Una panoramica sulla famiglia attuale, tra solitudini interne, contraddizioni e nuovi doveri verso i più anziani e i più giovani.

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Ci sono delle condizioni culturali, alle quali prestiamo poca attenzione, che incidono profondamente nella psicologia dei singoli. Una di queste è l’assetto che nel corso del tempo ha assunto la famiglia, evolutasi e trasformatasi in maniera radicale, avvolgendosi in una serie di contraddizioni di cui i singoli componenti, anche se non se ne rendono conto, portano i segni. Seguiamone per sommi capi le tracce.

Prima dell’introduzione dello Stato sociale, la famiglia era l’unica struttura che garantiva ai suoi componenti sostentamento, protezione e sicurezza economica. E questo valeva sia per i poveri, che facevano figli per assicurarsi forza lavoro e assistenza nella vecchiaia, sia per i ricchi, per i quali il “matrimonio” era spesso funzionale al mantenimento o addirittura all’ampliamento del “patrimonio”.

Con l’introduzione dello Stato sociale e il miglioramento delle condizioni economiche, la famiglia fu in parte liberata da scelte che avvenivano per garantirsi la sussistenza, a favore di scelte promosse dall’amore. Accadde però molto spesso che si confondesse l’“amore” con la “passione”, che, come ci ricorda Stendhal, è «visionaria». E quando la visione si sbiadisce, perde i suoi contorni e si appanna, subentra la quotidianità che spesso inaridisce i rapporti e li spegne. Da allora si moltiplicarono separazioni e divorzi, anche perché, liberati dalla costrizione economica, si era fatto strada nei vari componenti della famiglia un nuovo concetto di libertà, secondo cui essa non consiste nell’“autonomia” delle scelte, ma nella “revocabilità” di tutte le scelte. (CONTINUA...)

Famiglia - Umberto Galimberti

Per quanto lecite e a volte necessarie, le separazioni incidono sulla sicurezza emotiva dei figli, i quali, quando sono piccoli, hanno nella coppia genitoriale il pilastro della propria identità e il punto di riferimento del proprio orientamento nel mondo. Per non parlare di quando i figli diventano oggetto di contesa e di ricatto da parte dei componenti la coppia. In questo caso hanno inizio in loro, quando va bene, un’autonomia troppo precoce e una propensione a ricattare i genitori, potendo scegliere, tra i due, quello che li accontenta di più.

Sono finiti inoltre quella solidarietà e quel mutuo soccorso che caratterizzavano le famiglie di un tempo, che vivevano in stretto contatto tra loro prestandosi un aiuto reciproco. Oggi ogni famiglia è “appartata” nel proprio “appartamento”, in una sorta di isolamento, dove spesso non si conosce neppure il proprio vicino di casa. All’interno della casa ogni componente occupa la propria stanza, conducendo una sorta di vita propria, persino il pranzo e la cena sovente non sono più momenti di ritrovo e di comunicazione.

Per effetto di questo isolamento e della scarsa comunicazione, oggi la famiglia è diventata il luogo della massima violenza, che non si esprime soltanto nei delitti, peraltro frequenti, di cui le cronache ci riferiscono quotidianamente, ma anche in quei silenzi prolungati e risentiti, intervallati da scatti di rabbia e non di rado da percosse, perché la cultura attuale obbliga tutti ad essere corretti nella forma e nei comportamenti quando si è fuori casa o sul posto di lavoro, dove non deve trasparire nulla di quel che passa nella nostra anima, salvo poi sfogare tutta questa repressione dei sentimenti, delle frustrazioni e dei rancori in famiglia, dove ciascuno si sente autorizzato a dare libero sfogo alla bestia che è in noi. I vicini sentono le urla e le grida, ma nessuno apre la porta, in nome di quella tanto decantata privacy che proprio in famiglia trova il suo cono d’ombra.

Eppure, nonostante tutto questo dissesto e malessere delle famiglie, siano esse ristrette o allargate, rancorose o indifferenti, costellate di tradimenti e mascherate di inganni, oggi, col venir meno dello Stato sociale, la famiglia finisce per essere l’unica forma di sussistenza e di assistenza per i giovani precari o senza lavoro, costretti ad allungare la loro permanenza nella casa dei genitori, poiché nell’impossibilità di abitarne una propria. La mancanza di autonomia economica dei giovani, che oggi è strutturale e non dipende dalla loro buona o cattiva volontà, erode la ricchezza, grande o piccola che sia, accumulata dai genitori, determinando in questo modo una sorta di impoverimento progressivo della nazione. Non c’è infatti giovane che, senza l’aiuto della famiglia d’origine, oggi possa comprarsi la casa, o prescindere dal contributo che i genitori mensilmente erogano ai figli che si sposano, limitando al massimo le nascite per le difficoltà economiche.

Qui si misura il declino di una nazione, che, prima di essere “economica”, è “biologica”, con una generazione di anziani sempre più anziani e quindi dipendenti, e una generazione di giovani economicamente non autonomi e quindi a loro volta dipendenti. La conseguenza è che la famiglia di oggi deve provvedere, oltre a sé stessa, ad altre due generazioni: quella che viene prima di lei e quella che viene dopo di lei. La situazione, come si vede, è abbastanza drammatica. Ma non pare che sia al primo posto tra i pensieri dei nostri politici.

Umberto Galimberti, membro dell’International Association of Analytical Psychology, ha insegnato Filosofia della storia all’Università di Venezia. Autore di molti volumi, tradotti anche all’estero, collabora con la Repubblica.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 275 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui