Cesare Cornoldi

Quando un creativo diventa un genio

la teoria dei 5 fattori del genio

Qual è il rapporto tra intelligenza e creatività, e quando un creativo si rivela un genio? in questa indagine può aiutarci la teoria dei 5 fattori del genio.

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Vi sono persone creative e anche dotate intellettualmente. Runco, un ricercatore californiano, ha per esempio studiato gruppi di ragazzini che erano sia dotati intellettivamente sia altamente creativi e ha visto che questi ragazzi si caratterizzavano per un’alta flessibilità (cioè per una maggiore capacità di adattare risposte e strategie a compiti e situazioni differenti) e per una valorizzazione in famiglia della loro indipendenza intellettuale. Altri studiosi hanno ipotizzato che l’ingrediente critico della creatività sia la capacità di pianificazione, che per esempio si esprimerebbe nell’ideare e nell’anticipare le fasi della produzione dell’opera creativa, ma si manifesterebbe anche in attività più strettamente cognitive. Il fatto che esistano elementi comuni fra intelligenza e creatività ha portato però a malintesi e a confusioni nella descrizione e nell’interpretazione dei due aspetti e delle loro manifestazioni più alte in quelle persone che, a furor di popolo, sono state considerate dei geni.

Secondo Sternberg la creatività è una manifestazione dell’intelligenza, ma si distingue completamente da quella che noi tradizionalmente consideriamo intelligenza (chiamata da Sternberg “analitica”) e dall’intelligenza pratica, anche se si possono rinvenire diverse tipologie di individui eccezionali che presentano differenti combinazioni dei tre tipi di intelligenza (analitica, creativa e pratica), così come si può trovare il cosiddetto “creatore analitico”, ossia una persona con alta creatività ma anche alta intelligenza. Secondo altri, creatività e intelligenza sono manifestazioni del tutto differenti della mente, che tuttavia si alimentano reciprocamente, ma per capire questa relazione bisogna fare un po’ di chiarezza.

Menti eccezionali: ambiguità terminologiche e concettuali
Quando pensiamo a personaggi eccezionali per quello che la loro mente è riuscita a fare avvertiamo di stare considerando una popolazione eterogenea che va non solo da Platone a Dante, da Leonardo a Galileo, da Tolstoj a Marie Curie, da Albert Einstein a Steve Jobs – personalità eccezionali che intuitivamente verrebbero da tutti giudicate molto intelligenti –, ma anche da Saffo a Catullo, da Cristoforo Colombo ai fratelli Lumière, da Van Gogh al pittore Ligabue. Se per tutti questi casi si potrebbe convenire che in campi diversi tali personaggi sono riusciti non solo a manifestare forme rare di intelligenza, ma anche ad essere creativi, nel senso di produrre qualcosa di originale e innovativo, ci si potrebbe invece domandare se avessero anche un’altissima intelligenza: per esempio, a un test di intelligenza avrebbero ottenuto un punteggio alto?

Al di là di questi casi estremi, che cos’hanno in comune un bambino capace di ragionamenti complessi, uno dotato in modo notevole per le attività meccaniche, uno capace di vedere le cose da un punto di vista diverso da quello degli altri? In un mio recente volumetto sui bambini eccezionali ho presentato tre casi di questo tipo e ho sostenuto che essi sono esempi di tre aspetti assai diversi di eccezionalità, e cioè: l’intelligenza generale, il talento specifico e la creatività. E ho sostenuto l’idea che il genio ha bisogno di talento e creatività, ma non necessariamente di una grande intelligenza, e che talento e creatività non sono sufficienti per fare di una persona un genio. I risultati di questa riflessione sono rappresentati graficamente nella figura soprastante, che presenta i 5 fattori della genialità: intelligenza generale, talento, creatività, personalità supportiva, contesto.

L’intelligenza generale descrive la capacità complessiva di funzionamento della mente. Questa capacità, tipicamente descritta dai test di intelligenza e stimata con misure di QI (Quoziente di Intelligenza), aiuta ad andare bene a scuola, a svolgere con efficacia compiti di ragionamento di più svariata natura, ad affrontare situazioni complesse. Di solito, quella percentuale di popolazione che ottiene un punteggio di QI superiore a 130 (poco sopra il 2%) è considerata superdotata. Come dicevamo più sopra, è opinione di alcuni teorici dell’intelligenza che per arrivare a produzioni geniali non sia necessario avere un QI di questo tipo. Inoltre molti ritengono che l’idea di una capacità intellettiva generale (con una sua stima di QI) sia riduttiva e che sia meglio rappresentare l’intelligenza come un sistema gerarchico composto da tante abilità. Nella figura qui sopra, l’intelligenza è, per esempio, rappresentata come un cono che ha, verso l’alto, le abilità più generali e, in basso, le abilità specifiche (indicate con l’abbreviazione “sp”). Al livello intermedio di questo cono vi sono le abilità ampie (per esempio, abilità verbali, musicali, visive ecc.) alquanto importanti ma non centrali: chi possiede in misura elevata un’abilità ampia o un’abilità centrale possiede un talento, ma non necessariamente un’alta intelligenza generale. Secondo la teoria dei 5 fattori (si veda il box qui a fianco) è sufficiente possedere un talento per poter arrivare a prodotti che porteranno a definirne il crea­tore come un vero e proprio genio, ma ovviamente sono necessari anche altri ingredienti e alcuni di essi fanno parte delle caratteristiche di personalità.

Creatività, caratteristiche di personalità e contesto

Gli altri fattori che entrano in gioco nel genio riguardano creatività, caratteristiche di personalità e contesto. Nella parte sinistra del modello rappresentato in figura vi è il cilindro della personalità, che include altri due fattori centrali per il nostro ragionamento: non solo i tratti creativi, ma anche i tratti che sostengono il potenziale genio nel perseguimento tenace e appassionato degli obiettivi che si è posto. 

La creatività è stata variamente definitiva, di solito con riferimento a una capacità di originalità e produttività, molto distinta dall’intelligenza. In base al classico modello di Guilford, la creatività è caratterizzata da operazioni divergenti, che si differenziano cioè da quello che si pensa normalmente, mentre l’intelligenza è caratterizzata da operazioni convergenti, che cioè convergono con quanto ci si attenderebbe ma che lo fanno in maniera ottimale. 

I tratti supportivi sono essenziali perché la persona dotata e creativa – talora vista con sospetto dai contemporanei per le sue innovatività e insofferenza –
mantenga la passione per la propria attività, coltivi il suo talento, non desista. Pare che Mozart, genio indiscusso, abbia affermato: «Non è un elevato grado di intelligenza, e nemmeno l’immaginazione, e nemmeno le due cose assieme che creano un genio. Amore, amore, amore, quella è l’anima del genio». Le parole di Mozart descrivono quanto la passione possa guidare il genio artistico, mentre la seguente citazione da Ève Curie descrive non solo la passione, ma anche la persistenza e l’impegno che nel 1898 portarono la madre a scoprire il radio: «I profani si fanno del ricercatore e della sua scoperta un’idea teatrale che è assolutamente falsa. Non sempre esiste l’“istante della scoperta”: i lavori di uno scienziato sono troppo esili perché, nel corso del suo penoso lavoro, la certezza del successo scoppi d’improvviso come un lampo e l’abbagli con i suoi fuochi. Maria, ritta dinnanzi ai propri apparecchi, non ha forse provato la subitanea ebbrezza del trionfo. L’ebbrezza si è distribuita lungo vari giorni di lavoro decisivo, resi febbrili da una magnifica speranza».

Ma nell’ambiente eventualmente diffidente in cui sono cresciuti tanti geni occorrono elementi contestuali, storici, culturali, ambientali che non solo forgiano ma pure sostengono e valorizzano il genio e soprattutto ne riconoscono i prodotti come geniali, talvolta, ahimè, solo post mortem. Parleremmo oggi di Caravaggio o di Van Gogh come di geni se il contesto non avesse loro offerto le opportunità per formarsi ed esprimersi, e se Caravaggio e Van Gogh non ci avessero lasciato dipinti che noi abbiamo riconosciuto come geniali?

Creatività e intelligenza

Tradizionalmente si è stati portati a ritenere che i geni o i creativi siano persone molto intelligenti, mentre secondo la teoria dei 5 fattori essi non lo sono necessariamente. A metà del secolo scorso, quando cominciarono a circolare i primi test di creatività, si trovò in effetti che le persone più creative avevano anche il QI più elevato, ma ben presto si cominciò a pensare che la relazione creatività-intelligenza fosse stata esagerata dalle misure utilizzate per valutare la creatività.

Tra i primi a collocarsi su questa linea di pensiero vi furono Michael A. Wallach e Nathan Kogan, i quali nel 1965 videro che la capacità di produrre risposte “uniche” (cioè non prodotte anche da altre persone) aveva poco a che fare con l’intelligenza. Fu a quell’epoca che si cominciò a proporre la teoria della soglia (threshold hypothesis), per cui una buona intelligenza è condizione necessaria per una manifestazione di elevata creatività, ma oltre certi valori di intelligenza diventa ininfluente 

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Qual è il rapporto fra alta creatività e intelligenza? L’“ipotesi della soglia”

L’ipotesi della soglia (threshold hypothesis) costituisce un compromesso tra negatori e sostenitori della relazione tra intelligenza e creatività. Tale ipotesi sostiene che, fino a un certo livello di intelligenza (“soglia di intelligenza”), esiste una relazione discreta per la quale, ad aumenti di intelligenza, corrispondono aumenti di creatività, ma, oltre questa soglia, una maggiore intelligenza non sostiene la creatività. Questa soglia è stata più volte quantificata e alcuni ricercatori hanno menzionato un valore di QI globale di 120, mentre altri ricercatori hanno indicato valori più bassi.

Per esempio, per un gruppo di ricercatori di Pechino la soglia è alta ma non altissima (a 116.8) per il rapporto tra originalità e intelligenza, e ancora più vicina ai valori medi (109.2) per il rapporto tra fluenza e flessibilità. 
L’ipotesi della soglia ha tre implicazioni principali per la comprensione di creatività e genio: la prima è che difficilmente la creatività fuori del comune si accompagna a bassa intelligenza, perché, a una bassa intelligenza, si accompagnerebbe anche una bassa creatività. La seconda è che, però, a un’altissima intelligenza non si accompagnano necessariamente altissime creatività e genialità. Infine, la terza è che a un’altissima creatività (ed eventuale presenza di genio) non si accompagna necessariamente un’altissima intelligenza.

Questa teoria offre una spiegazione della possibilità che un genio non sia necessariamente un superdotato intellettivo, per esempio non ottenga un punteggio elevato a un test di intelligenza. Essa, però, non tiene in considerazione i modelli che concepiscono l’intelligenza come un sistema articolato. Cosa vuol dire che bisogna avere un QI di almeno 120 per poter raggiungere alti livelli di creatività? Secondo il modello “a cono” dell’intelligenza, un QI di 120 descrive la somma di tante abilità e, per una forma elevata di creatività, è sufficiente che alcuni degli elementi dell’intelligenza siano assai elevati.

Lo studio psicologico dei geni

Gli psicologi hanno elaborato strumenti molto affidabili per valutare l’intelligenza, strumenti solidi per valutare la personalità, ma anche strumenti – sia pure meno sicuri – per valutare la creatività. Gli psicologi non hanno, tuttavia, strumenti in grado di prevedere e analizzare quel qualcosa in più che trasforma in un genio un individuo dotato creativo, appassionato e perseverante. Sono, come ricordavamo sopra, la comunità e la storia a decretare che una persona è un genio, e talora lo fanno anche con grande ritardo, dopo anni o secoli di misconoscimento.

La psicologia ha quindi tipicamente studiato la genialità integrando l’indagine basata su strumenti tecnici con una riflessione, maggiormente alla portata anche dei profani, legata all’analisi di tipo biografico. Questa modalità comporta una serie di limiti. Infatti, chi ci dice che quanto è riportato nella biografia (o anche nella stessa autobiografia) di un genio è sincero, affidabile, oggettivo, realistico? Eppure, dalla biografia dei geni gli psicologi dei secoli scorsi hanno ricavato informazioni importanti. Per citarne uno, il classico testo, della seconda metà dell’Ottocento, di Galton Hereditary genius illustrò chiaramente come molti geni si caratterizzassero per la presenza in famiglia di altri personaggi geniali. Nella sua analisi non era però chiaro se ciò stesse a significare che il genio aveva ereditato la propria genialità, o piuttosto aveva assimilato valori, interessi, padronanza di mezzi espressivi dal contesto in cui viveva.

Per esempio, non tutti sanno che Raffaello, Mozart, Leopardi e Picasso erano figli di personaggi che coltivavano la loro stessa forma d’arte: i padri di Raffaello e di Picasso avevano coltivato le arti visive, il conte Leopardi era un grande bibliofilo e si dilettava di scrittura, Leo­pold Mozart era un rinomato musicista. Questi genitori di geni, però, non hanno superato il vaglio della storia e non sono oggi riconosciuti come dei geni, probabilmente perché, in loro, al talento nel padroneggiare il mezzo espressivo non si associavano una grande dotazione e soprattutto una grande creatività.

Un altro classico studio sul genio fu condotto da Catharine Cox, all’inizio del XX secolo, nell’ambito del celebre progetto di ricerca di Terman sui superdotati. Terman si era occupato di ragazzi californiani intellettivamente molto dotati per esaminarne e seguirne nel tempo le caratteristiche; la sua allieva Cox fu incaricata di studiare le biografie di 301 persone del passato che ovviamente non erano mai state valutate per l’intelligenza, ma che avevano manifestato la capacità di produrre opere geniali, come Copernico, Darwin, Cartesio, Galileo, Newton ecc. Avvalendosi della metodologia cosiddetta storiometrica, che comparava l’età in cui il genio da bambino aveva raggiunto determinati traguardi con quella dei suoi coetanei, la Cox e altri esperti giunsero anche a stimarne l’intelligenza, talvolta molto elevata, ma la conclusione che si può ricavare da quegli studi è che la relazione fra questo tipo di genialità e la superdotazione intellettiva è modesta, mentre eventualmente il genio si caratterizza per un elevato tasso di creatività.

Sulla stessa linea, ma con evidenze empiriche complementari, un’analisi effettuata a quasi un secolo di distanza sui superdotati intellettivi individuati da Terman rivela che praticamente nessuno raggiunse i vertici della eccezionalità produttiva. Dunque, intelligenza e creatività sono distinte e non c’è da sorprendersi se alcuni geni sono giunti a manifestazioni che hanno fatto dubitare, forse a ragione, della loro intelligenza.

Cesare Cornoldi si occupa di apprendimento e di memoria, temi su cui ha pubblicato numerosi volumi e articoli scientifici. Dirige lo spin-off dell’Università di Padova sui disturbi dell’apprendimento.


Riferimenti bibliografici

Cornoldi C. (2019), Bambini eccezionali, Il Mulino, Bologna.
Galton F. (1869), Hereditary genius: An inquiry into its laws and consequences, Meridian Books, New York, 1962.
Runco M. A. (1999), «A longitudinal study of exceptional giftedness and creativity», Creativity Research Journal, 12 (2), 161-164.
Sternberg R. J., Spear-Swerling L. (1997), Le tre intelligenze. Come potenziare le capacità analitiche, creative e pratiche (trad. it.), Erickson, Trento.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 274 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui