Umberta Telfener

Vizi, virtù e drammi della coppia alle prese con la convivenza forzata

La coppia è un organismo che ha risentito molto della fase della quarantena. Fra tenere riscoperte e tempi dilatati anche nella noia o nel risentimento, vediamo cosa è successo ad alcune relazioni sentimentali.

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Maria ha 45 anni, un marito e due figli adolescenti, in fase di svincolo. Prima era abituata a una grande indipendenza, la famiglia si incontrava solo la sera a tavola per mettere in comune la giornata; con la quarantena lei si è ritrovata incastrata di nuovo a fare la mamma e la moglie, trascurando il lavoro per preparare spremute ai figli, cucinare ogni giorno a pranzo e a cena e fare yoga con il marito che è depresso per il suo lavoro in stand-by. «Mi sento la grande mamma, un totem. Non so se reggo», mi dice al telefono chiedendo un appuntamento via Skype insieme al marito.

Fausto, 28 anni, ha accolto nella sua casa la sua nuova fidanzata. I primi giorni sono stati esaltanti, si sono sentiti come Adamo ed Eva nel paradiso, da soli, con pochi obblighi e tanto tempo dilatato a loro disposizione. Fausto a un tratto si è svegliato una mattina chiedendosi chi fosse colei che condivideva il suo letto e ha risposto con fastidio all’entusiasmo di lei. La voleva fuori di casa immediatamente, malgrado i divieti, lo stupore e le rimostranze della ragazza.

Alberto ha 43 anni, stava per separarsi dopo otto anni di relazione burrascosa e insoddisfacente, ma la chiusura della vita lo ha rintanato in casa assieme alla moglie e ai due figli, di 4 e 2 anni. Mi dice che intende sospendere il progetto di separazione, congelare ogni desiderio e imparare a usare questo tempo “paralizzato” per godersi i figli, per non alzare il livello della tensione. Ha solo paura della riapertura.

Marco ha 50 anni e una moglie quarantenne. Hanno sempre litigato parecchio, ma con la quarantena e la convivenza forzata la relazione si è fatta incandescente. Ha malmenato la moglie di fronte alla figlia di 10 anni, che fortunatamente è riuscita a chiamare il 118. Marco è scappato, ma poi ha raggiunto la moglie al Pronto soccorso, incapace di starle lontano; lì è stato intercettato dai carabinieri. L’uomo piange, ha bisogno di lei: più si sente sperduto, più se la prende con lei, che considera una parte di sé.

Antonio, 35 anni, tutte le sere con mascherina e guanti rasenta i muri dei vicoli per raggiungere la casa del suo amore e dormire con lui. Un rapporto ancor più appagante del solito perché sospeso, espanso. Mi dice che gli sembra di vivere in una favola.

Carmen ha 16 anni, è stufa marcia di stare in casa con i genitori. Cerca ogni occasione per litigare e poter uscire almeno sul pianerottolo oppure a fare un giro. Un giorno esce come al solito e sarà una telefonata dei carabinieri ad allertare la famiglia. Carmen si è fatta venire a prendere dal ragazzo e con lui in macchina, in barba alle regole, è partita per la circum­navigazione della città, musica a palla, sfida nello sguardo. Per la prima volta i due hanno ammirato i monumenti e hanno circolato senza permesso nel deserto delle strade. Per questa fuga d’amore è stata loro fatta una bella multa, che comunque non ha placato la loro rabbia da contenimento. Carmen mi racconta l’ira come strategia per far fronte alla frustrazione.

Bice e Brando hanno 23 anni, il decreto li ha raggiunti mentre erano in montagna e lì sono rimasti, insieme, dentro un letto nella casa dei genitori di lui, che è diventata il loro quartier generale: giochi di ruolo con gli amici, pizze da asporto portate a casa, fumo, sesso, giocate a backgammon, serie televisive à gogo. Hanno sballato tutti i ritmi e confuso gli orari. Quando devono riprendere la vita quotidiana sono molto preoccupati, dichiarano di aver paura di non riuscire ad adattarsi a doveri, regole e orari imposti dall’esterno. Per la prima volta dall’inizio della quarantena stanno litigando.

Leone e Olimpia, sessantacinquenni in pensione, discutono più del solito e si sono rovinati questo tempo sospeso perché ciascuno dei due ha accentuato alcune caratteristiche del proprio carattere. Leone ha paura e vuole che la coppia continui a restare chiusa in casa, Olimpia vorrebbe ricominciare a uscire, sia pure con cautela. Litigano anziché negoziare, ognuno dei due vorrebbe che l’altro abdicasse al proprio punto di vista, ognuno dei due pretende che l’altro si adegui.

CINQUE FASI PSICOLOGICHE

Otto storie: ce ne potrebbero essere cento, ciascuna differente dalle altre, per dire che ognuno nel periodo della quarantena si è comportato in base a chi è, ai valori dai quali è mosso, alla storia relazionale che ha vissuto nella sua vita e sta vivendo con il/la partner, alla fase del rapporto e alla situazione economica che sta sopportando, alle sue risorse personali e relazionali. La quarantena, insomma, non ha fatto altro che amplificare le caratteristiche degli individui nella coppia e i giochi relazionali abituali della coppia stessa. Credo semplicemente che, per quanto riguarda le nostre vite sentimentali, il lockdown abbia colto e fermato ognuno a tu per tu con il solito groviglio di scelte: curiosità e abitudini, luce e fatica, risorse ed errori, la cifra della propria identità più profonda.

I due mesi circa che abbiamo passato chiusi in casa non sono stati sempre uguali; personalmente identifico 5 fasi psicologiche che hanno portato la coppia a viversi in maniera differente nel tempo.

C’è stata una prima fase di spaesamento e difesa coraggiosa contro un nemico comune fuori dalla porta. In questa fase non c’è stato spazio per i litigi e la differenziazione, tutti attoniti per ciò che stava capitando.

La seconda fase è stata una sorta di incantesimo collettivo che ha comportato una regressione. Chi ha saputo lasciarsi andare alla tana si è adattato, altrimenti sono cominciate a emergere le insofferenze, le claustrofobie, i contrasti.

Una terza fase di paura di ricalarsi nel mondo ha inaugurato le reali difficoltà e tensioni nelle coppie da metà aprile: tutti contro tutti, il partner è stato spesso usato come sfogo.

C’è poi stata la quarta fase di riapertura ai primi di maggio, un momento di frustrazione per chi non era garantito sul piano lavorativo; si sono fatti i conti con la propria stima di sé e coi propri livelli di energia e si è chiesto – erroneamente – al partner, in maniera spesso non esplicita, di darci la sicurezza che sentivamo di non avere. Non sempre, però, il partner è stato in grado di assumersi la responsabilità per tutti e due, né avrebbe dovuto farlo d’ufficio. È stato questo il periodo in cui le differenze e i contrasti sono esplosi, soprattutto se uno dei due è salito in cattedra, ha squalificato il partner oppure è caduto in una sorta di buco nero mettendosi a fare la vittima.

Immagino infine una quinta fase, ancora in atto e quindi non del tutto definibile, di progressivo nuovo adattamento alla vita, di tensioni e difficoltà tra rischi di ritorno del virus in agguato e limiti ancora imposti in merito a distanziamento e mascherine. La vedo e me la figuro fatta ancora per un po’ di momenti di speranza e di altri di profonda delusione. E comunque mi auguro con tutto il cuore che non si riveli un semplice ritorno allo status quo ante, ma una reazione di crescita rispetto a ciò che abbiamo vissuto tramite un’esperienza così inedita.

UN TEMPO SOSPESO

La quarantena ha congelato tante situazioni relazionali, ha anche esacerbato i conflitti, ha amplificato quello che le persone stavano vivendo e offerto tempo allo svolgersi delle tragedie. Si tende a credere che sia da fuori che arriva lo stimolo per innervosirsi ma anche per svegliarsi – come nelle fiabe – e ci si dimentica troppo spesso che il conflitto e il risveglio arrivano da dentro di noi. Pochi sono coloro che sono riusciti consapevolmente a lavorare in questo periodo per apportare energie e nuova linfa alla loro relazione, che andrebbe sempre considerata come il terzo elemento della coppia. Alcuni sono riusciti a gestire il rapporto come si sta su un surf, mediando tra vento, onde, scafo, correnti, pesi e capacità personale per arrivare dove si vuole. Molti sono invece quelli che si sono lasciati andare agli eventi, che hanno subito la vita anziché gestirla attivamente; altri hanno congelato la relazione mantenendola com’era, aspettando tempi migliori, come se non la si dovesse manutenere ogni giorno (Telfener, 2015).

Quali le trappole più frequenti? La pretesa che la relazione ci contenga; che l’altro sia come lo vogliamo noi; che ci fornisca le rassicurazioni che noi stessi non riusciamo a proporci; che diventi il capro espiatorio del nostro rancore e delle nostre frustrazioni; che ci dia ciò di cui abbiamo bisogno senza che si chieda nulla. È anche rischioso prendere in modo personale ciò che l’altro dice o fa; è un errore cadere nel giudizio e stare attenti a come l’altro si comporta, anziché prendere in considerazione la nostra partecipazione alla danza relazionale in atto.

Il modo in cui una coppia è sopravvissuta al periodo di lockdown è dipeso anche dalla sua situazione logistica, dalle sue sicurezze psichiche ed economiche, dalla fase in cui il rapporto si trovava e dai desideri dei singoli. Possiamo dire che alcune premesse e alcuni atteggiamenti nella quarantena sono risultati più adattivi e hanno aiutato le coppie a viversi meglio.

• Comunicazione: non intesa solo come scambio di informazioni, ma come la comprensione di ciò che sta dietro alle emozioni e alle informazioni che ci si scambia. Implica l’intelligenza emotiva, l’attenzione affettiva all’altro, la curiosità e l’andare verso.

• Rispetto: avere cura di come le proprie azioni, i comportamenti e le parole impattino sul partner; trattare l’altro/a come degno di valore e attenzione, senza mai darlo per scontato; vuol anche dire avere rispetto per sé stessi, mantenere una dignità, non lasciarsi andare.

• Assunzione di responsabilità per noi stessi e per ciò che ci accade: non delegare all’altro il nostro benessere, stare centrati in modo da rimanere attivi, da far entrare energia dentro il sistema.

• Ritrovarsi propositivi e andare a cercare quello che funziona, piuttosto che quello che va male; immaginare ciò che si desidera, assumere un atteggiamento proattivo, propositivo.

• Caricarsi di energia altrove per poi immettere nella coppia la propria vitalità, andare a cercare stimoli, rimanere curiosi, aprirsi al mondo attraverso i media che si utilizzano e magari anche alfabetizzarsi rispetto a strumenti nuovi.

• Pensare in termini di squadra: si è sulla stessa barca; se il partner sta bene, anche noi staremo meglio, insieme si possono risolvere problemi, tensioni e accedere a ciò che dà piacere. Insieme si può anche ridere e divertirsi.

• Mettere la coppia in sicurezza anziché usare l’altro come il proprio “punching ball”, come il proprio capro espiatorio. Ci sarà tanto tempo per discutere e per spiegarsi, perché farlo in un momento di debolezza collettiva?

VIOLENZA TRA LE MURA DOMESTICHE

Vorrei finire invitando l’attenzione del lettore su una piaga assurda e terribile in questi tempi ipermoderni (Telfener, 2018): la violenza di coppia, un male che non è andato in quarantena, ma che anzi l’isolamento, la convivenza forzata, l’instabilità economica hanno decuplicato. I centri antiviolenza D.i.Re, che radunano 80 organizzazioni aderenti alla rete nazionale, ci hanno offerto alcuni dati: la violenza nell’81% dei casi è perpetrata da una persona conosciuta; di questa percentuale, nel 54.9% dei casi dal partner attuale o precedente e nel 24.8% da un familiare.

Durante la quarantena, tra marzo e aprile scorsi, le richieste di aiuto ai telefoni dedicati (c’è il 1522, un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari opportunità) e alle forze dell’ordine sono aumentate del 74%. Secondo il D.i.Re, però, solo il 3.5% delle persone in pericolo in questo periodo è riuscito a chiamare, le altre hanno dovuto subire. Sono 11 milioni le donne che subiscono violenza fisica, sessuale e psicologica, incluso il cyber-mobbing. 5 maschi su 10 non si fanno problemi ad alzare le mani sulla compagna; 2 donne su 5 ritengono che i ceffoni facciano parte del gioco inevitabile di coppia. È una vergogna.

La violenza di genere non si scatena usualmente a seguito di un raptus, è strutturale, conseguenza di un habitus di scarso rispetto di sé, da una parte, e di sete di possesso e dominio, dall’altra, nonché di una cultura sessista, gerarchica e patriarcale che ha difficoltà a smantellarsi. Al di là delle botte esplicite c’è la violenza morale, più sottile e sotterranea ma altrettanto pericolosa e subdola (Hirigoyen, 1998), che scardina la stima di sé in maniera totalizzante, malgrado le pause di “amorevolezza” che si possono frapporre tra una cattiveria e l’altra.

Nei momenti difficili è importante fare appello alla propria resilienza, alle proprie risorse per condurre la barca in porto, solamente per scampare alla tempesta, per rifugiarsi e da lì decidere cosa si vuole per la propria vita. Nel 2020 ci dobbiamo ricordare che la coppia non è un obbligo ma una scelta e che la danza di coppia ci deve fare star bene; e ci dobbiamo ricordare che i figli stanno meglio con due genitori autonomi che li gestiscono separatamente, piuttosto che assistendo alla violenza e alle recriminazioni tra i due. Abbiamo la responsabilità di insegnare alle generazioni che ci seguono a vivere bene, nel pieno rispetto di sé.

Umberta Telfener, psicologa per la salute, è didatta del Centro milanese di Terapia della famiglia e membro del board dell’European Family Therapy Association - Training Institutes Chamber (EFTA-TIC).


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Hirigoyen M. F. (1998), Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro (trad. it.), Einaudi, Torino, 2000.

Telfener U. (2015), La manutenzione dell’amore, Castelvecchi, Roma.

Telfener U. (2018), Letti sfatti, Giunti, Firenze.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 280 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui