di: Paola A. Sacchetti
Perché la cultura patriarcale e sessista spesso è "femmina"
Le donne sanno essere più maschiliste degli uomini.
Donne che per farsi strada nel mondo del lavoro si comportano come uomini, spesso molto peggio. Donne che colpevolizzano le vittime. Donne che commentano con termini sessisti e svalutanti altre donne. Donne che giustificano la violenza sulle donne: “Se l’è cercata”, “Ma suo marito la fa uscire così di casa?”, “Mio marito mi picchierebbe per molto meno”, “Quando erano gelosi erano contente, poi si lamentano che questi non vogliono essere lasciati e le riempiono di botte?”. Donne che legittimano comportamenti abietti e persino i femminicidi.
Perché accade?
Prof. Maiolo, secondo lei, basta la cultura patriarcale a spiegare questo fenomeno?
No, non penso sia sufficiente. Anche se la cultura patriarcale che influenza ancora sia gli uomini che le donne e i loro rapporti è un elemento significativo. Di certo colpisce tutti sentir dire da una donna che la ragazza stuprata da un branco di maschi “se l’è cercata”. E fa impressione la giornalista famosa che si chiede se gli uomini colpevoli di femminicidio non siano stati esasperati dalle donne uccise.
A mio avviso la spiegazione del maschilismo nelle donne ha qualcosa a che fare con un modello di pensiero strutturato che molto probabilmente rimanda al cervello rettile. Come dice Silvia Bonino, serve riconoscere quella “eredità filogenetica” che conserviamo nella nostra struttura biologica, la quale non giustifica la violenza sulle donne, ma che ci può aiutare a comprendere quella relazione arcaica che una volta era regolata dalla sessualità dominante del maschio e dalla sottomissione delle femmine. È la relazione predatore/preda che continua ad essere presente come modello mentale che contagia anche le femmine.
Il maschilismo al femminile però si sviluppa anche grazie all’ambiente sociale che, nel mondo lavorativo e professionale, valorizza carrierismo e competizione e limita la solidarietà di genere ma anche riduce l’empatia.
Il sessismo di cui è permeata la nostra cultura induce un paradosso: per esempio non ci rendiamo nemmeno conto che le parole e i termini che usiamo sono sessisti. Sull’aspetto del linguaggio e delle parole che usiamo qualcosa ha iniziato a muoversi, pensiamo alla polemica che si è scatenata durante l’ultimo Festival di Sanremo quando Beatrice Venezi ha detto di voler essere chiamata “direttore d’orchestra”.
Per riuscire a cambiare la cultura che cosa dobbiamo fare?
Ci sono ovviamente profonde resistenze che riguardano sempre tutti i processi di trasformazione. Le parole sessiste e la lingua con cui noi le esprimiamo sono ovviamente significative ed è fondamentale cominciare dalle espressioni che usiamo tutti i giorni, anche se sembrano dettagli.
Si tratta però di andare a modificare le gabbie mentali acquisite a prescindere dal genere e fatte proprie da uomini e donne che, in una quantità di gesti quotidiani, continuano a legittimare e trasmettere luoghi comuni duri a morire, come giochi, comportamenti e sentimenti differenti per genere. Penso anche ai ruoli familiari e domestici che, per quanto criticati dal revisionismo culturale, continuano ad essere considerati di appartenenza di uno o dell’altro sesso. Altrimenti non dovremmo più sentire bambini che alla domanda “Cosa fa tua madre?” ci rispondono “Niente, non lavora. Sta a casa!”.
Smontare queste trappole cognitive da un punto di vista linguistico è importante, ma è fondamentale farlo modificando i modelli educativi sia per i maschi che per le femmine. Tuttavia ritengo necessario oggi dare una particolare attenzione all’educazione dei figli maschi, perché siano aiutati a crescere oltre gli stereotipi della forza e del coraggio maschile e in grado di esprimere senza timore le proprie sensibilità e fragilità.
Servirebbe una maggiore presa di posizione degli uomini? Sappiamo che molti, che non urlano le loro convinzioni, sono femministi, nel senso vero del termine.
Se nasciamo tutti/e maschilisti/e, come possiamo diventare tutti femministi/e?
Credo sicuramente che serva una maggiore presa di posizione degli uomini a partire dalla dichiarata contrarietà alla violenza di genere. Valgono i gesti simbolici dei maschi che condannano le azioni violente sulle donne, ma c’è la necessità di una rinnovata coscienza maschile che sia in grado di sviluppare riflessioni sul rapporto uomo-donna e mettere nuove basi per relazioni soddisfacenti.
Non so se questo voglia dire diventare tutti femministi. Credo piuttosto si debba invece costruire adultità e, nello specifico, aiutare i maschi a costruire ponti, non a erigere muri. Il che significa avere strumenti per tenere in equilibrio la sfera dei bisogni con quella dei desideri e saper gestire le diversità delle esperienze con un “potere” inteso come possibilità e non come dominio.
Giuseppe Pino Maiolo, psicologo e psicoanalista, è Professore incaricato di Psicologia delle età della vita e Psicologia dello sviluppo all’Università degli studi di Trento e cofondatore di “Officina del Benessere” a Desenzano. Come giornalista si occupa di divulgazione scientifica per diverse testate, e come specialista lavora da anni nel campo del disagio infantile e giovanile e della promozione del benessere.
Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.