Giorgio Nardone

Relazioni o identità perduta

Avere relazioni online significa gestire contatti a distanza senza mettere in gioco lo sguardo, il controllo emotivo del corpo, il brivido del vis-à-vis. Però, nessuna crociata contro social e smartphone: basta saperli ricondurre al vissuto concreto.

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Una relazione è la “qualità emergente” di almeno due entità che entrano in interazione: come l’ossigeno e l’idrogeno, che, nella loro combinazione H2O, produce l’elemento acqua, il quale non ha più niente a che vedere con i suoi componenti iniziali, possedendo proprietà completamente differenti da quelle dell’uno e dell’altro. Questo fenomeno, ben noto ai biologi e fisici, risulta ancora poco conosciuto e non abbastanza considerato dagli psicologi, che troppo spesso mantengono una visione “monadica” dell’individuo, ovvero lo ritengono un soggetto dotato, prima di tutto, di un’identità individuale come fondamento del suo sentire, capire e agire.

Anche la maggioranza degli studi neuroscientifici va in questa direzione, osservando i meccanismi biologici del cervello e le loro attivazioni funzionali, spesso sottovalutando come siano la risposta a dinamiche di relazione con il mondo esterno. Fa eccezione lo studio dei neuroni a specchio di Rizzolatti e Ramachandran, fenomeno, questo, puramente relazionale e frutto della interazione comunicativa fra persone. Ma anche in tal caso, negli ultimi tempi, si stanno operando sperimentazioni che lo riconducono a dinamiche prettamente biologiche.

Ancora più fortemente orientati in questa direzione sono gli studi sulla formazione della coscienza, che sarebbe il frutto del lavoro di un meganeurone definito “connettore”, il quale presiederebbe al funzionamento interattivo della rete neuronale cerebrale. Si pensi che, agli antipodi di detta ipotesi, vi è quella della più pura e dura delle scienze, la fisica, ove la coscienza viene ritenuta – come indicava il biofisico Mario Ageno – l’effetto delle relazioni interpersonali. William James si spingeva oltre, già più di un secolo fa, sostenendo che la coscienza è il frutto delle nostre relazioni affettive significative.

Ma, al di là delle dispute accademico-scientifiche, l’argomento della mia esposizione non è quello dell’individuazione di come si formino l’identità e ancor prima la coscienza, bensì quello di evidenziare come negli ultimi decenni, in virtù delle nuove tipologie di relazione fra gli individui, mediate fortemente dalla tecnologia e da fenomeni virtuali, esse siano diventate prerogative individuali sempre più evanescenti e sempre meno strutturate. Perciò l’identità personale è sempre meno il baricentro dell’equilibrio psicologico del soggetto in balia di dinamiche comunicative atte a creare qualità emergenti tese non solo a sfuggire al suo controllo, ma anche a modellarne il relazionarsi con sé stesso, gli altri e il mondo.

Relazioni o identità perduta

Si pensi, per esempio, al fatto che le ultime generazioni creano contesti interpersonali e anche sentimentale-erotici prevalentemente via Internet attraverso i vari social network, mentre prima questi si creavano tramite incontri e scambi interpersonali reali all’interno di attività sociali condivise.

Oppure si pensi al fenomeno – così frequente nei profili di Facebook – della mistificazione delle proprie identità al fine di renderle più desiderabili, una tentata soluzione delle proprie insicurezze relazionali che poi si ritorce contro chi la utilizza, proprio per il suo eventuale successo. Infatti, una volta che il profilo falsificato acquisisca grande successo, il soggetto non potrà farsi conoscere dal vero, dato che ciò ne farebbe crollare la desiderabilità; egli, pertanto, rimane prigioniero della dinamica virtuale, dalla quale non potrà uscire se non a un costo troppo elevato.

Un altro fattore non sottovalutabile di questa moderna modalità relazionale, mediata dalla Rete e dalle sue sempre più sofisticate tecnologie, è il fatto che il contatto virtuale elimina tutta quella serie di barriere con la quale deve confrontarsi chi si espone – dal vivo – al tentativo di rendere una conoscenza sempre più intima, fino al contatto erotico e all’eventuale legame sentimentale: barriere come, per esempio, la paura di non piacere fisicamente e il timore dello sguardo e dei messaggi non verbali di rifiuto. Oppure il passare dalle parole al contatto corporeo e all’imbarazzo di dichiararsi mentre– si è nella reale presenza della persona desiderata.

L’abbattimento di tali relais nel contesto virtuale fa sì che vi sia una formidabile accelerazione del processo relazionale, che va dal primo contatto allo stabilirsi di un’intimità. Ma nei fatti questo fenomeno, che può pure rappresentare un utile ausilio al superamento della timidezza, non solo non incrementa l’intraprendenza, ma spesso rende incoscienti di ciò che si viene a realizzare in un contatto così velocizzato con l’altro/a, tanto da produrre molto spesso pesanti incidenti relazionali, ai quali chi non è stato fortificato dalla reale esperienza vissuta frequentemente soccombe.

Con tutto quanto assunto fin qui, io sono ben lungi dal volermi unire al coro dei moralisti anti-Internet o dei fautori del “buon tempo antico”; semplicemente, intendo porre l’attenzione sui fenomeni sociali evolutivi che stanno modificando in maniera rilevante la modalità e i processi di relazione tra gli individui, sempre meno coscienti e meno padroni del proprio senso di identità personale, un effetto del risultato di dinamiche che lo travalicano.

La soluzione a questo problema non è certo quello di una santa Inquisizione anti-Rete e anti-social che metta al bando l’inarrestabile progresso e i suoi positivi, quanto insidiosi, esiti; piuttosto, è quella d’invitare a riprendere a coltivare la vita di relazione reale ed effettiva mediante la concreta frequentazione con gli altri e l’acquisizione di competenze relazionali sul campo, e non dentro laboratori virtuali.

Questo è compito, prima di tutto, dei genitori e delle istituzioni educative che guidano i bambini prima e i ragazzi dopo a vivere l’esperienza della relazione con l’altro e con sé stessi attraverso attività e percorsi educativi protesi al contatto e al confronto – anche contrastato, se necessario – perché quelli sviluppino le loro individualità e identità personale, assieme alla capacità di interagire con l’altro/a.

Per quanto riguarda il ricorso alla tecnologia per favorire la costruzione del senso di identità, invece che la sua dissoluzione tra le onde dell’oceano comunicativo e relazionale di Internet, questo può essere più semplice di quanto appaia, poiché è sufficiente fare in modo che quel che viene attivato in Rete sia ricondotto costantemente alla vita concreta: ovvero passare continuamente e rapidamente dal virtuale al reale.

A ciò dovrebbero essere guidati i bambini e ragazzi, sin dal loro primo contatto con la comunicazione tecnologica, poiché questo ricondurre alla concreta esperienza qualsiasi forma di virtualità praticata permette loro di non essere rapiti e poi imprigionati dalla Rete. Così facendo, il “virtuale” amplifica l’esperienza del “reale” senza sostituirvisi e permettendo quindi all’individuo di strutturare il proprio senso di identità personale, invece di finire per perderlo.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 268 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui