Silvia Vegetti Finzi

Felicità nell'amore

La felicità amorosa non risiede in una formula, come per esempio amore coniugale/amore passionale o famiglia unita/famiglia divisa. Si dà nell’accettare il trascorrere del tempo.

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«Il primo amore non si scorda mai» non è solo un modo di dire, ma un’esperienza nuova e travolgente che muta la personalità dell’adolescente sconcertando i genitori, sempre impreparati rispetto a questo evento. Durante l’infanzia, l’amore è un dato di fatto, una condizione naturale come l’aria e la luce. Persino il disamore, in mancanza di alternative, viene accettato dai più piccoli con spontaneo realismo. Tutto si complica al sopraggiungere di un desiderio prematuro e indistinto, quando l’amore e la felicità sembrano un privilegio altrui, la scena di un film che non prevede alcuna parte per noi.

Mentre la pubertà porta violentemente alla luce un corpo sessuato, predisposto per entrare nell’inquietante arena della seduzione, la mente, ancora bambina, s’illude di ricevere dall’oggetto d’amore l’affetto incondizionato dei genitori. Ragazzi e ragazze vorrebbero essere accettati, amati, ammirati e, perché no, anche invidiati dal gruppo dei coetanei. Ma, come in ogni competizione, i concorrenti sono molti e i vincitori pochi.

In ogni caso, esporsi alla felicità comporta il rischio del suo contrario, di un’equivalente, se non maggiore, infelicità. Ciò nonostante, la maggior parte si butta a capofitto in questa nuova, impetuosa avventura senza chiedersi se ha imparato a nuotare e se ci sono salvagenti a disposizione. È una passione “rischiatutto” ove si confondono narcisismo e altruismo, entusiasmo e disperazione, tutto e niente.

"Si ritorna sempre ai nostri primi amori" afferma Freud alludendo al fatto che il primo innamoramento è una riedizione dell’affetto infantile per papà e mamma, ravvivato dalla fiamma della sessualità. Si dice che i maschi offrano amore per avere sesso e le femmine concedano sesso per ottenere amore, ma non credo a questa contrapposizione. Chi ama idealizza l’“oggetto” prescelto e, mentre ne esalta gli aspetti positivi, tende a minimizzare e addirittura negare quelli negativi. Nell’amore allo stato nascente il dare tende a prevalere sul ricevere e spesso l’innamorato, sentendosi inadeguato rispetto alla presunta perfezione del partner, commisera la propria condizione e, aspirando a una totale felicità, si confronta con un’insopprimibile infelicità. Si tratta di una prova di passaggio dalla quale, se evita le secche della depressione, uscirà rafforzato nell’autostima e nell’amor proprio.

Dapprima si tratta di amori collettivi: tutta la scuola s’invaghisce della ragazza più bella o del ragazzo più intraprendente… purché sia di un’altra sezione. I compagni di classe, considerati fratelli o sorelle, non vengono neppure presi in considerazione come possibili partner. Spesso le camerette, adorne dei manifesti dei cantanti o dei calciatori più in voga, rivelano un atteggiamento di prudente entusiasmo rispetto al pericolo rappresentato da un innamoramento reale. La distanza dalle star consente infatti di sperimentare il fuoco della passione senza bruciarsi le ali. Ma dal sogno d’amore collettivo ci si sveglia presto per percorrere i sentieri dell’innamoramento personale. Di solito, mettersi in coppia avviene durante le scuole superiori, ma si osserva un’anticipazione dell’evento (più mentale che reale) nel caso di figli di genitori separati, per i quali la precocità dell’innamoramento è direttamente proporzionale a quella della separazione familiare. Nel tentativo di riparare il danno subito dalla divisione dei genitori, i ragazzi cercano, appena possibile, di formare una coppia all’altezza dei loro sogni, ma poiché l’ideale è irraggiungibile per definizione, spesso la infrangono per ricostituirne un’altra, altrettanto idealizzata, altrettanto fragile.

La successione di possibilità e impossibilità genera un’alternanza di felicità e infelicità che li lascia sovente delusi e amareggiati. Nel conflitto tra il desiderio di sicurezza, stabilità, continuità che la coppia sembra garantire e la sete di libertà, autonomia e autorealizzazione che solo la condizione di single sembra consentire, la biografia amorosa delle nuove generazioni si mantiene piuttosto vaga e contraddittoria. Spesso, impegnati nel tentativo di ricomporre la propria vita, i genitori separati sottovalutano la sofferenza dei figli, le conseguenze di lunga durata provocate dalla rottura prematura del guscio protettivo della famiglia. Con tutto ciò, non esiste un’equivalenza tra unità familiare e felicità da una parte, separazione e infelicità dall’altra. Le modalità di relazione sono innumerevoli e ciascuno vive a modo suo eventi che possono sembrare simili. 

La felicità amorosa non risiede dunque in una formula (l’amore-passione rispetto a quello coniugale, la famiglia unita piuttosto che divisa, e così via), ma nel porsi in sintonia con il fluire del tempo, con il susseguirsi delle stagioni della vita, con le intermittenze del cuore. Solo chi sa cambiare senza negare il passato e ipotecare il futuro, può cogliere e preservare il suo piccolo o grande patrimonio di felicità. Un capitale che non possiamo chiudere in cassaforte, perché ne smarriremmo la combinazione trovandoci alla fine più poveri di prima.

La felicità non si lascia capitalizzare in attesa di tempi migliori. Essa è dentro e fuori di noi: corre nelle vene del corpo e della vita ed è più facile fruirne nei desideri reciproci, nelle attese sintonizzate, nelle gioie condivise, che da soli. Anche nei momenti più cupi, quando tutto sembra ormai perduto, le piccole felicità lasciano intravvedere un orizzonte più vasto, un futuro auspicabile, un obiettivo realizzabile. Fra il tutto e il niente s’inscrive allora l’attimo fuggente della felicità fragile e precaria, che Eugenio Montale così canta in Felicità raggiunta: «Felicità raggiunta, si cammina per te su fil di lama./ Agli occhi sei barlume che vacilla,/ al piede, ghiaccio teso che s’incrina;/ e dunque non ti tocchi chi più t’ama./ Se giungi sulle anime invase/ di tristezza e le schiari, il tuo mattino/ è dolce e turbatore come i nidi delle cimase./ Ma nulla paga il pianto del bambino/ a cui fugge il pallone tra le case».

 

 

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 264 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui