Zauberei

Ma quanto mi piace!

Un viaggetto nella galleria dei pittogrammi del web, dove tra faccine sorridenti o arrabbiate, cuoricini e l’icona del “mi piace” disponiamo di disegni che supportano
la comunicazione delle emozioni online.

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Nella vita sui social anche l’utente più sofisticato e attento ai sentimenti altrui si scontra con i limiti di una comunicazione scritta, non corredata cioè delle espressioni del volto, delle variazioni di tono e dell’uso generale che normalmente facciamo del corpo per qualificare le cose che diciamo. Potrebbe essere un problema non da poco, e in parte continua ad esserlo, perché i segni di interpunzione non bastano a svolgere il ruolo dei nostri volti, essendo nati per qualificare il ritmo del discorso, scandirlo e restituire i tempi delle pause, non per comunicare le nostre emozioni.

Soprattutto, però, qualsiasi soluzione un social adotti, sarà una soluzione che fa capo all’intenzionalità di chi comunica, perché la scrittura è un atto primariamente intenzionale, mentre le qualificazioni che noi diamo alle cose dette a voce sono spesso spontanee, non meditate, non mediate. Anche in conseguenza di ciò, le informazioni che noi forniamo nella nostra comunicazione verbale saranno sempre molte di più rispetto a quelle garantite dalla comunicazione scritta.

L’assenza di tali informazioni additive può provocare dei facili fraintendimenti: per esempio, una psicoterapeuta terribilmente permalosa potrebbe dover ricorrere a tutti i passi avanti compiuti nella sua analisi personale, qualora si trovasse a leggere sui social un’affermazione riguardantela di cui non dovesse essere chiara un’intenzione gentile o affettuosa o benevolmente ironica. 

La psicoterapeuta – un esempio a caso – con un animus spiccato potrebbe confrontarsi con delle sue proiezioni e controreazioni di faticosa gestione.

A soccorrerla, Zuckerberg e il suo entourage hanno istituito un parterre di simboli, per una comunicazione grafica che aiuti ad aggiungere almeno la comunicazione emotiva intenzionale. C’è il pollice del “mi piace”, che va a testimoniare il tono emotivo del gradimento, a cui sono succeduti poi
le emoticon, faccine che sintetizzano espressioni del volto rinvianti a emozioni basiche, tristezza, rabbia felicità, perplessità e anche qualche sintomo aggiuntivo, come l’immarcescibile cuoricino atto a simbolizzare afflati di amorevolezza e altissimo gradimento.

Va detto che il numero di faccine e di simboli destinati a chiarire il vasto mondo del giramento di scatole e del dissenso è assai più ridotto: non si contempla il tasto “non mi piace”, non vi è un disegnino speculare al cuore per connotare il risentimento e il sentimento ostile o rancoroso. Tutto ciò probabilmente non è però così male, e anzi aiuta a contenere i sovente surriscaldati animi della Rete, i quali così sono costretti, se proprio vogliono prendere a randellate il prossimo, a trascrivere la randellata in una frase compiuta e magari, grazie a ciò, ad accedere a meccanismi di difesa superiori – intellettualizzazione, razionalizzazione, ironia – che faranno virare, almeno in parte, istinti omicidi e piromaneschi in attacchi più urbani e motivati.

Vi è comunque da dire che con l’andare del tempo l’uso di questi simboli ha assunto una vita propria ed essi sono diventati depositari di regole relazionali molto sofisticate. Soprattutto lo storico tasto “mi piace”, nato praticamente insieme a Facebook.

Si fa presto, infatti, a mettere un “mi piace”! Il “mi piace”, in realtà, è una moneta di scambio che si qualifica di volta in volta a seconda del contesto relazionale, e risponde a svariate funzioni, dovute anche a una sorta di percezione spaziale del social.

Difatti, Facebook è per gli utenti un luogo dove ci sono spazi pubblici e spazi privati, case e piazze, e la prima funzione del “mi piace” è quella di dire semplicemente “Ciao, sono passato da qui”, con tutta una serie di decodifiche dell’atto mipiacesco che dipenderanno dalla relazione tra le persone che stanno comunicando. Il “mi piace” di un contatto famoso e illustre sarà un balsamo narcisistico per il contatto poraccio e modesto; per esempio, la psicoterapeuta che si è letta l’opera omnia del noto scrittore Ciccio Pasticcio, che non la considera mai se scrive di psicodinamica, sarà comunque felice di avere un suo “mi piace”, ancorché sotto la ricetta degli spaghetti alla carbonara.

Di contro, si verifica spesso l’uso simmetrico e contrario del “mi piace” quale segno di amorevole devozione nei confronti del contatto famoso Ciccio Pasticcio, il quale potrà constatare con sgomento come, garantito dalla sua posizione nella Rete, potrà anche scrivere soltanto “Oggi mi mangio la caciotta della Coop” che subito arriverà una nuvola di piacimenti, a conferma baldanzosa di un patto di devozione.

Inoltre, siccome la qualifica del simbolo è comunque contestuale, alcuni “mi piace” possono portare con sé dolore e sventura. Per esempio, il contatto celebre scrittore Ciccio Pasticcio aveva intavolato una proficua relazione adulatoria con il contatto musicista Pinco Pallo, si prefigurava una cena insieme, entrambi sono liberi da vecchie relazioni, da cosa nasce cosa, Facebook è un’ottima piattaforma anche per l’acchiappo omosessuale, sennonché Pinco Pallo, prima assiduissimo non solo nel dispensare “mi piace” ma pure nell’accompagnarli con commenti irti di ammirazione e alle volte anche allusivi ed elegantemente piccanti, adesso si limita a mettere solo il “mi piace”, insomma passa da casa senza fermarsi a fare complimenti e portar rose, quindi la cena romantica di Ciccio Pasticcio si allontana.

Gli altri simboli del social hanno una minore versatilità. I pochi segni dei sentimenti negativi, come la tristezza e la rabbia, rasentano l’univocità: quando li si usa, lo si fa per dire quello che vogliono dire, rinunciando anche a una sfumatura di senso; tutt’al più si portano dietro, forse più di altri, una risonanza di solidarietà e di essere con. Di rado le persone mettono la faccina della rabbia per contestare il post di un loro contatto, molto più frequentemente la inserisono per dichiararsi arrabbiati come lui per questa o quella questione.

L’unico simbolo che ancora contiene un possibile uso sfaccettato è il cuore del sentimento amorevole, che spesso è usato per indicare un apprezzamento spiccato, un trasporto amoroso quando qualcuno scrive qualcosa di strappalacrime, ma viene utilizzato anche in modo ironico e blandamente cattivello – un uso insomma cinico del cuoricino –, per esempio quando vengono citate affermazioni di acclarata naïvité, per non dire di disinvolta ignoranza. Il cuoricino diventa una comunicazione di sofisticata sanzione, e in qualche caso un’autodenuncia di narcisistica supponenza.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 267 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui