Donato Cattani

Il panico: l'urlo del diavolo

Vediamo da vicino il disturbo di panico, una delle patologie mentali più diffuse e invalidanti della nostra epoca, considerato il vero e proprio male del secolo.

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L'etimologia del termine “panico” è universalmente nota. Affonda le sue radici nel greco “panikós”, relativo cioè a Pan, dio minore della mitologia greca, metà uomo e metà capro, considerato il protettore dei boschi e delle campagne. Secondo la mitologia, il suo urlo era così pauroso da provocare, nei poveri sventurati che vi si imbattevano, uno stato di paralisi e di totale sgomento.

Sul panico si è studiato e scritto davvero moltissimo. Gli articoli scientifici sull’argomento sono innumerevoli e ogni anno vengono pubblicate ricerche e scoperte sempre più innovative e sorprendenti. Se entrassimo poi in una qualsiasi libreria o biblioteca, ci accorgeremmo subito di quanto questo argomento sia, indiscutibilmente, il più diffuso, trattato e rappresentato nella sezione dedicata ai volumi di psicologia clinica, psicoterapia e psichiatria. Allo stesso modo, ansia patologica e attacchi di panico rappresentano tematiche onnipresenti in TV, nelle rubriche sulla salute, nei talk show e perfino sulle nostre pagine personali dei social network, attraverso la condivisione di post, articoli e inserzioni pubblicitarie. Ma come mai tutto questo fermento, attenzione e interesse attorno a tale fenomeno?

Sottraendoci strategicamente alle ovvie quanto labirintiche considerazioni legate agli interessi di natura economica, la risposta, in questo caso, è semplice: il panico è un fenomeno diffusissimo. Ne soffrono decine di milioni di persone in tutto il mondo e, nonostante il progresso scientifico e la crescente disponibilità e offerta di cure psicoterapiche e farmacologiche sempre più all’avanguardia, efficaci e diversificate, gli attacchi di panico continuano inesorabilmente ad aumentare. Fornire una spiegazione del perché ciò avvenga risulta, tuttavia, un’operazione decisamente più complessa.

L'EPOCA DEL PANICO

Il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, illustre chimico olandese, è stato il primo, nell’anno 2000, a utilizzare in maniera scientifica il termine “antropocene”, per definire la prima era geologica (quella attuale, in sostanza) in cui clima, atmosfera e intero equilibrio della terra sono stati così fortemente influenzati e alterati dalle attività umane. Se tuttavia il focus degli studi di Crutzen non fosse stato il nostro pianeta, ma la sola dimensione del benessere psicologico dell’Homo Sapiens Sapiens nell’era contemporanea, si sarebbe forse parlato di una vera e propria “epoca del panico” o, più suggestivamente, “panicocene”, a causa dell’enorme impatto e pervasività nella vita di chi ne soffre e data la vasta diffusione del fenomeno.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, i disturbi d’ansia, tra cui proprio il disturbo di panico, rappresentano le malattie mentali più comuni al mondo e, in base ai più recenti dati del NIMH (National Institute of Mental Health), il 18% degli statunitensi (circa 40 milioni di persone!) soffre attualmente di un disturbo d’ansia. L’età media d’insorgenza degli attacchi di panico è la prima età adulta (22-23 anni) per poi raggiungere il picco di frequenza intorno ai 30 anni. Più comuni nel genere femminile, sono più rari negli anziani e nei bambini. Negli ultimi anni, inoltre, si sta registrando un preoccupante aumento anche nel delicato periodo dell’adolescenza. Insomma, ansia patologica e panico sono il vero e proprio male del secolo.

Anche se all’apparenza può sembrare difficile da comprendere, una delle cause principali di questa massiccia presenza è da rintracciarsi proprio nella società stessa e nello stile di vita contemporaneo. Oggettivamente, infatti, un livello di ricchezza e di benessere materiale come quello attuale in alcune parti del mondo non è mai stato raggiunto in nessun’altra epoca storica. L’aspettativa di vita, rispetto ai secoli scorsi, è decisamente aumentata e l’essere umano può godere oggi di tecnologie sempre più sofisticate e di una modernità costituita da agi sempre più a portata di mano.

Paradossalmente invece, come se esistesse una sorta di dantesco contrappasso da espiare per tutto questo illusorio benessere, la società contemporanea è divenuta enormemente più esigente e competitiva. I ritmi lavorativi sono diventati sempre più frenetici, le sfide quotidiane più pressanti e gli standard psicosociali esponenzialmente più elevati. Il futuro è percepito con sempre maggiore incertezza e il presente enormemente stressante. Lo stress negativo permea ineluttabilmente tutte le dimensioni e gli spazi di vita dell’uomo contemporaneo: il lavoro, l’ambiente famigliare, la scuola e addirittura il tempo libero, attraverso la totalizzante invadenza del web e dei social network. L’uomo contemporaneo soffre così di una iatrogena modernità della quale gli attacchi di panico rappresentano uno dei più evidenti epifenomeni e all’interno della quale, inevitabilmente, questi proliferano.

Ad aggravare maggiormente la situazione, esiste poi una pericolosa tendenza all’abuso e all’utilizzo poco consapevole dei farmaci ansiolitici, spesso in regime di automedicazione e senza alcun controllo di natura medica. Senza la supervisione di uno specialista, infatti, questa diffusa abitudine non solo può rivelarsi davvero dannosa per la salute (e in alcuni casi addirittura fatale), ma può anche concorrere in maniera determinante alla cronicizzazione degli attacchi di panico stessi e quindi alla loro ulteriore diffusione. Assumere benzodiazepine ogni volta che si deve affrontare una situazione temuta o alla prima lieve sensazione o sintomo di ansia percepiti, costituisce una vera e propria forma di evitamento. Così facendo, sebbene il paziente riesca effettivamente a calmarsi e ad affrontare la situazione, si convincerà erroneamente di non poterne affrontare di nuove senza assumere ancora il farmaco. Ciò comporta un aumento del senso di impotenza e un vertiginoso crollo dell’autostima e dell’autoefficacia. Inoltre, in questo modo, si sottrarrà alla preziosa opportunità di verificare che i suoi pensieri catastrofici, riguardo ai sintomi percepiti, sono completamente infondati, che il panico tende a scomparire in maniera spontanea e veloce, e soprattutto che non conduce affatto alla morte.

DAL PANICO ALLA GUARIGIONE

Guarire dal disturbo di panico è possibile.
Il trattamento degli attacchi di panico, infatti, rappresenta attualmente l’area d’intervento in cui la psicoterapia – soprattutto l’approccio cognitivo-comportamentale e la terapia breve strategica – ha ottenuto i migliori risultati. Inoltre, sono oggi disponibili farmaci sempre più specifici ed efficaci che, esclusivamente sotto lo stretto controllo di un medico specialista, sono in grado di ridurre e limitare gli spiacevoli sintomi collegati. Tutta la letteratura scientifica è comunque concorde sul fatto che la strategia vincente, soprattutto nei casi di panico più gravi, è data dall’integrazione di queste due vie: psicoterapia e farmacoterapia.

PANICO E ANGOSCIA DI MORTE

L’attacco di panico, di fatto, rappresenta una delle esperienze più spiacevoli che si possano vivere. Completamente sopraffatto e paralizzato da un improvviso terrore e da una serie di sintomi spaventosi (tra cui sensazione di soffocamento e asfissia, dolore al torace, sensazione di svenimento, derealizzazione e depersonalizzazione), chi ne soffre solitamente esperisce anche una terribile quanto realistica sensazione di essere sul punto di impazzire e – aspetto decisamente cruciale al fine di comprenderne l’essenza – perfino di morire. Può esistere per un essere umano esperienza più violenta e angosciante dell’improvvisa consapevolezza di un’imminente quanto inspiegabile morte?

«Volevo solo scappare da quell’inferno […], la testa mi girava per la paura […]. Mi accasciai a terra. La mia mente era svuotata, le energie prosciugate». Queste le parole utilizzate dal diciannovenne giapponese Shinji, per descrivere il dramma appena vissuto (Mikamo, 2015).

E Brett, imprenditore di Città del Capo, così racconta la sua terribile e surreale esperienza: «Incredulità. Disperazione. Un senso di orrore che si diffonde lentamente […]. Lo stomaco mi si contrae sotto le costole, fatico a respirare. Lo sento. Dentro di me, lo sento. Morirò qui!» (Archibald, 2017).

«Cominciai a provare, inaspettatamente, un’intensa sensazione di paura che ben presto diventò terrore. Tremavo, sudavo e sentivo il cuore battermi in gola. Sentivo di soffocare, come se qualcuno mi stesse strangolando con forza. Ero certa che sarei morta di lì a poco!». Così Anna, giovane studentessa italiana, racconta quei tragici momenti che mai potrà dimenticare.

I pazienti che soffrono di disturbo di panico o chi, per propria fortuna, ne ha fatto esperienza raramente o anche soltanto una volta nel corso della vita raccontano vissuti di estremo malessere, paura e sgomento. Senza la necessità di ricorrere a chissà quale esercizio di fantasia o artificio immaginativo, tali vissuti possono essere paragonati con facilità a esperienze di vita oggettivamente più inquietanti e traumatiche. Celebre, al proposito, è il resoconto di un colloquio avuto negli anni Ottanta dal famoso psichiatra David Sheehan con un veterano della seconda guerra mondiale, reduce dallo sbarco in Normandia e affetto da disturbo di panico. Secondo il medico, l’ansia che il soldato aveva provato sulle spiagge francesi nel corso del D-day era da considerarsi lieve, se paragonata al terrore che avvertiva di solito durante i suoi episodi di panico.

Inoltre, potendo scegliere tra l’eventualità di subire un nuovo attacco di panico e quella di prendere nuovamente parte allo sbarco, avrebbe, senza alcun dubbio, scelto la seconda. E sorprendentemente, tornando ai racconti di Shinji, Brett e Anna, all’apparenza davvero molto simili per intensità, pathos e drammaticità, solo uno di questi rappresenta realmente la narrazione di un episodio di attacco di panico. Provi il lettore a capire quale sia, se ci riesce. Ma se fallirà, come è probabile, di certo non se ne avranno Shinji Mikamo, adolescente di Hiroshima che il 6 agosto del 1945 fu vittima della devastazione della bomba atomica, o Brett Archibald, sfortunato turista sudafricano che nell’aprile del 2013 cadde da una nave, nel cuore della notte, in pieno Oceano Indiano in tempesta. In entrambi i casi, infatti, il terrore provato nel vivere momenti oggettivamente tanto drammatici e inquietanti, non appare poi così diverso o lontano dallo sgomento esperito da Anna, durante il suo primo, terribile attacco di panico.

Ad accomunare queste tre storie, benché tra loro così distanti, la stessa improvvisa e drammatica percezione: quella di essere sul punto di perdere la propria vita. E l’essere umano, si sa, ha sempre nutrito una certa riluttanza ad accettare di dover morire, anche al cospetto di eventi e condizioni purtroppo ineluttabili; figuriamoci in ascensore o in fila al supermercato. Secondo Biondi (2015) è proprio questa angoscia di morte a rappresentare il nucleo centrale attorno a cui prende forma e si struttura il disturbo di panico. Un timore al quale, per giunta, risulta molto difficile sfuggire. A differenza infatti della paura, la cui fonte è oggettiva, nota, concreta, e dell’ansia, che origina da preoccupazioni dai contorni sfumati e lontane nel tempo e nello spazio, il panico genera da un terrore che nasce dall’interno, solitamente dal corpo stesso. E a sé stessi, come è facile intuire, non ci si può certo sottrarre.

Non sono gli ascensori, i mezzi di trasporto, l’autostrada o gli altri luoghi e contesti in cui il disturbo generalmente si presenta ad essere centrali. È l’improvviso e agghiacciante timore di morire, che mai prima d’ora si era palesato in maniera tanto violenta nella vita del paziente. Il panico sarebbe dunque così diffuso poiché viviamo in epoca storica e culturale nella quale la morte viene allontanata dalla vita quotidiana, sempre più celata ai nostri occhi e negata con forza. Si muore sempre di più lontano da casa e negli ospedali. Tra i 20 e i 40 anni (fascia di età in cui il disturbo di panico è più frequente) si assiste sempre meno alla morte dei propri coetanei e i bambini non fanno quasi più esperienza del morire mediante le allegorie delle fiabe o i tragici racconti e avvenimenti di famiglie una volta decisamente più numerose. Il confronto con la tematica della vita che volge al termine è un esercizio ormai antiquato, al quale la nostra mente non è più correttamente educata. L’angoscia di morte, così, non trova più alcun luogo da abitare nella nostra psiche. Paradossalmente, in un’epoca in cui si vive più a lungo, più in salute e più sicuri, la morte fa ancora più paura. E allora, soprattutto a seguito di eventi traumatici, lutti inattesi, diagnosi infauste di malattie ad amici o familiari, ecco che la persona è completamente impreparata e vulnerabile dinanzi all’improvvisa idea della morte.

Un normale stato di quiete può, così, essere violentemente spezzato dalla percezione improvvisa di un giramento di testa, di una semplice tachicardia, di un dolore intercostale ecc., e ben presto, attraverso il subdolo intervento di pensieri automatici erronei e di interpretazioni catastrofiche, trasformarsi in un tragico «sto per morire». Quando poi, dopo il primo terribile episodio, gli attacchi si fanno sempre più frequenti, convivere quotidianamente con «sto morendo» rappresenta una condizione esistenziale davvero insopportabile. Lo stesso Dante Alighieri, nell’ultimo canto dell’Inferno, nel tentativo di descrivere l’orrore provato alla vista di Lucifero (quindi per descrivere la Paura assoluta, quella con la “p” maiuscola) scriveva: «Io non mori’ e non rimasi vivo», secondo i critici alludendo alle due paure in assoluto più temute dall’uomo: quella di andare verso l’ignoto della morte e quella di perdere il bene più sicuro che si possiede, la vita. Un attacco di panico, verosimilmente, le contiene entrambe.

L’antica civiltà greca, caratterizzata da un’irripetibile saggezza, aveva senz’altro colto gran parte dell’essenza della malattia che origina da Pan. Nel medioevo, tuttavia, il destino della divinità non apparterrà più alle verdi e lussureggianti selve terrestri, ma a un luogo decisamente più inquietante: l’inferno. La tradizione cristiana, infatti, pur conservando le stesse sembianze caprine, lo assimila e lo trasforma in Satana, il diavolo, signore degli inferi e massima espressione del male. Oggi, nonostante il termine originario sia rimasto immutato nel tempo, risulta impossibile ignorare quanto il panico sia diventato pervasivo e invalidante, non solo per il singolo paziente che ne soffre, ma per l’intera società contemporanea. Così, sulla scia medievale della metamorfosi che dal satiro ci ha condotti a Satana, il pur spaventoso urlo di Pan appare molto più somigliante, nella nostra epoca, a un terrificante, infernale urlo del Diavolo. Chiunque, suo malgrado, ne abbia fatto esperienza non potrà che concordare con questa seconda versione.

L’ANSIA ANTICIPATORIA

Il fenomeno dell’ansia anticipatoria è cruciale per comprendere come da un singolo attacco di panico si possa strutturare un vero e proprio disturbo di panico. È l’ansia associata alla preoccupazione di subire un nuovo attacco e si verifica quando una persona, che ha già sperimentato uno o più episodi, manifesta ansia al solo pensiero di poter o dover affrontare in futuro le situazioni e i luoghi temuti connessi con i primi attacchi di panico. L’ansia anticipatoria fa sì che il soggetto metta in atto tutta una serie di comportamenti protettivi, come l’evitamento e la fuga, che non fanno altro che contribuire al mantenimento delle credenze erronee e catastrofiche legate al panico («Sto per soffocare, sto impazzendo, sto avendo un infarto, sto per morire» ecc.), in quanto ne anticipano e ne prevengono la disconferma.

Donato Cattani, psicologo e psicoterapeuta specializzato in terapia cognitivo-comportamentale e in psicologia dell’emergenza, è in servizio presso il Centro di Selezione e Reclutamento Nazionale dell’Esercito Italiano come ufficiale psicologo


Riferimenti bibliografici

Archibald B. (2017), Solo. Disperso in acqua nell’Oceano Indiano (trad. it.), Nutrimenti, Roma.

Biondi M. (2015), Pensieri terapeutici, Alpes Italia, Roma.

Cattani D., Scapellato P. (2019), Attacchi di panico e ansia acuta. Soccorso psicologico di base, Giunti Psychometrics, Firenze.

Mikamo A. (2015), Sopravvissuto alla bomba atomica. Una storia vera (trad. it.), Newton Compton, Roma.

Stossel S. (2018), Ansia. Paure e speranze alla ricerca di una pace interiore (trad. it.), Giunti Psychometrics, Firenze.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 278 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui