Carmen Giorgio

La comunicazione nella famiglia affettiva

Per comunicare bene con gli adolescenti di oggi bisogna riconoscere la complessità della loro crescita e del modo in cui è intesa di questi tempi. Lontano dal controllo e dalle sanzioni, verso un incoraggiamento delle potenzialità del ragazzo

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Trascorsa l’infanzia, nel traghettare verso la preadolescenza prima e l’adolescenza poi, ogni famiglia fa i conti con la metamorfosi del figlio e dell’intero assetto famigliare. Il corpo, la mente, l’idea di sé, le relazioni con i pari, i propri valori e il rapporto con i genitori sono un coacervo di trasformazioni. Nel migliore dei casi inizia la stagione delle bugie, delle porte chiuse, della negoziazione delle regole, dei silenzi criptici, dei social loquaci. È il tempo degli amici, dell’amore e di quegli argomenti, come la sessualità, che i genitori hanno tanta premura a trattare. «Con noi non parla più come faceva prima», commentano molti dei genitori convocati nei primi colloqui. Uno dei temi ricorrenti riguarda la sensazione di essere sprovvisti di un modello di genitorialità di riferimento che sia sintonico con l’adolescente odierno. «Ai nostri tempi era tutto diverso. La rigidità che ha funzionato con noi, con loro non funziona», osservano ragionevolmente i genitori che richiedono un aiuto nella relazione con il figlio. Per provare a dar senso a quelle che possono essere alcune delle difficoltà di comprensione nella relazione e nella comunicazione con i propri ragazzi è importante avere in mente chi sono gli adolescenti odierni, cosa e come comunicano, in quale contesto sociale e famigliare sono cresciuti, e quali cambiamenti sono avvenuti.

LA FAMIGLIA AFFETTIVA

La famiglia tradizionale, etica e normativa, in cui sono vissuti i genitori di molti ragazzi, si basava su ruoli fortemente suddivisi e differenziati. Le caratteristiche che rendevano un padre e una madre un buon genitore erano socialmente condivise. Le relazioni genitori-figli erano più formali. Il padre era il garante dell’autorità, il suo compito era quello di plasmare i figli imponendo regole e principi. Il mancato rispetto esponeva a severe punizioni e, nei casi più gravi, all’interruzione della relazione. L’intervento educativo era basato sull’obbedienza e la sottomissione ai valori degli adulti di riferimento, trasmessi verticalmente di generazione in generazione. La madre della famiglia normativa si dedicava alla cura del nucleo famigliare e all’accudimento dei figli. La crescita seguiva percorsi già delineati che lasciavano poco spazio alle proprie inclinazioni. La trasgressione era l’unico modo attraverso il quale i giovani cercavano di emanciparsi opponendosi all’autorità.

A partire dagli anni Settanta, in concomitanza con altri cambiamenti sociali, come la conquista delle pari opportunità, la costituzione famigliare è cambiata. La genitorialità non è più una tappa predefinita all’interno del matrimonio, ma un progetto personale che nasce spesso dopo la realizzazione, per entrambi i partner, di altre aree del Sé in ambiti esterni al focolare domestico. I ruoli genitoriali sono meno rigidi e più flessibili. I padri affettivi trovano ispirazione nel modello materno, non più nei dettami sociali esterni, e si differenziano dal prototipo normativo dei propri genitori. Le mamme si trovano impegnate nel funambolico tentativo di conciliare diverse rappresentazioni di sé, diversi ruoli e investimenti. L’importante realizzazione lavorativa spinge a separarsi dai piccoli in tenerissima età. La super-mamma delega parte delle sue funzioni ad altre figure, ma solo a patto di restare sempre connessa e collegata con chi fa le sue veci, per essere vicina anche a distanza.

Oggi il bambino in arrivo è molto atteso, pensato, desiderato. La sua predisposizione sociale innata e l’ingresso al nido lo rendono estremamente competente nelle relazioni tra fratelli, molto bisognoso di uno sguardo rispecchiante e poco avvezzo alla noia e alla solitudine. Nel rapporto con i figli, i genitori postmoderni investono sulla qualità della relazione. La stessa educazione passa attraverso il legame affettivo. Il rispetto della regola è atteso come segno d’amore e riconoscimento, non di paura. Le ragioni dell’intervento educativo sono spiegate e dotate di senso, non imposte.

Nella famiglia affettiva i genitori sono i principali sponsor dell’unicità, preziosità e talento dei bambini. La modalità di declinare la genitorialità odierna è volta a fornire amore e sicurezza aiutando il proprio figlio a diventare sé stesso e ad esprimendo le proprie abilità e inclinazioni. Il timore di deludere aspettative, investimenti, valorizzazioni è la traccia sommersa che aleggia tra i non detti nella relazione con gli adulti. Ragazzi assai rinforzati durante l’infanzia si trovano disorientati e impreparati davanti all’insuccesso e al crollo delle elevate aspettative di riuscita personale e popolarità. Le spiccate capacità affettive nutrite sin dalla nascita, rendono gli adolescenti in grado di sintonizzarsi con angosce, bisogni e dolori che abitano la mente dei genitori. Dopo aver sostenuto una socializzazione precoce, un’infanzia espressiva e creativa, preoccupati dall’arrivo dello tsunami adolescenziale, molti genitori riprendono dalla cassetta degli attrezzi della genitorialità dei copioni comunicativi, educativi e relazionali tipici del sistema normativo d’origine. Modelli dove la regia era del Super-Io e del senso di colpa, i quali non si incontrano con la realtà interna ed esterna di soggetti che oggi, in un contesto sociale molto diverso dal passato, sono dominati piuttosto dall’ideale dell’Io e dalla vergogna.

Per poter dar senso e significato alle modalità espressive e comunicative dell’adolescente attuale è importante accogliere e comprendere la complessità e le novità che caratterizzano il modo di affrontare oggi la crescita. Il ricorso al controllo e alla sanzione non risulta una soluzione efficace e perseguibile con ragazzi la cui infanzia ha seguito una regia molto differente. Si tratta quindi di proseguire lungo le stesse direttive del percorso educativo che ha caratterizzato l’infanzia, ma riadattandolo alle esigenze evolutive dell’adolescente e dei suoi compiti di sviluppo.

DALL’IMPORRE AL PROPORRE

Il ruolo di padre e di madre, in questa fase del ciclo di vita, è sicuramente complesso, ma allo stesso tempo stimolante e ricco di possibilità. La creatività del ruolo adulto è indispensabile nel promuovere il processo di crescita, autonomia e responsabilità dei propri figli. Questo nuovo modo di vivere la genitorialità non implica di “dar loro sempre ragione” o di “far loro fare tutto quello che vogliono”, ma comporta la rivoluzione del modo in cui le norme domestiche sono dettate: non come imposizione del potere adulto, ma come proposta, comunicata all’interno di una relazione affettiva, spiegata e a volte anche concordata. I ragazzi hanno bisogno di conoscere le motivazioni che governano le scelte adulte e che hanno una diretta ricaduta sul loro presente e sul loro futuro. La decisione, per esempio, di proporre azioni aggiuntive congruenti al misfatto realizzato, piuttosto che punizioni privative, testimonia la differenza tra un intervento individualizzato concreto e una sanzione autoritaria. Non sempre privare gli adolescenti di amici, Internet, paghette e svaghi è la soluzione, tanto più se i motivi per i quali queste misure sono state erogate restano una fonte di preoccupazione nella mente dei genitori. Vietare e punire non significa aver risolto quanto espresso dal comportamento del figlio. Diverso è individuare la natura del problema sommerso, avvicinare strumenti utilizzabili e aiutare a trovare soluzioni percorribili.

Esistono, tuttavia, delle peculiarità insite nell’adolescenza stessa. La disobbedienza, le bugie, le porte chiuse a chiave dal di dentro non sono espressione di un intento trasgressivo, ma possono essere manifestazioni di movimenti evolutivi. Le regole che governavano la vita famigliare del bambino risultano incompatibili con le nuove necessità dell’adolescente che esprime il suo dissenso. Il figlio adolescente ha bisogno di sperimentare i nuovi bisogni innescati dalle trasformazioni del corpo e della mente, ma per farlo deve avere delle aree segrete, degli spazi psichici protetti, dove iniziare a stabilire i primi confini. Non può parlare troppo apertamente, perché vuol essere sicuro di non lasciarsi contagiare dagli adulti. Cerca così di costruirsi e tutelare degli spazi mentali in cui iniziare a pensare i propri pensieri differenziandosi dalle figure di riferimento e trovando il suo vero Sé. Risposte vaghe e imperscrutabili sono espressione di cambiamenti che neppure l’adolescente saprebbe riportare con chiarezza, perché rappresentano possibilità, verità affettive, pensieri ancora da collaudare.

Quelle ambivalenze e contraddizioni nei comportamenti e nelle comunicazioni che lasciano i genitori disorientati sono espressione del fisiologico oscillare tra fughe in avanti e ritorni regressivi e nostalgici all’infanzia. L’adolescente per emanciparsi deve progressivamente destituire i genitori dalla loro funzione regale, ma allo stesso tempo ha bisogno di restaurare il loro splendore quando si trova dinanzi alla nostalgia di tempi passati e di privilegi ormai trascorsi.

UNA SECONDA NASCITA

Con l’arrivo dell’adolescenza si nasce una seconda volta. Anche questo passaggio, come ogni nascita, è scandito da processi separativi, difficili, dolorosi ma necessari. Le trasformazioni dei modelli educativi hanno cambiato il terreno di gioco su cui si realizza il percorso di autonomizzazione. L’adolescente si differenzia, emancipa e separa, non con la trasgressione bensì deludendo le aspettative. Sostenere l’autonomizzazione dei figli significa saper dare significato alle loro scelte, anche se diverse dalle attese e dalle speranze. Mentre all’esterno della famiglia, tra i pari e altre figure adulte di riferimento, si ricercano modelli di identificazione, in casa si contratta per far spazio a una progressiva gestione autonoma del corpo, dei soldi, dello studio, dell’abbigliamento, delle amicizie. A poco servono i confronti con i figli o i genitori degli altri, che risultano facilmente idealizzabili da una veduta esterna. Paragoni di questo tipo rischiano di essere vissuti come svilenti mortificazioni e mancati riconoscimenti che paralizzano e feriscono. Consegnare uno sguardo di ritorno sulla capacità di sperimentare sé stessi in autonomia non significa abbandonare la funzione educativa, ma sostenere la realizzazione identitaria del figlio (Lancini, 2017). Trasmettere e comunicare la disponibilità a concedere un’amministrazione via via più autonoma di spazi e tempi apre alla possibilità di acquisire maggiore responsabilità verso sé stessi e verso il proprio futuro.

La spinta ad avvicinare, ai propri figli, risorse utili per la crescita, generata dalle migliori intenzioni quando nasce a partire da preoccupazioni adulte, senza essere sintonica con i bisogni di quel ragazzo, in quel momento rischia di non essere accolta o addirittura di risultare intrusiva. Per esempio, quando i primi segnali di uno sviluppo pubertario fanno breccia all’orizzonte si può essere mossi dall’urgenza di dover parlare subito della sessualità, trovando le parole migliori, i film migliori, gli strumenti migliori per preparare al futuro incontro amoroso un neo-preadolescente che potrebbe in realtà essere ben lontano da tali questioni.

Un altro aspetto riguarda la disponibilità esplicita e implicita dell’adulto a ricevere tutte le comunicazioni e i comportamenti che ruotano attorno al dolore, alla tristezza, alla sofferenza, al fallimento. A volte gli adolescenti non esprimono questi vissuti, per timore che i genitori non siano pronti ad accoglierli. Temono di deluderli, di ferirli, di farli sentire in colpa. Percepiscono che il loro malessere potrebbe essere interpretato come segnale di un insuccesso genitoriale, per questo tacciono, nel tentativo di proteggere la fragilità dell’adulto, restando però profondamente soli.

L’attacco al Sé è la principale modalità con la quale gli adolescenti odierni comunicano il proprio disagio. Sono storie di ragazzi che tramite il sintomo esprimono l’indicibile dolore per una crescita momentaneamente interrotta. Il timore di non essere all’altezza delle proprie e altrui aspettative, di non avere valore e di non poter occupare un posto speciale nella mente dell’altro espone a profondi vissuti di vergogna, mortificazione, delusione e fallimento. Per questa ragione è importante comunicare, all’interno della relazione con il figlio adolescente, che le cadute e i fallimenti fanno parte della crescita. I figli devono essere sicuri di essere amati per ciò che sono e non per ciò che noi vorremmo che fossero.

Capire e identificarsi con le ragioni del figlio non vuol dire abdicare al progetto educativo, ma essere autorevoli, riconosciuti ed efficaci nei propri interventi. Rinegoziare le regole, introdurre proposte alternative ai divieti, avendo in mente i cambiamenti avvenuti nel corpo e nella mente degli adolescenti, permette di mantenere aperti spazi di confronto e dialogo. Alla rabbia dei ragazzi che non si sentono capiti bisogna rispondere con autentica curiosità verso il loro mondo (Pietropolli Charmet, 2010). Essere genitori di adolescenti nella società attuale ha le sue complessità e specificità. I giovani, infatti, sono cambiati, così come il modo di declinare la genitorialità, i valori di riferimento e i costumi sociali.

Si tratta di infondere fiducia, di stare vicini, ma alla giusta distanza, di tener conto sia dei bisogni ma anche delle fragilità del figlio, avendo in mente le proprie paure in modo che non si trasformino in ostacoli all’interno della relazione. Contenere e non agire le proprie angosce di ruolo permette di garantire un riferimento sicuro e autorevole all’adolescente, cosicché egli non sentirà di essere completamente solo di fronte alle vicende che più lo riguardano e preoccupano. Non esiste una formula che possa andar bene per tutti, ma esistono tante diverse modalità creative per declinare la propria funzione nel modo più identificato possibile con il ragazzo che si ha di fronte. Per individuare nuovi percorsi comunicativi, relazionali e affettivi può essere utile contrastare il ricorso a procedure standardizzate di pensiero ispirate alla propria storia, accettando che il figlio è altro da sé, e non più un bambino bensì un adolescente (Lancini, 2017).

Alle volte occorre fare lo sforzo di arretrare, di restare fermi, garantendo al tempo stesso una presenza responsabile, utile alla crescita e alle esigenze evolutive dei propri figli. In una società che è sempre più complessa, i giovani hanno bisogno di adulti non troppo angosciati, ma attenti, in grado di comunicare speranza e di avvicinare risorse utili per la realizzazione del vero Sé e del proprio futuro.

 

Carmen Giorgio è psicologa e psicoterapeuta, socia dell’Istituto Minotauro di Milano. Svolge attività di ricerca, prevenzione e consultazione, dedicando particolare attenzione all’età evolutiva e ai temi dell’adozione.

Bibliografia

Lancini M. (2017), Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti, Mondadori, Milano.

Pietropolli Charmet G. (2010), «La mente adolescente pensa nuovi pensieri». In G. Pietropolli Charmet, L. Cirillo, Adolescienza. Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi, San Paolo, Cinisello Balsamo.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 285 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui