Riccardo Lami

Trasgressione e avanguardia

Dalla metà dell’Ottocento ad oggi, una panoramica sulle più importanti trasgressioni dell’arte figurativa, dove a cambiare è proprio l’estetica
della proposta rappresentativa.

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Il concetto di trasgressione accompagna da sempre la storia delle arti visive come veicolo di trasformazione per la nozione di opera d’arte e di evoluzione della creatività artistica. Trasgressione nel suo significato letterale di “andare oltre”, ma anche in quello traslato di “andare contro” tramite la violazione di un canone artistico, il sovvertimento di una regola stilistica, la rottura di un codice linguistico. 

LA BANALITÀ DEL QUOTIDIANO

Se l’arte del Novecento, dai movimenti dell’avanguardia storica fino all’estetica postmodernista, trova nella pratica trasgressiva di segni e significati una delle proprie caratteristiche intrinseche, non mancano tuttavia continui esempi attraverso i secoli che testimoniano un’endogena tensione dell’arte a porsi un continuo superamento di convenzioni e tradizioni, alla ricerca di nuovi segni o significati in grado di esprimere lo sviluppo di una ricerca di innovazione culturale, spesso in stretta aderenza alla storia sociale e politica.

Caravaggio aveva utilizzato una prostituta come modella per la sua Morte della Vergine, Michelangelo arriva al “non finito” come pratica della sua idea di scultura. Come ha scritto Nathalie Heinich nel suo Le triple jeu de l’art contemporain, è stata tuttavia l’arte moderna ad aver iniziato quel processo di decostruzione delle regole che ha condotto all’impiego della trasgressione come paradigma di trasformazione, che con la nozione di “avanguardia” ha avuto una sua ideologica esaltazione nell’arte del Novecento. 

Figura esemplare di questo processo è quella di Gustave Courbet, artista che ha fatto della negazione libertaria e sovversiva di codici e tradizioni la propria cifra stilistica e, allo stesso tempo, un approccio ideologico aderente agli sviluppi politici e sociali della Francia tra i moti del 1848 e la rivoluzione mancata del 1870. Nel 1866 Courbet dipinge L’origine du monde, ritratto di una vulva femminile, con un primo piano crudo e diretto, in una prospettiva seduttiva e potente.

La scelta provocatoria del soggetto, tuttavia, non costituisce la più profonda trasgressione dell’opera. Sono la pittura diretta e il crudo realismo della pennellata dell’artista francese ad “andare contro”. Già nel 1849 Courbet aveva dipinto due tra le sue opere più celebri: Les casseurs de pierres e Un enterrement à Ornans. La provocazione qui passava ancora una volta dalla scelta del soggetto: due spaccapietre e un comune funerale di provincia. Courbet ritrae le due scene in formati monumentali che, secondo le convenzioni, dovevano essere riservati alla grande pittura di storia. L’artista mette al centro della pittura di storia persone comuni, attaccando una visione eroica dell’uomo e una della morte che avevano trovato la loro esaltazione nel Romanticismo.

La triviale banalità del quotidiano diviene degna di rappresentazione. Ma la trasgressione più profonda passa dalla tecnica e dallo stile della pittura courbetiana. Le sue figure sono “troppo vere”, “troppo reali”. Il colore è carico e materico. I due spaccapietre sono ritratti di spalle. La monumentalizzazione di personaggi provinciali che partecipano al rito avviene intorno al vuoto nero della fossa della bara. L’artista celebra la realtà in quanto tale, andando contro i canoni di una bellezza compiacente o, all’opposto, trionfante. 

ÉDOUARD MANET

Negli stessi anni di L’origine du monde, nei celeberrimi Le déjeuner sur l’herbe e Olympia, Édouard Manet provoca lo sguardo della borghesia francese con i suoi nudi femminili. Lo scandalo non nasce dalla nudità, bensì dalla pittura stessa di Manet. Le citazioni letterali da Raffaello e Tiziano servono per riportare le opere nell’ambito del dibattito artistico e, dal suo interno, trasgredire le sue convenzioni, in primo luogo dal punto di vista iconografico (un esempio su tutti: il gatto, simbolo di infedeltà, ai piedi dell’Olympia, che sostituisce il cane, metafora di fedeltà, presente sul triclinio della Venere di Urbino di Tiziano). Ma, anche qui, è nel modo in cui Manet utilizza il nudo che si compie una trasgressione più profonda: non in quanto nudo, ma in quanto nudità, per cercare di rendere in italiano la sottile ma fondamentale distinzione di Kenneth Clark tra «naked» e «nude».

Olympia mostra sé stessa giacente su un letto al pari di qualsiasi Venere o Danae della storia dell’arte. Ma Olympia non è semplicemente nuda. È nuda perché si è spogliata. Le ciabatte ai piedi, il trucco sul volto, l’acconciatura, il nastro al collo: tutto sembra segnalare che Olympia è una donna, non una divinità o una ninfa, che si è appena denudata e si è posta, col suo sguardo fiero, di fronte all’occhio del pubblico maschile dei salon parigini.

Allo stesso modo le bagnanti di Le déjeuner scandalizzano non nella loro nudità, quanto nel rapporto con i personaggi maschili, vestiti in abiti borghesi dell’epoca. Figure reali e totalmente contemporanee. Se Courbet aveva trasgredito le convenzioni della pittura di storia, Manet attacca le convenzioni della pittura attraverso uno dei soggetti più diffusi della storia dell’arte, come il nudo femminile.

E poi c’è quel mazzo di fiori dell’Olympia. Leggendo le recensioni dell’epoca, le critiche negative si soffermano in particolare proprio sul tratto pittorico veloce e piatto con cui Manet dipinge i fiori, contrapposti e sbilanciati rispetto al disegno fortemente marcato e chiaroscurale del nudo. Allo stesso modo in cui, quarant’anni dopo, una celebre recensione parlò di Matisse, Derain e Vlaminck come di “fauves”, bestie furenti che si scagliavano contro la mansueta bellezza delle altre opere nel Salon del 1905, Manet nel 1865 attacca le convenzioni in primo luogo tramite il sovvertimento di un modo di dipingere, annullando un qualsiasi principio di illusionismo o immedesimazione, che si spezza nell’incoerenza e nello sbilanciamento stilistico della sua pittura. Proiettandosi già oltre il dibattito tra lo sguardo e il sentire, tra impressionismo ed espressionismo, per Manet l’opera d’arte non può e non deve essere considerata come un frammento di realtà, esteriore o interiore, bensì come la costruzione di una realtà autoreferenziale. Citando le celebri parole dell’artista Maurice Denis, il mazzo di fiori dell’Olympia già ci ricorda che «un quadro, prima di essere un cavallo da battaglia, un nudo o un aneddoto qualunque, è essenzialmente una superficie piana coperta da colori». 

LE AVANGUARDIE

È in questa riflessione sull’identità dell’opera d’arte nella triangolazione fra artista, contesto e ricezione che si gioca l’elevazione della trasgressione a nuovo principio fondante dell’arte. Trasgressione come sinonimo di “avant-garde”: “guardare avanti”, oltre la definizione tradizionale di opera d’arte. Umberto Eco ha parlato di «bellezza della provocazione» per descrivere l’obiettivo artistico dei movimenti rivoluzionari dell’avanguardia storica di primo Novecento, tra Cubismo, Futurismo e Surrealismo, e dello sperimentalismo intermediale degli anni Sessanta, con lo sviluppo delle pratiche dell’arte minimalista, processuale, concettuale e performativa

Due i precedenti storici fondamentali nei primi anni Dieci: la pittura suprematista di Kazimir Malevič e la pratica del readymade di Marcel Duchamp. Alla vigilia della grande guerra e della Rivoluzione d’Ottobre questi due artisti compiono una rivoluzione di senso sulla nozione di opera d’arte. Da una parte con l’introduzione di una pittura astratta e monocromatica, dall’altra con l’utilizzo di reali oggetti quotidiani, Malevič e Duchamp destabilizzano in maniera opposta e complementare il rapporto fra arte e realtà. La dimensione fortemente provocatoria delle loro pratiche conduce alla visione comune di un’arte puramente rivolta a sé stessa, che si scaglia contro ogni principio di mimesi, contro l’idea di arte come rappresentazione, a favore di una «autonomizzazione relativa della percezione estetica», per dirla con Pierre Bourdieu.

Come Picasso dirà a posteriori sui suoi “papier collé” cubisti: non volevamo più ingannare l’occhio, ma la mente; “trompe l’esprit”, non più “trompe l’oeil”. È nel segno di questo miliare principio trasgressivo che si gioca la svolta concettuale sulla nozione dell’opera d’arte, che segna il Novecento e apre alla trasgressione come pratica tecnica e concettuale dei linguaggi artistici contemporanei. 

Padre tutelare di questo processo rimane Duchamp, col suo attacco alle convenzioni artistiche. Spingendosi oltre la mera infrazione di codici o canoni, Duchamp mette in crisi tre degli assiomi fondamentali dell’opera d’arte: originalità, unicità e manualità. I suoi readymade non sono prodotti dalle sue mani ed esistono in svariate copie, tutte originali. Maestro della trasgressione e della mistificazione, Duchamp nega i fondamentali valori dell’arte, aprendo così la strada al principio della provocazione come strategia estetica, che diviene Kunst wollen – cioè “volontà artistica”, ma anche “gusto” – dell’epoca contemporanea.

È in questa logica che si deve allora inserire l’apertura della sperimentazione artistica negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, ed è in particolare nella pratica della performance e della cosiddetta body art che si attuano alcune delle più interessanti dinamiche trasgressive nella triangolazione opera-artista-pubblico, con movimenti quali Fluxus e l’Azionismo viennese o singole personalità come Marina Abramović e Vito Acconci, che pongono l’obiettivo della propria ricerca nel superamento del confine tra arte e vita. 

Personalità chiave è quella di Hermann Nitsch, esponente di punta del movimento austriaco del Wiener Aktionismus, che fece del sincretismo tra arti visive, rito religioso e teatro, mediante performance scandalose e spesso sanguinarie, la propria inconfondibile riconoscibilità stilistica. Nitsch utilizza la teatralità del rito per mettere in scena azioni orgiastiche che, per mezzo di ebbrezza, nudità, manipolazione di viscere animali e liquidi organici umani frutto anche di autolesionismo, mirano a coinvolgere i partecipanti in un processo di catarsi e scoperta della propria essenza più profonda. Nitsch unisce erotismo e violenza, piacere e disgusto, senza soluzione di continuità tramite un’arte che esplicitamente fa riferimento alle pratiche dionisiache dell’antica Grecia e nel contempo alla psicoanalisi freudiana, in particolare al principio dell’abreazione.

Catarsi e masochismo, sessualità ed esibizionismo sono parole chiave nelle performance dell’epoca. Basti pensare a due opere opposte ma complementari come Rhythm 0 (1974) di Marina Abramović, in cui il corpo dell’artista era esposto, messo a disposizione del pubblico che poteva interagire con una serie di strumenti e oggetti, da una piuma a una pistola carica, e Seedbed (1972) di Vito Acconci, in cui il pubblico si trovava dentro una sala vuota nella quale si potevano sentire la voce e i gemiti dell’artista, sdraiato all’interno di una struttura sul pavimento e intento a masturbarsi. 

MCCARTHY E CATTELAN

Parallelo, negli Stati Uniti, è il percorso di Paul McCarthy, che, prima con le sue performance violente e corporali, poi con le sue monumentali sculture pubbliche di sex toys ed escrementi, unisce cultura pop e simbologie rituali, Disney e Jung, mitologie individuali e ossessioni collettive. Oggetto di numerosi attacchi politici e divenuta icona della libertà di espressione, l’opera di McCarthy serve come inevitabile punto di riferimento per il dibattito sul concetto di informe e basso materialismo, che contraddistingue parte importante dell’estetica postmoderna, in cui l’opera d’arte continua il suo processo di trasformazione, proprio alla luce della sua capacità di scandalizzare e generare reazioni che ne mettano in dubbio lo statuto. Esempio celebre è il caso della fotografia Immersion (Piss Christ) di Andres Serrano (1986), che ritrae un crocifisso immerso in un bicchiere contenente l’urina dell’artista, il quale vuole così sottolineare la natura umana del Cristo esaltando il contrasto tra divinità e corporalità.

Più volte contestata negli Stati Uniti con l’accusa di blasfemia in occasione di varie esposizioni e addirittura oggetto di un discorso in Senato da parte di politici repubblicani che polemizzavano sul riconoscimento di fondi pubblici all’artista attraverso il National Endowment for the Arts, nel 2011 l’opera è stata vandalizzata da un gruppo di cattolici che protestavano all’interno di una mostra ad Avignone, dopo che una marcia di oltre 1000 persone aveva manifestato contro la sua esposizione il giorno precedente. 

Reazioni simili sono quelle scatenate dall’opera dell’italiano Maurizio Cattelan. Papa Giovanni Pao  lo II colpito da un meteorite (La Nona Ora, 1999), Adolf Hitler intento nella preghiera (Him, 2001), un wc rivestito in oro 18 carati (America, 2016). In piazza Affari a Milano è diventata stabile la scultura L.O.V.E. (acronimo di “Libertà Odio Vendetta Eternità”): una mano intenta nel saluto fascista, ma con tutte le dita mozzate eccetto il dito medio. Sempre a Milano, l’artista ha installato tre manichini di bambini impiccati a un albero. Cattelan diviene personaggio mediatico che sfrutta la trasgressione delle convenzioni in maniera più efficace quando attacca le istituzioni del mondo dell’arte, attualizzando le strategie di Duchamp attraverso un’ironia che attacca le idee stesse di opera d’arte e di artista. Nel 1998, per esempio, risponde a un’intervista per la rivista Flash Art facendo uso di risposte di altri artisti; nel corso degli anni Duemila, si fa sostituire dal curatore Massimiliano Gioni in interviste e conferenze pubbliche come suo alias; nel 2018, ha curato la mostra “The Artist is Present”, una celebrazione di opere sul tema del falso e della simulazione, a partire dal titolo, appropriazione dalla famosa performance di Marina Abramović nel 2008 al MoMA.

 

Riccardo Lami, mediatore e manager culturale, è esperto di arte americana degli anni Sessanta. Attualmente è responsabile comunicazione e development della Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 271 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui