Paolo Ruggeri

Scrivere i propri obiettivi

Mettere nero su bianco le mete che ci prefiggiamo aiuta a conseguirle nella realtà.

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Il secondo incontro che contribuì a forgiare la mia carriera avvenne nell’aprile del 1992. Mi recai a un corso di formazione per venditori e, durante quell’incontro, un formatore belga di nome Patrick mi raccontò che all’Università di Yale, quarant’anni prima, avevano condotto un esperimento prendendo tutti gli studenti dell’ultimo anno di Economia e chiedendo chi tra loro avesse delle mete nella vita. Tutti avevano risposto in modo affermativo. Poi chiesero alle stesse persone chi di loro avesse scritto le proprie mete da qualche parte. Solamente il 3% delle persone presenti in quella stanza affermò di averlo fatto. Vent’anni dopo ricontattarono tutte le persone che avevano preso parte a quell’esperimento e, sarà una coincidenza, ma quel 3% di persone che aveva scritto le proprie mete, in termini economici guadagnava più di tutto il restante 97% messo assieme.

Dopo averci raccontato quella storia (che anni dopo mi spiegarono non essere completamente vera) il relatore ci chiese di scrivere su un foglio le mete che ci ponevamo per i successivi 5 anni, cioè entro il mese di aprile del 1997. Fra le importanti mete professionali e personali che scrissi la prima fu: «Io ho scritto un libro sulla gestione del personale…». 

Avevo 25 anni, non ero diplomato e, come confermato dai miei voti durante le scuole superiori, non eccellevo in italiano. Ciò nonostante, decisi di lasciarmi andare e scrissi quella meta tanto importante. Pensavo, infatti, che scrivere e pubblicare un libro avrebbe fatto una grande differenza per la mia carriera nel settore della consulenza aziendale. Tenni quel foglietto con su scritte le mete nel portafoglio e lo consultai di tanto in tanto. Cinque anni dopo, ad aprile del 1997, non avevo scritto il libro. Avevo sicuramente fatto altri progressi, ma, come scoprii in seguito, a volte realizzare mete importanti richiede un periodo un po’ più lungo, che va dai sette ai dieci anni. Infatti, scrissi il libro nel 2002 – I nuovi condottieri – e in seguito vendette quasi 200 000 copie. Ma se anche ne avesse vendute solo 3000 sarebbe stato comunque un successo straordinario.
 

La mia seconda intuizione fu che quando scrivi le tue mete e dirigi la tua energia verso la realizzazione di qualcosa, se non demordi prima o poi, quella cosa riesci a farla accadere. Usai quell’intuizione anche quando decisi di iniziare a vendere i miei servizi di motivazione e gestione del personale all’estero, prima in Paesi limitrofi, come la Spagna o l’Europa dell’Est, in seguito arrivando a venderli anche in Inghilterra e negli Stati Uniti. Un leader è colui che impegna la propria forza e le proprie energie verso alcune mete che desidera ardentemente. Per un professionista, per uno psicologo, per una persona che ambisca ad affermarsi, ciò significa che dovresti mettere su carta gli obiettivi che ti poni per i prossimi cinque o dieci anni. Farlo ti fornirà focalizzazione, concentrazione e soprattutto risultati. 
La mia terza intuizione avvenne a Padova, poco tempo dopo. Mentre lavoravo per costruire la rete vendite di un’azienda incontrai Andrea, un potenziale venditore. Mi resi subito conto che egli non era il classico commerciale alla ricerca di un mandato, ma molto di più. Nonostante si trovasse in difficoltà economiche per alcuni errori gestionali fatti un po’ di tempo prima, aveva un’energia straordinaria. Durante il colloquio mi raccontò che anni prima era stato uno dei manager in un’impresa con 10 000 venditori e che lo scopo di quell’azienda non era fare utili, ma portare al successo i propri venditori e che, di conseguenza, la loro priorità era farli guadagnare assai bene.

Mettendo il successo del loro collaboratore al centro delle priorità, erano diventati rapidamente un’azienda leader. E questa fu la mia terza intuizione: se vuoi costruire un gruppo forte e vuoi crescere come azienda, la tua priorità dev’essere il guadagno e il successo delle persone che lavorano per te. L’azienda non esiste per portare al successo il suo fondatore, ma è un atto del fondatore per portare al successo i suoi collaboratori. Decidemmo di costruire assieme un’azienda che inglobasse quell’importante principio e da quasi trent’anni siamo leader in Italia nella consulenza e formazione delle piccole e medie imprese.
La mia quarta intuizione avvenne a causa di un paio di blue jeans. Nel 1993, dovendomi recare a New York per lavoro, un amico mi chiese di comprargli un paio di jeans Levi’s nel negozio “Macy’s”. Mentre pagavo vidi alla cassa in offerta il libro Le 7 regole del successo di Stephen Covey e lo comprai. Lo lessi di notte sull’aereo che ritornava a Milano e compresi un concetto fondamentale: noi eravamo la causa della quasi totalità delle cose che ci accadevano e, se volevamo essere leader, non dovevamo incolpare gli altri, ma, di fronte a risultati non ottimali, dovevamo sempre guardare a noi stessi. Era nata quella che negli anni successivi io definii causatività: non è il mondo a dover cambiare, ma siamo noi a dover cambiare noi stessi. Un paio di jeans era riuscito a sconvolgere il mio modo di guardare alle cose.
Avere mete chiare, puntare al successo delle altre persone, non incolpare mai e considerarsi la causa degli insuccessi: con la mia crescita personale stava crescendo anche la mia influenza sulle altre persone.


Paolo Ruggeri, imprenditore di successo a livello internazionale, è autore di numerosi best seller ed è socio fondatore della casa editrice OSM.
 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 278 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui