Gennaro Romagnoli

Self-help scientifico: A occhi chiusi

Abbassare le palpebre è un modo per concentrarsi sospendendo l’egemonia della vista. Accade anche con le varie tecniche di meditazione.

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Nell’ambito del self-help esistono numerose metodiche di crescita personale che sono ormai diventate quasi pop: la più nota è sicuramente la meditazione e in particolare la sua versione moderna (e scientifica) che prende il nome di “mindfulness”. Non è l’unica tecnica che sfrutta la contemplazione della propria interiorità: anzi, ogni cultura ha sviluppato una propria modalità di “contemplare”. In Occidente abbiamo l’ipnosi nella sua versione autogena, l’autoipnosi e tutte le sue derivazioni: rilassamenti di vario genere, meditazioni guidate, training autogeno ecc. Queste metodiche, seppur differenti, hanno molte cose in comune: oltre agli aspetti “scenici” possiedono dei vantaggi ben noti in letteratura; lo scopo del presente articolo è prenderne in considerazione due specifici, e cioè l’aumento della creatività e quello della memoria. Lo so: non sono i vantaggi più eclatanti, ma seguimi, perché la cosa si fa interessante!

Alcune ricerche hanno dimostrato qualcosa che può legare tutte queste pratiche: il fatto che il semplice “chiudere gli occhi” possa raddoppiare sia la creatività che la memoria. Secondo i ricercatori ciò accadrebbe perché la vista, occupando gran parte della nostra attività psichica, una volta smorzata attraverso la chiusura degli occhi, consentirebbe al sistema di funzionare meglio, più liberamente. Proprio come un computer, se ha troppi programmi aperti fa fatica a funzionare correttamente, così il nostro cervello, se ha troppi stimoli, tende a funzionare peggio. Semplicemente chiudendo gli occhi sembra che si limitino tali interferenze, consentendoci di generare più idee creative e quasi di raddoppiare le nostre facoltà mnemoniche.

Ora, se ci pensiamo bene, quando un bambino (o anche un adulto) non riesce a trovare la risposta a una domanda, cosa fa? Solitamente chiude gli occhi, li strizza momentaneamente, come se volesse massimizzare la probabilità di andare a pescare la risposta esatta. Nelle pratiche contemplative e negli ambienti in cui esse sono svolte non è raro trovare persone con gli occhi chiusi: entrando in un luogo del genere, conoscendone le tradizioni (a grandi linee), la maggior parte delle persone penserebbe che si tratti di una persona “in meditazione”. Tuttavia, se lo stesso avviene al parco, in un mezzo pubblico o peggio ancora sul lavoro, pensiamo immediatamente che quella persona si stia facendo una bella pennichella…

A meno che non sia seduto nella cosiddetta posizione del loto o non stia facendo gesti strani, associamo istintivamente gli occhi chiusi al riposo, a una sorta di pausa, all’“assenza” di quella persona. Se invece conosciamo le pratiche di meditazione sappiamo che con gli occhi chiusi si è mediamente “più presenti”, maggiormente suscettibili agli stimoli esterni e in più intenso contatto con il mondo. Ma perché ti racconto questa differenza culturale? Perché sono convinto che ricerche come quella menzionata possano trasformarsi in strumenti utili per la nostra crescita personale; quindi, farebbe bene insegnare alle persone, agli studenti e agli insegnanti che non c’è alcun male se si chiudono gli occhi in raccoglimento: non è una fuga dal mondo, ma un modo per entrarvi più intimamente in contatto.

Ho iniziato questa nostra chiacchierata citando due studi e confrontandoli con pratiche come la meditazione e l’autoipnosi, poiché entrambe hanno dato prova di aumentare le stesse facoltà analizzate nelle ricerche. Una piccola domanda provocatoria: e se tutte queste pratiche aumentassero memoria e creatività semplicemente perché “chiudiamo gli occhi”? Immagino già le obiezioni; io stesso sono formato in queste discipline e quindi mi rendo conto che forse è più semplice un’altra ipotesi: chiudere gli occhi consentirebbe di accedere a un lieve stato “modificato di coscienza”, il quale spiegherebbe l’aumento delle prestazioni. Anche qui ci sarebbe molto da discutere; nonostante la famosa «everyday common trance» di M. Erickson ed E. Rossi, che dimostrerebbe una nostra entrata e uscita spontanea da tali stati di coscienza durante la giornata, non è facile dare una risposta certa. Allora affidiamoci alle conclusioni più semplici: chiudere gli occhi libera la mente dal carico cognitivo della vista e ciò può portare grandi benefici. 

Che lo studio sia attendibile o meno, certamente prenderci una piccola pausa dagli stimoli visivi può aiutarci ad affrontare le sfide di questa nostra sempre più frenetica società. Le tradizioni ci hanno lasciato miriadi di tecniche differenti, compresa la chiusura degli occhi, senza contare gli ormai tre secoli di studi nel campo dell’ipnosi. Quando ho iniziato la mia professione di psicologo andavo in giro per le aziende a insegnare metodiche del genere, e sulle prime la maggior parte dei corsisti mi guardava con aria perplessa. Attualmente le cose stanno cambiando, sempre più spesso vedo e sento persone dedicate alla meditazione e sempre più spesso le aziende mi chiamano per ricevere training su metodiche del genere. Chissà, magari in un futuro molto vicino non saremo così sorpresi di vedere una persona con gli occhi chiusi. Basta che non stia guidando.

Gennaro Romagnoli, psicologo e psicoterapeuta, è autore di “Psinel”, il podcast di psicologia e crescita personale più ascoltato in Italia. Si occupa di divulgazione online dal 2007.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Perfect T. J., Wagstaff G. F.,
Moore D., Andrews B., Cleveland V., Newcombe S., Brown L. (2008), «How can we help witnesses to
remember more? It’s an (eyes) open and shut case», Law and Human Behavior, 32 (4), 314-324.

Ritter S. M., Abbing J., Van Schie H. T. (2018), «Eye-closure enhances creative performance on divergent and convergent creativity tasks», Frontiers in Psychology, 9, 1315.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 277 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui