Intervista a: Giuseppe Pino Maiolo
di: Paola A. Sacchetti

Body shaming e machismo in mondovisione

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Solo qualche giorno fa Jada Pinkett Smith ha rotto il lungo silenzio riguardo allo schiaffo dato dal marito Will Smith al comico Chris Rock durante la notte degli Oscar 2022, augurandosi che i due riescano a trovare il modo di chiarirsi e riconciliarsi.

Il conduttore Chris Rock, pur a conoscenza della condizione fisica di Jada Pinkett Smith, non ha saputo trattenersi dal fare una battuta veramente di cattivo gusto e di agire una violenza nei confronti di una donna: quella presa in giro per i capelli rasati non è altro che body shaming. Ovviamente questo non giustifica minimamente la reazione di Will Smith, violenta e del tutto fuori luogo, di uno schiaffo in pieno viso a “difesa” della propria consorte.

Il resto, ormai, è storia: l’Academy Award ha bandito Will Smith per i prossimi 10 anni, per cui non potrà partecipare agli Oscar, né a qualsiasi altro evento dell’Academy come punizione per lo schiaffo dato al conduttore Chris Rock. Una sanzione inevitabile, secondo i portavoce dell’Academy, per il grave comportamento dell’attore, che arrivava dopo le scuse ufficiali e le dimissioni preventive di Smith dall’associazione.

Che la punizione sia stata troppo o troppo poco, che la carriera di Will Smith sia arrivata alla sua conclusione oppure no, che le scuse fornite siano state o meno percepite come vere, quei fatti avvenuti la notte degli Oscar rimangono un indelebile, pessimo, esempio di body shaming, ossia deridere e discriminare una persona per il suo aspetto fisico, e di machismo.

 

Prof. Maiolo, cosa ne pensa di quanto è accaduto durante la notte degli Oscar?
Come è possibile che, sul palco più famoso del mondo, con personaggi che dovrebbero essere un modello per gli altri, accadano simili azioni di violenza?

La prima cosa che mi viene in mente è lo spettacolo. Tutto è ormai spettacolo, in particolare la violenza che viene esibita ovunque, sui media come fiction e in rete. Nella notte degli Oscar di violenze, a mio avviso, ce ne sono state due: quella di Will Smith e quella del conduttore.

E come è inaccettabile la violenza fisica dell’attore, anche quando è impulsiva e reattiva a una offesa, lo è altrettanto quella verbale, che prende in giro e dileggia. Non è, peraltro, meno grave e dannosa.

Ma questo è anche l’aspetto preoccupante che assume la violenza spettacolarizzata. In fondo tutto il fenomeno del “body shaming” è diventato virale e rappresenta la violenza delle parole, quelle ostili e perverse, che stanno passando nel web senza che ci si scandalizzi più di tanto. Anzi, alle volte mi pare di vedere che, dietro queste offese mirate al corpo e orientate a generare vergogna nella vittima designata, ci siano molti che osservano, nascostamente sorridono e pensano che chi le pronuncia stia facendo un gioco divertente. Questo spaventa, e dovrebbe spaventare tutti, perché è la cosiddetta normalizzazione della violenza.

Lascia perplessi che il comico abbia avuto l’autorizzazione per una battuta che dileggia Jada Pinkett Smith per il suo aspetto fisico, dovuto a una condizione nota a tutti, l’alopecia. La reazione di Will Smith ha fatto passare in secondo piano la gravità di quelle parole. Per alcuni, la battuta è un esempio non solo di body shaming, ma di “hair shaming”, simile a quello subito dalle donne afroamericane, discriminate per i loro capelli ricci. Potrebbe essere così? Oppure si tratta di una questione di genere, per cui una donna calva o rasata non è accettabile perché non “femminile”?

È quello a cui penso. Il fatto che il presentatore abbia avuto l’autorizzazione a usare una battuta offensiva mi preoccupa e mi fa pensare all’abitudine che stiamo facendo alle offese verbali. Il body shaming è un comportamento “bullo”, che in rete si configura proprio come una variante del cyberbullismo.

È il suo diffuso utilizzo da parte di tutti che sta influenzando il nostro modo di fare e di pensare. Così non ci accorgiamo che prima dello schiaffo (inaccettabile) viene l’offesa verbale, devastante quanto lo schiaffo. Ricordo a questo proposito una frase che lasciò scritta Carolina Picchio, la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo, che a 14 anni si tolse la vita a causa del bullismo subìto: «Le parole fanno più male delle botte!».

Nel body shaming c’è tutta l’intenzione e la voglia malevole di far vergognare l’altro (soprattutto l’altra) del proprio corpo. È la derisione dell’aspetto fisico, un insulto grave spesso sessista, un comportamento verbale violento inaccettabile, qualsiasi siano le parti del corpo prese di mira. Non so dire se in quello che è accaduto vi sia un pensiero discriminatorio e razzista. Di certo c’è un sopravanzare dell’odio online, che ha molte dimensioni e si diffonde con facilità sui social.

Alcuni hanno giustificato lo schiaffo di Will Smith poiché è stato dato in “difesa” della moglie, come se fosse stato realmente un gesto “d’amore”. Perché l’idea dell’uomo “macho”, che deve proteggere la “propria donna”, è ancora così radicata?

Spesso usiamo le nostre difese per proteggerci dalle colpe. Per questo attribuire la violenza a un gesto d’amore è una delle tante varianti, o attenuanti, che si usano per ridurre le pene. Detto questo, penso anch’io che il “machismo” sia ancora in vigore, costituisca ancora una ridicola esibizione di virilità su cui si poggia un maschile povero e fragile, decisamente problematico. È un’idea che affonda ancora nella cultura maschile e nello stereotipo del maschio superiore, talmente diffuso che non di rado è anche coltivato nell’universo femminile.

Mascolinità eccessiva, prepotente, aggressiva, fatta di assoluta mancanza di empatia e sensibilità che in alcuni casi le donne faticano a vedere come pericolo per loro stesse. Il body shaming, come critica e giudizio, con cui un uomo giudica la propria donna, potrebbe essere un primo segnale da non sottovalutare. Perché questa modalità critica di stare in una relazione è già violenza bella e buona che una donna non dovrebbe accettare.

Secondo Lei, che cosa potrebbe aver spinto un attore pluripremiato e molto amato dal pubblico ad agire in questo modo? Davvero possiamo pensare che, “semplicemente”, si sia fatto governare dai suoi istinti più primordiali e abbia un problema di controllo degli impulsi?

Innegabile che la violenza sia, almeno in parte, espressione imprevedibile delle pulsioni aggressive e distruttive di cui già Freud parlava agli inizi del secolo scorso. Difficile rintracciare nel gesto di un attore come Will Smith significati specifici o diagnosticare un problema di controllo degli impulsi. A mio avviso entrano in gioco diverse varianti tra cui il bisogno di creare eventi sempre più spettacolari e alimentare la macchina dell’audience. Ma di certo il tempo che stiamo attraversando, dalla pandemia alla guerra, ha fortemente messo alla prova la nostra capacità di auto-controllo e di gestione delle emozioni. Per giunta, nel modo dello spettacolo dove tutto è finzione, credo sia facile passare dalla messa in scena alla realtà, senza un pensiero che supervisioni le azioni.

Le parole con cui si è giustificato “a caldo”, mentre ritirava il premio Oscar appena vinto, fanno tremare e ci fanno pensare alle frasi terribili di chi uccide per “amore”: «l’amore fa fare cose folli». Alibi per cercare consenso e suscitare empatia o inavvertita ammissione di colpa di un retaggio maschilista e patriarcale?

Forse tutte queste cose insieme. Ancora una volta mi vien da dire che il violento fatica a riconoscere le sue colpe, le attribuisce sempre ad altri perché non scorge e non si connette alle sue parti ombra. Del resto la cultura della violenza, quella in particolare sulle donne e sui bambini e sulle persone “diverse”, continua a imperversare e a mantenere inalterate le attenuanti e tutte le giustificazioni possibili con le quali alimentiamo una visione normalizzata della distruttività umana.

 

Giuseppe Pino Maiolo, psicologo e psicoanalista, è Professore incaricato di Psicologia delle età della vita e Psicologia dello sviluppo all’Università degli studi di Trento e cofondatore di “Officina del Benessere” a Desenzano. Come giornalista si occupa di divulgazione scientifica per diverse testate, e come specialista lavora da anni nel campo del disagio infantile e giovanile e della promozione del benessere.

Paola A. Sacchetti, psicologa, formatrice, editor senior e consulente scientifico, da anni collabora con Psicologia Contemporanea, dove cura una parte della rubrica “Libri per la mente” e le “Interviste all’esperto”.

 

Foto Credit: Adnkronos - Afp