Santo Di Nuovo

Arte e neuroscienze tra funzioni cerebrali e mente sociale

Oltre a costituire un’esperienza autosufficiente, la fruizione di un’opera d’arte può anche svolgere un effetto terapeutico. Le neuroscienze danno un rilevante contributo allo studio di tale effetto

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L’arte può stimolare la resilienza e la salute mentale durante la pandemia. Un recente studio ha dimostrato che l’esperienza estetica attiva pattern neuronali simili a quelli del sistema cerebrale di “ricompensa” in grado di contrastare lo stress, sollecitando interventi basati sull’arte come supporto durante l’isolamento forzato (Gallo et al., 2021). Il ricorso all’arte come mezzo terapeutico non è certo nuovo: innovativi sono gli apporti delle neuroscienze ai fondamenti di questa antica prassi.

APPREZZARE PIÙ CHE CAPIRE

Eric Kandel si chiede come l’arte possa incontrare le neuroscienze, aiutando a capire cosa succede nella mente dell’artista durante la produzione, e come la mente del fruitore recepisce l’opera, perché la apprezza e ne trae godimento oppure no. Nell’artista, elementi essenziali della produzione sono il richiamo e la concretizzazione di immagini e memorie verbali (letteratura), visive (arti figurative), uditive (musica), motorie (danza), multiformi (teatro, cinema), mediante l’attivazione dell’intuizione e della creatività, e realizzando originalità e novità di contenuto o tecnica. L’obiettivo è dire qualcosa di nuovo che sia quanto più generalizzabile nello spazio e nel tempo, attingendo una caratteristica universale, pur nella profonda diversità di modalità e tecniche artistiche e di riferimenti culturali.

Nel fruitore dell’arte, il coinvolgimento avviene in un incontro personale e originale con l’opera, e questo richiede non tanto di capire, quanto di apprezzare: si attivano sensazioni, percezioni, memorie ed emozioni, in termini appaganti e sempre stimolanti anche se, in certi casi, disorientanti o perturbanti. Come nel produrre, anche nel leggere un prodotto artistico avviene qualcosa che va oltre la semplice rappresentazione della “bellezza”: termine che peraltro, come artisti e critici d’arte hanno dimostrato, è ben lungi dall’avere significati condivisi nelle diverse culture e anche nelle diverse persone.

Sono questi i campi di studio di cui si occupa quella branca delle neuroscienze che è definita “neuro-estetica”. Essa, tramite avanzate tecniche di neuroimmagini, consente di individuare i processi cerebrali che si attivano nella percezione e nella rielaborazione di stimoli sensoriali provenienti da un’opera d’arte. Aree specifiche del cervello analizzano separatamente i diversi attributi dell’immagine – forma, colore, movimento – e la connessione tra essi consente la percezione complessiva, coinvolgendo altre aree che realizzano la valutazione necessaria per il giudizio estetico (si veda il prossimo paragrafo).

Con l’affermazione della teoria dei neuroni specchio si è evidenziato il ruolo della simulazione dell’azione immersa nella corporeità (embodied simulation), riguardante le sensazioni e le emozioni prodotte dall’opera artistica. Come hanno evidenziato le ricerche di Vittorio Gallese, i neuroni specchio e la simulazione incorporata producono il coinvolgimento nell’opera percepita, realizzando la risposta estetica soggettiva. «Si tratta di una comprensione empatica delle emozioni degli altri rappresentati, oppure, in modo più sorprendente, di un impulso all’imitazione interiore delle azioni compiute da altri che si osservano in quadri e sculture» (Freedberg e Gallese, 2008). Afferma un altro neuroscienziato, Jean-Pierre Changeux, che quando il fruitore incontra l’opera le assegna un significato e un valore simbolico, proietta su di essa il proprio stato interiore, attribuisce emozioni e intenzioni ai personaggi che entrano nella composizione, ripercorrendo così il cammino dell’artista. I processi funzionali comuni e tipici dei cervelli umani costituiscono pertanto le basi neurobiologiche essenziali dell’estetica, ma non ne esauriscono la comprensione.

L’ARTE NEL CERVELLO (E NON SOLO…)

Vilayanur Ramachandran già nel 1999 aveva presentato la sua teoria sullo sviluppo delle aree cerebrali connesse con la percezione estetica. Attraverso tecniche di neuroimmagine sono stati individuati alcuni processi cerebrali che si attivano durante la percezione e la rielaborazione di stimoli sensoriali connessi all’arte. Le aree corticali occipito-parietali sono deputate ad analizzare i vari attributi dell’immagine – colore, forma, movimento –, mentre la connessione tra essi produce la percezione complessiva. È stato accertato il coinvolgimento delle aree orbito-frontali, che valutano la percezione e contribuiscono al giudizio estetico, e del sistema sensorimotorio che attiva la “simulazione incarnata”.

Pertanto i fondamenti delle esperienze estetiche possono essere ricondotti non solo alla psicologia cognitiva o dinamica (come è stato fin dalle interpretazioni psicoanalitiche dell’arte e della sua ricezione soggettiva), ma a un complesso sistema di connessioni cerebrali tra corteccia, aree visive, aree orbito-frontali e centri emozionali del sistema limbico: un interscambio circolare tra parti cognitive ed emotive determina l’esperienza gratificante dell’opera d’arte, coinvolgendo il sistema dopaminergico.Queste aree funzionali sono considerate le basi neurobiologiche essenziali dell’estetica. L’attivazione dell’amigdala e di altre aree sottocorticali come l’insula, l’ipotalamo e lo striato ventrale riguarda le risposte emozionali di soddisfacimento e di gratificazione (Di Dio e al., 2007; Brown e al., 2011), e costituisce la parte soggettiva dell’estetica più influenzata dalla cultura.

Questa complessa dinamica avviene anche nella produzione dell’arte, per cui l’artista – secondo Semir Zeki come il neuroscienziato esplora le capacità e le potenzialità del cervello, seppure con mezzi diversi. Ma è difficile ridurre a soli interscambi sinaptici o a sole connessioni tra le aree cerebrali ciò che è legato agli aspetti più profondi della soggettività e della creatività della vita, espressi dall’artista e rivissuti da chi ne apprezza (o meno) le opere.

L’attivazione estetica complessiva – non solo cognitiva, ma anche emotiva – non può essere generalizzata in modelli universali: come proprio gli studi neuroscientifici hanno dimostrato, varia da persona a persona, dipende dalle aspettative sul valore edonico della specifica opera, ed è profondamente diversa nelle culture in cui l’arte viene prodotta e apprezzata.

OLTRE LE NEUROSCIENZE?

La tentazione di ridurre l’esperienza estetica a una serie di modelli fisici o neurali farebbe sfuggire la comprensione della forza evocativa di opere d’arte, tanto diverse tra loro, in persone altrettanto diverse per età, cultura, educazione, caratteristiche cognitive e di personalità. Nella ricezione dell’arte accade qualcosa di più e di diverso dell’apprezzamento puramente neurofisiologico e localizzabile in termini di aree cerebrali: una trasformazione nella singola mente del lettore, peculiare e originale per quanto risonante con quella che è avvenuta in modo altrettanto originale nella mente dell’artista.

Come diceva André Breton, l’arte è trasformazione e rilettura della vita: sia per chi produce le opere d’arte sia per chi le ammira. La vita mentale non è limitata al cervello, ma è estesa in uno specifico corpo (per questo si parla di mente incarnata), nelle relazioni – verbali, emotive, motorie – che esso ha con il mondo esterno, nell’immersione che l’inscindibile insieme mente-corpo realizza nella cultura da cui trae i significati profondi. Tutto ciò non corrisponde a uno specifico funzionamento riscontrabile con i mezzi analitici delle neuroscienze, per quanto sofisticati, trovando analogie tra i diversi cervelli: appunto perché è oltre le reti neurali cerebrali che si verifica l’incontro tra produzione e ricezione dell’opera d’arte.

Se l’arte, secondo la definizione di Changeux, è «comunicazione intersoggettiva simbolica con contenuti emotivi variabili e multipli», è difficile ipotizzare correlati neuronali univoci di questi contenuti mutevoli e molteplici tra persone e tra culture. In realtà, l’arte si concretizza in prodotti e formati profondamente diversi: dal classicismo fino alle installazioni e agli approcci partecipativi o co-costruttivi tra artista e pubblico, tipici dell’arte contemporanea. E radicalmente diversi sono i modi in cui si attiva la risonanza nel fruitore dell’opera artistica con l’intenzione dell’autore: armonia nei musicisti del Settecento, passionalità negli autori romantici, flusso di coscienza nelle opere di Joyce, proiezione del sogno nel visionario mondo di Dalí o Buñuel, estraneazione nella iper-realtà di Magritte, astrazione dell’interiorità in Miró, metafisica incarnata in De Chirico, e-design di architetture o di interni… Gli esempi potrebbero continuare con le consonanze e le dissonanze, il visionario e il misterioso, l’esprimere e il nascondere, che ci vengono trasmessi nella scultura, nella letteratura, nella musica, nel cinema.

L’elemento comune a chi produce e a chi “consuma” arte sta nella funzione immaginativa, che per sua natura fa da mediazione tra natura e cultura, e dunque tra i meccanismi biologici della creatività e quelli che la fondano sul piano sociale. L’immaginazione creativa parte da una realtà presente ma ne progetta una diversa; chi ri-costruisce l’opera nella propria mente immagina pure qualcosa che è diverso dal dato reale. Da questa co-costruzione – più o meno sintonica – nasce la comprensione profonda dell’arte.

VIVERE ALTRE VITE NELL’ARTE

«Ciascuno di noi vive nell’immaginazione di altre vite […] mediante cui tenta di rimediare alla limitatezza della propria» ha scritto Remo Bodei (2013). Mediante l’immaginazione si costruisce la novità del futuro basandosi sull’esperienza mentale del passato. Oggetti della simulazione immaginativa possono essere il fluire del pensiero, il pensiero “come-se” e “se-allora” nonché quello controfattuale, l’elaborazione di alternative, la costruzione delle diverse forme possibili di oggetti e del Sé che li usa, il perspective-taking e l’empatia, l’interazione sociale.

Nel processo di distacco dallo schema mentale cristallizzato sul rispecchiamento del dato di realtà e di apertura verso una realtà diversa, centrata su un progetto personale ed esistenziale, l’artista si avvale della funzione immaginativa, che gli fa intravedere oltre le cose attuali. Attraverso lo strumento immaginativo, l’emozione che ad esso è collegata, e la novità che la combinazione di tali elementi è in grado di produrre, diventano un potente mezzo di trasformazione di esperienze, di peculiari attribuzioni di significato che inventano nuove visioni della realtà, alle quali i fruitori possono partecipare.

Infatti le immagini che l’artista concretizza nelle sue opere sono condivise, lette e interpretate da altri. L’immaginazione è fonte di creatività in quanto realizza aperture interpersonali e sociali. Simulare una realtà “soggettiva” diversa dalla realtà “oggettiva” consente di tradurla in “intersoggettività”.

Jung ricordava come l’immaginazione attiva sia l’organizzatore principale della mente umana; mito e archetipo sono immagini universali, in quanto l’immagine che nasce nella mente individuale è il frutto di una rappresentazione sociale condivisa nel contesto, da cui la persona trae le inferenze e le referenze simboliche ed emozionali.

Su questo rapporto tra la mente produttrice di arte e quella che ne fruisce, e il contesto sociale in cui produzione e fruizione avvengono, le neuroscienze sociali hanno ancora tanto da dire. Ricorda Kandel che «l’arte ci sfida a sviluppare nuovi elementi di conoscenza neuroscientifica, questioni che stiamo appena iniziando ad apprezzare e ad affrontare».

Santo Di Nuovo, docente di Psicologia all’Università di Catania, è presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia. Dal 2014 al 2020 è stato presidente dell’Accademia di Belle Arti di Catania. È autore del volume Prigionieri delle neuroscienze? (Giunti).

Bibliografia

Bodei R. (2013), Immaginare altre vite. Realtà, progetti, desideri, Feltrinelli, Milano.
Brown S., Gao X., 
Tisdelle L., Eickhoff S. B., Liotti M. (2011), «Naturalizing aesthetics: Brain areas for aesthetic appraisal across sensory modalities», Neuroimage, 58, 250-258.
Cappelletto C. (2009), Neuroestetica. L’arte del cervello, Laterza, Roma-Bari.
Changeux J.-P. (2013), Il bello, il buono, il vero. Un nuovo approccio neuronale (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano.
Di Dio C., Macaluso E., Rizzolatti G. (2007), «The golden beauty: Brain response to classical renaissance sculptures», PLoS One, 11, e1201.
Freedberg D., Gallese V. (2008), «Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte», Prometeo, 26, 103.
Gallo L., Giampietro V., Zunszain P. A., Tan K. S. (2021), «Covid-19 and mental health: Could visual art exposure help?», Frontiers in Psychology, 12, 650314.
Kandel E. (2017), Arte e neuroscienze. Le due culture a confronto (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano.
Lumer L., Zeki S. (2011), La bella e la bestia. Arte e neuroscienze (trad. it.), Laterza, Roma-Bari.
Maffei L., Fiorentini A. (2007), Arte e cervello, Zanichelli, Bologna.
Ramachandran V. S., Hirstein W. (1999), «The science of art: A neurological theory of aesthetic experience», Journal of Consciousness Studies, 6, 15-51.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui