Roberta Milanese

Così lontani, così vicini

L’uso di strumenti per comunicare a distanza comporta l’esigenza di un uso sapiente della voce e di una maggiore abilità nella scelta delle parole.

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È indubbio che la pandemia a cui stiamo assistendo abbia profondamente cambiato le nostre abitudini sociali, lavorative e comunicative. Il lungo periodo di lockdown, ma anche l’inizio della fase successiva hanno determinato un profondo stravolgimento nella possibilità di entrare in contatto con gli altri. Il nostro bisogno di relazione ha dovuto quindi inevitabilmente trovare canali alternativi alle cene con amici e parenti, alle riunioni di lavoro, alle aule di formazione, insomma a tutto quello che caratterizzava la nostra “normalità”. È così iniziato un periodo di smart working e di didattica a distanza; anche i contatti personali si sono spostati sempre di più su piattaforme digitali: Skype, Zoom, WhatsApp, solo per citare le più note, sono diventate per molto tempo il luogo in cui svolgere la maggior parte delle nostre comunicazioni quotidiane. L’era del Covid-19 è diventata così anche l’era dell’esplosione della comunicazione digitale. Ma con quali implicazioni?

Così lontani, così vicini

COSÌ LONTANI. Chi di noi, in questo periodo, non ha affermato almeno una volta: »Certo che vedere le persone via Internet è freddo, non è possibile comunicare come prima?« E non si tratta solo del non poter toccare, abbracciare, baciare, ma anche della difficoltà ad avere un vero contatto oculare con la persona dall’altra parte dello schermo, il doversi confrontare con i limiti delle connessioni talvolta disturbate, le telecamere o le condizioni di luce non sempre ottimali, che ci fanno perdere la ricchezza di tutta la mimica facciale, veicolo di gran parte della nostra comunicazione, soprattutto emotiva. Per non parlare della gestualità, la grande assente di tutte le inquadrature, inevitabilmente in primo piano, di chi è seduto davanti alla telecamera del PC o dello smartphone. La comunicazione digitale non ci ha privato solo del contatto fisico, ma anche di tutta la ricchezza della comunicazione non verbale, che normalmente punteggia e accompagna in maniera determinante il contenuto delle parole che pronunciamo.

COSÌ VICINI. Ma, in maniera del tutto inaspettata, questa modalità ci ha fatto scoprire anche più vicini. Ci siamo iscritti a corsi di formazione online che normalmente si sarebbero tenuti in città troppo distanti per noi, abbiamo videochiamato parenti e organizzato “aperitivi virtuali” con amici che prima non avevamo tempo di incontrare. Ma, soprattutto, siamo “entrati” nelle case dei nostri colleghi, clienti o pazienti, cosa mai accaduta prima. Li abbiamo visti nella loro intimità casalinga, non vestiti di tutto punto, pettinati o truccati come al solito. Abbiamo visto bambini passare correndo dietro mamma o papà durante una riunione e gatti camminare sulla tastiera del PC. E anche loro hanno visto noi nella nostra casa, un po’ disarmati e meno forti nel ruolo che esibivamo prima con sicurezza, quando indossavamo quel “vestito professionale” fatto di abiti, ma anche di luoghi, posture e atteggiamenti. E si è creata una complicità diversa con la persona al di là dello schermo, che immaginiamo indossare delle pantofole, come d’altronde noi, chiusi in una stanza della casa solitamente adibita ad altro. E così, il freddo strumento tecnologico, inaspettatamente, ci ha permesso di vivere una vicinanza emozionale spesso più intensa di quella che si prova stando seduti gomito a gomito.

UNA NUOVA SFIDA COMUNICATIVA. Con questo non si vuole di certo proporre una visione ingenuamente romantica di quanto di terribile c’è stato finora, ma osservarlo con uno sguardo aperto e rivolto al futuro. È indubbio che, almeno per un certo periodo, molte delle nostre comunicazioni continueranno a passare attraverso gli strumenti digitali. Per preservare la nostra efficacia comunicativa sarà quindi fondamentale riadattare le nostre modalità comunicative a tali tecnologie, trasformando il limite in risorsa.

Sguarniti della maggior parte degli elementi non verbali – sguardo, mimica facciale, gestualità – dobbiamo innanzitutto diventare più abili nella selezione e nell’uso delle parole che pronunciamo. Dove prima uno sguardo ironico o una piccola smorfia comunicavano più di tante parole, ora dobbiamo saper argomentare in maniera ridondante, ripetendo più volte il messaggio con parole differenti per essere sicuri che arrivi all’altro in maniera efficace. Ciò significa anche diventare sempre più capaci di affiancare alle comunicazioni logiche quelle analogiche, fatte di immagini, aforismi, narrazioni, ossia parole in grado di evocare nell’altro forti sensazioni.

Dobbiamo poi diventare abili a utilizzare tutte le sfumature che l’uso della voce ci permette: alzare e abbassare il volume, variare il ritmo, giocare sulle sottolineature e le pause, come quando si “incornicia” fra due pause una parola chiave, per fare in modo che risuoni nell’altro con una sorta di effetto eco. La nostra voce, alla stregua di uno strumento musicale, diventerà così un mezzo fondamentale per compensare la mancanza degli altri canali comunicativi e amplificare la potenza persuasoria delle parole.

Siamo insomma di fronte a una nuova sfida per tutti, soprattutto per chi, come noi psicologi, fa della comunicazione lo strumento principale del proprio lavoro. D’altra parte, come diceva Albert Einstein, »La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario«.

Roberta Milanese, autrice di numerose pubblicazioni, è docente nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica di Arezzo e Firenze e in master di specializzazione in Italia e all’estero.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 280 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui