Al di là dell’amore e dell’odio

Amore e odio devono essere canalizzati e veicolati nella direzione costruttiva invece che distruttiva: infatti, c’è forza generativa nell’odio quanta ce n’è di distruttiva nell’amore.

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«L’odio è il fantasma del desiderio» scriveva Jacques Lacan nei suoi Seminari, riprendendo un tema caro a Freud e al premio Nobel Konrad Lorenz, ossia la costante ambivalenza nelle relazioni umane di amore e odio, aggressione e protezione, desiderio e rifiuto. Fenomeno, questo, da sempre noto, ma, al tempo stesso, negato. Difatti le lotte fratricide, come l’uccisione del padre da parte del figlio e le guerre tra coniugi, sono spesso alla base di miti quanto di fedi religiose, e dinamiche ricorrenti dei regni; ma al contempo la morale e l’etica, fin dal loro esordio, tendono a rimuovere tutto, proponendo una pacifica e celestiale vita tra gli esseri umani.

È stata proprio la psicologia a far emergere, nei tempi moderni, questo stridente contrasto, che rappresenta una sorta di sublime autoinganno di cui l’umanità vuole convincersi. Ossia, tendere a vedere nel mondo ciò che noi vorremmo che fosse, piuttosto che ciò che è. Questo meccanismo mentale inconsapevole rappresenta una sorta di “arte di mentire a sé stessi” allo scopo di difendersi da ciò che fa soffrire. I ben noti meccanismi di difesa elaborati da Freud ne sono un esempio, ma il fenomeno è stato studiato già dai primi psicologi, come Wundt e Wertheimer, analizzando le distorsioni percettive della visione; e tuttavia è solo negli ultimi decenni che l’autoinganno è stato studiato in maniera rigorosa e considerato parte integrante del funzionamento della mente umana, anziché un limite da cui emanciparsi.

Gli studi e le sperimentazioni più avanzate in ambito psicologico e neuroscientifico dimostrano infatti come l’idea positivista, di alcuni studiosi cognitivisti, di eliminare le contraddizioni e le incoerenze dei pensieri quali fonti di miglioramento del benessere dell’individuo calzi ben poco alle dinamiche emozionali che costantemente influenzano le cognizioni, modificandone il risultato sulla base di percezioni e moti interiori non razionalizzabili. Tutto ciò fa parte di quell’80% di attività mentale che produciamo senza esserne pienamente coscienti, ma che ci permette di adattarci alla realtà e alle sue più insopportabili dinamiche, ben più dei nostri ragionamenti elevati.

L’amore, come l’odio, fa parte di queste non razionalizzabili dinamiche e, come le onde che si rovesciano continuamente l’una sull’altra, si influenzano costantemente e vicendevolmente in una interazione di cui sovente la ragione non trova alcuna rassicurante spiegazione. Pertanto appare chiaro come la possibile gestione dei moti di odio e degli slanci d’amore non sia affare da trattare né con la ragione né con la razionalità, come la morale e l’etica e le forme positiviste della psicologia vorrebbero fare, bensì si rende necessario ricorrere a strumenti che utilizzino tali meccanismi “naturali” senza forzarli entro logiche a loro non calzanti.

Ciò sta a significare che amore e odio vanno espressi e cavalcati per essere canalizzati e veicolati nella direzione costruttiva invece che distruttiva: c’è forza generativa nell’odio quanta ce n’è di distruttiva nell’amore. Infatti, anche se può apparire paradossale, i peggiori crimini vengono commessi per amore di qualcosa o di qualcuno. Quando si ama, dovremmo ogni tanto immaginare quanto vorremmo, in virtù di ciò, condizionare il nostro amato, imprigionarlo nelle nostre aspettative. Questo esercizio ci fa toccare con mano l’iniziale distruttività del nostro amore e, in virtù del timore che ciò ci evoca, ci consente di tenere a bada l’impeto.

Nei confronti dell’odio, il filosofo Emil Cioran ci offre la migliore indicazione, che è divenuta una vera e propria tecnica terapeutica: quando ce l’hai a morte con qualcuno comincia a scrivergli delle lettere infuocate, accusandolo di tutto ciò per cui lo odi. Scrivendogli giorno dopo giorno, ti accorgerai che la tua rabbia diminuisce fino a che il “bersaglio” non comincia quasi a farti tenerezza, e solo allora potrai cestinare tutte le lettere che non gli hai inviato, perché si trattava di un tuo esercizio e l’odio si è nel frattempo trasformato in comprensione e compassione. Se non possiamo non autoingannarci, possiamo tuttavia farlo in maniera strategica.

Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua creatività che per il suo rigore metodologico.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui