Silvia Bonino

Lo sguardo sessualizzato sulle donne

La cronaca italiana ultimamente racconta di divieti alle madri di allattare i figli in luoghi pubblici. Un provvedimento che tradisce una visione sessuale e seduttiva del seno, anziché materna.

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Negli ultimi mesi la cronaca si è occupata di numerosi casi in cui è stato proibito alle madri di allattare i propri neonati in locali pubblici, come un ufficio postale o un museo. Per quanto le mamme avessero scelto un angolo appartato, la reazione dei responsabili è stata decisamente negativa e brusca, come se queste donne stessero compiendo un’azione molto riprovevole. Il caso più eclatante è stato quello della ricercatrice che stava partecipando a un convegno dedicato, per ironia della sorte, proprio ai soprusi sulle donne. È probabile che casi simili siano numerosi e che solo di alcuni si abbia notizia, grazie alla determinazione delle donne interessate e alla velocità di trasmissione delle informazione con i mezzi informatici. Anche senza arrivare all’allontanamento, come negli episodi citati, molte donne che allattano sono state testimoni di sguardi di riprovazione o di commenti critici, con il risultato che non poche rinunciano ad allattare fuori casa.

Nel commentare questi episodi si è parlato di scarsa dimestichezza, in un Paese come l'Italia in cui nascono pochi bambini, con un gesto di accudimento nei confronti di un neonato, che per molte persone è un essere del tutto sconosciuto. Si è invocata l’incapacità di confrontarsi con un gesto naturale, vissuto ormai come arcaico e inadeguato ai nostri tempi civilizzati e tecnologici, e quindi tollerato solo in donne provenienti da culture reputate più primitive e considerato inadatto a una donna occidentale. Sono tutte ragioni plausibili, che non riescono però a spiegare fino in fondo l’avversione per un atto che viene ritenuto indecente, quasi osceno, se non compiuto nell’intimità della propria casa. Vanno allora indagati gli aspetti più profondi che portano oggi non poche persone a reagire in modo così negativo di fronte a una donna che allatta; essi sono riconducibili alla cultura, e nello specifico al modo in cui quella occidentale guarda oggi alla donna e al suo corpo.

Gli studi di etologia hanno mostrato che il seno femminile è un carattere sessuale secondario che svolge negli esseri umani una duplice funzione. Esso ha conservato la sua funzione più antica di allattamento, tipica dei mammiferi, ma ne ha anche acquisita una nuova, come strumento di attrazione sessuale. Infatti l’ingrossamento delle mammelle non è limitato, nella specie umana, al periodo dell’allattamento, ma è permanente, dopo la pubertà. Questa funzione di attrazione sessuale è legata alla più generale trasformazione della sessualità umana, il cui esercizio non è limitato a un periodo di estro, con una finalità unicamente riproduttiva, ma si accompagna a una relazione di legame, che contribuisce a mantenere nel tempo.

Le reazioni contrarie alla vista di una donna che allatta sembrano indicare che la nostra cultura attuale non è più in grado di distinguere un inequivocabile gesto materno di accudimento da quello di mostrare il seno a fini di seduzione. In altri termini, il seno femminile sembra avere perso, agli occhi di molti osservatori sia maschi che femmine, la sua funzione materna per avere soltanto quella sessuale. Di conseguenza, la sua esposizione pubblica viene censurata come inopportuna, con reazioni impulsive di rifiuto automatico e viscerale. È come se noi occidentali fossimo ormai talmente abituati a guardare al seno femminile in termini esclusivamente sessuali da non riuscire più a vederlo in altro modo, compreso nella sua ovvia funzione di nutrimento per il neonato. Questa incapacità è il risultato, a sua volta, di un processo di sessualizzazione della donna che è assai diffuso nella società occidentale. Esso è veicolato soprattutto dalle immagini che vengono proposte dai mezzi di comunicazione e dalla pubblicità; com’è stato più volte sottolineato dai sociologi, la nostra è la società dell’immagine per eccellenza e l’ultimo secolo ha visto moltiplicarsi gli strumenti tecnici che ne permettono la diffusione. La sessualizzazione comporta la rappresentazione della donna come un essere in prevalenza sessuale, il cui corpo è visto principalmente in termini di attrattiva sessuale e come oggetto del desiderio maschile. Agli uomini la sessualizzazione propone un’immagine femminile eccitante, mentre alle donne dà un modello di identificazione limitato, ritenuto indispensabile per ottenere le attenzioni maschili. Nei casi estremi, la sessualizzazione conduce all’oggettivazione, in cui la donna è considerata un oggetto sessuale privo di autonomia propria. La sessualizzazione nega di fatto la globalità e la complessità della persona, che viene ridotta alla sola dimensione sessuale. Restano così in ombra, fino a scomparire, gli altri aspetti che caratterizzano un individuo, uomo o donna che sia: intelligenza, preferenze, emozioni, sentimenti, interessi, talenti, e così via. Nello specifico, non viene presa in considerazione la funzione materna, che viene annullata da quella sessuale.

Il rifiuto della donna che allatta dovrebbe allora preoccuparci, perché rimanda a una più generale mortificazione della donna, che viene limitata al solo ruolo sessuale. La cecità nei confronti della funzione materna rinvia, in modo più ampio, alla mancata considerazione della donna come persona umana completa, che non esaurisce la propria identità nella sessualità: una persona umana che, al pari degli uomini, svolge molti ruoli e partecipa alla società in mille modi, secondo i suoi talenti e le sue preferenze. Di conseguenza, rivendicare la possibilità di allattamento non significa soltanto favorire un atto di accudimento dei neonati di cui la società italiana ha particolarmente bisogno: sarebbe già un bel passo in avanti, vista la scarsissima attenzione prestata alle necessità delle mamme e dei bambini piccoli, sia in casa che fuori di essa. Significa anche, più in generale, ricordare che le donne non sono solo degli esseri sessuali: possono anche essere madri, e molto altro ancora.

 

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo nell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).

www.silvabonino.it

Questo articolo è di ed è presente nel numero 261 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui