Silvia Bonino

Raccontare la quarantena ai bambini

Come possiamo aiutare i bambini e i ragazzi a elaborare un ricordo di questo anno che conferisca un senso a quanto è accaduto.

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Quando ho scritto questo pezzo la chiusura generalizzata in casa di adulti e bambini si stava allentando, ma restavano amplissimi margini di incertezza su quanto poteva accadere in futuro. In tutti noi vi è la speranza che le condizioni di isolamento in cui siamo vissuti nei mesi primaverili di quest’anno non si ripetano. In una situazione così complessa e in divenire, questa rubrica vuole offrire spunti di riflessione sull’esperienza di clausura vissuta da bambini, ragazzini e adolescenti. Si tratta di soggetti che sono tutti in un periodo di sviluppo neurofisiologico e psicologico particolarmente rapido e plastico, comunemente definito “età evolutiva”, anche se tra le diverse età ci sono differenze importanti riguardo alle capacità cognitive, nello specifico riguardo ai modi di ragionare, alle esigenze sociali e alle competenze emotive. 

Nella fase in cui l’esperienza di confinamento è – si spera definitivamente – ormai alle spalle può prevalere negli adulti che hanno responsabilità educative, come genitori o insegnanti, la tendenza a evitare di parlare con i bambini di quanto accaduto, sia per timore di riattivare sentimenti negativi sia per il desiderio di guardare non più al passato ma al futuro. Per quanto comprensibili, queste preoccupazioni e questi atteggiamenti sono infondati e pericolosi sul piano psicologico, poiché non tengono conto di alcuni aspetti importanti. Il primo riguarda la grandissima rilevanza dell’esperienza di prolungato isolamento, che si è fissata nella mente, per la sua straordinarietà e peso emotivo, come un insieme di ricordi che accompagneranno i futuri adulti per tutta la loro vita. Questa profonda fissazione nella memoria autobiografica riguarda non solo i fanciulli e gli adolescenti, ma anche i piccolissimi, almeno a partire dal terzo anno di vita, quando è ormai evoluto quello che è stato definito il “Sé verbale”, capace di memorie personali consapevoli. Il secondo aspetto su cui riflettere, strettamente collegato al precedente, concerne il ruolo della narrazione nello strutturare la stessa memoria autobiografica e soprattutto nel dare senso a ciò che si è vissuto. La memoria, infatti, non è la registrazione e archiviazione di documenti giustapposti che fissano la realtà così come è stata esperita; essa è piuttosto una costruzione narrativa ricca di tonalità emotive che collega e seleziona gli eventi conferendo loro dei significati personali, capaci sia di interpretare il passato sia di guidare l’azione nel futuro.

Come gli studi sul pensiero narrativo ci hanno da tempo insegnato, il racconto di una vicenda è lo strumento che permette di collegare le esperienze vissute, con tutto il loro carico emotivo, in un insieme coerente non più incomprensibile, insensato e caotico, bensì dotato di un significato. Senza la narrazione, le esperienze fatte restano un informe coacervo privo di senso, e come tale ansiogeno; è infatti esigenza fondamentale della mente umana comprendere e dare significato a quanto ci accade. Togliere quindi a figli e allievi la possibilità di parlare, tra loro e con gli adulti, di ciò che hanno vissuto impedirebbe la costruzione, nella loro mente, di un ricordo significativo e fornito di senso.

La prolungata segregazione del 2020 rischierebbe così di essere, nella loro memoria autobiografica, una sorta di informe “buco nero”, nel quale si sono vissute privazioni e sofferenze che non rivestono alcun significato nella storia personale. È invece indispensabile che l’esperienza fatta assuma, in soggetti che sono in età evolutiva e quindi in una fase di costruzione di sé e della propria autoconsapevolezza, un significato. Non solo: questo significato dev’essere positivo in termini di immagine di sé, di autostima, di convinzione nella propria capacità di far fronte alle difficoltà, perfino le più severe. I bambini, ma anche gli adolescenti, non possono essere lasciati soli in questo compito, confidando nelle loro pur rilevanti capacità. Devono essere aiutati dagli adulti a costruire una narrazione positiva che sottolinei, in concreto, quanto di crescita personale essi sono riusciti ad avere pur nella difficoltà della situazione, quanta creatività hanno espresso, quanta forza d’animo personale hanno manifestato.

In tal modo l’esperienza fatta può essere vissuta come un momento significativo della loro crescita personale, e non solo uno spazio vuoto nel quale non hanno potuto fare ciò che desideravano, o peggio un evento traumatico capace di influenzare negativamente tutto il loro futuro. Al contrario, attraverso la narrazione la quarantena può diventare, nel ricordo, un momento importante della loro storia personale, propulsivo per il futuro e non fonte di frustrazione e recriminazione: da esperienza da dimenticare a esperienza da ricordare, ricca di significato personale e fonte di forza e coraggio anche nel futuro corso della vita. 

Questa rielaborazione dev’essere effettuata non solo in famiglia, ma anche nella scuola. Se nella prima vi è il positivo confronto con i genitori e gli eventuali fratelli, a scuola avviene invece – in modo complementare e non contrapposto – il confronto con chi appartiene allo stesso livello di età e che quindi condivide, in linea generale, le stesse caratteristiche cognitive, trovandosi grosso modo nei medesimi stadi dello sviluppo. A ciò si aggiunge il fatto che la scuola, per le sue stesse caratteristiche di istituzione rivolta a tutti gli appartenenti a una comunità nazionale, consente di colmare le eventuali difficoltà e carenze che le famiglie possono presentare, grazie alla presenza educativa degli insegnanti. 

Nel processo di rielaborazione narrativa in famiglia e a scuola non va sottovalutato, inoltre, il fatto che anche gli adulti traggono vantaggio dal confronto con figli e allievi. Benché gli adulti non siano più nell’età evolutiva canonica, cioè in una fase di forte cambiamento e sviluppo personale, essi sono ancora però sempre soggetti in sviluppo, grazie alla plasticità neuronale che caratterizza gli esseri umani, come ormai ben sappiamo, lungo l’intero ciclo della vita. Anche gli adulti si trovano di fronte al compito di dare un significato all’esperienza vissuta, in termini di crescita personale e non solo di perdita e deprivazione: non sono infatti le esperienze in sé ad essere fonte di stress e depressione, quanto il significato che viene loro attribuito. Proprio i figli e gli allievi possono essere di stimolo per una ricostruzione narrativa che favorisca anche negli adulti un’immagine positiva di sé e della propria capacità di fronteggiare le difficoltà.

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo nell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).

www.silviabonino.it

Questo articolo è di ed è presente nel numero 280 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui