Psicosomatica e stress

Verso un modello di interdipendenza fra corpo e mente

Come la medicina, anche la psicosomatica per molto tempo è stata caratterizzata da un approccio causalistico, dividendosi in psicosomatica “dalla parte delle psiche” e “dalla parte del corpo”. Un'integrazione oggi arriva dal modello Somatic Competence®.

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Potremmo cominciare con il dire che, in realtà, la psicosomatica, come tale, non esiste! Calarci da subito in questo paradosso ci protegge da ogni tentazione ontologica. Non è tanto il fatto di capire cosa siano il corpo o la mente, quanto osservare la loro necessaria interdipendenza fenomenologica. Faccio subito un esempio per liberarmi da questa complessa retorica: quando ho mal di testa, a chi appartiene il male? Alla mia testa o al mio Io che soffre? In tutt’altro contesto, Jacques Lacan (1964) cita il famoso aforisma del saggio taoista Chuang Tzu, a proposito del sogno: «Tzu aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla sognava di essere Tzu?».

Questo è un problema, o un falso problema che attraversano tutti i pazienti che portano la loro testa dolente dal neurologo o il loro Io sofferente dallo psicologo, gli specialisti da entrambe le parti aumentando questa paradossale scissione (Scognamiglio, 2016).

Anche quei pazienti che si definiscono molto stressati colgono che il mal di testa può essere una conseguenza dello stress, ma non rie­scono a pensarlo appartenente a una componente comune e globale di malessere. Se, tuttavia, proviamo a osservare il fenomeno lì dov’è sulla scena del dolore, quasi miracolosamente la scissione si ricompone nella formula “io sono colui che soffre in questa testa dolente”.

Ecco di nuovo esistere d’un colpo la psicosomatica: per quanto mi scorpori dalla mia testa, quella sofferenza rimane la mia. Ovviamente, questo vale anche nella direzione inversa: quando ho paura non è soltanto il mio Io che ha paura, bensì le mie gambe hanno paura, mi cedono, il mio cuore ha paura e accelera il battito, il mio diaframma ha paura, comincia ad ansimare. 

La paura, quanto il mal di testa, fa esistere fenomenologicamente la psicosomatica, il cui statuto scientifico è molto più complicato per una fondamentale incongruenza di paradigmi epistemologici che non rie­scono a evitare il salto tra il meccanicismo della materia, del corpo, delle sue leggi, rispetto alla complessità filosofica del concetto di coscienza. Quindi, il problema non è tanto che l’esperienza dell’unità psicosomatica sia un vissuto inequivocabile, quanto la difficile declinazione scientifica delle due res cartesiane, che interrogano in forma spesso contraddittoria gli orientamenti delle cure: pillola sì, pillola no, interpretazione cognitiva a ciò che sta dietro uno scatenamento somatico, significato simbolico del dolore ecc.

A volerci proprio spaccare la testa, ci possiamo imbattere in un altro filosofo taoista, Lao Tze, che provocatoriamente ci mette sull’avviso: «Si guarisce da un male ritenuto un male. Il saggio non sta male. È il suo male che sta male. Per quanto lo riguarda, lui sta benissimo». Questa è in realtà un’ottima prospettiva che ribadisce come, ammesso pure che il male appartenga a una sfera diversa da quella della coscienza, sarà sempre il soggetto a farne i conti (Scognamiglio, 2008).

LA SVOLTA DEI MODELLI ADATTIVISTI 

Uno dei principali problemi dell’inciampo epistemologico, nel salto dalla mente al corpo o viceversa, è il fatto che la scienza, medica o psicologica, è marcata da un’inevitabile impostazione deterministica. La psicosomatica stessa, fin dalle sue origini, non si sottrae a un approccio causalistico, tenendosi ancorata alla risoluzione del dilemma: è nato prima l’uovo o la gallina? Dal tentativo di rispondere a tale quesito derivano fondamentalmente due impostazioni: la psicosomatica “dalla parte delle psiche” e la psicosomatica “dalla parte del corpo”, per cui ciascuna sostiene il primato di una componente sull’altra.

La psicosomatica dalla parte della psiche nasce in seno alla psicoanalisi, applicando al sintomo organico il modello dell’isteria e del sintomo di conversione, per cui c’è un rimosso inconscio che ricade nel corpo e che solo l’interpretazione può “sciogliere”. L’antesignano di questa psicosomatica è Groddeck. Ecco una sua interpretazione data a una donna affetta da verminosi intestinale e amenorrea: «Un giorno le parlai a lungo del rapporto fra i vermi e le fantasie di gravidanza, a proposito di un nostro comune conoscente. Quello stesso giorno essa espulse un verme solitario, durante la notte le vennero le mestruazioni e il ventre le si sgonfiò» (Groddeck, 1923; trad. it. 1966, p. 23). Bei tempi, quelli in cui bastava tradurre il desiderio rimosso per espellere i vermi intestinali! C’è chi ancora al giorno d’oggi crede a questa antica religione. Una certa divulgazione psicosomatica va in tale direzione, sebbene la scienza non sembri validarne i principi.

La psicosomatica dalla parte del corpo, invece, nasce, a partire dagli anni Cinquanta, con i modelli dello stress che io definisco “adattivisti” e che forniscono un contributo rivoluzionario alla storia della disciplina psicosomatica. A partire dagli studi di Cannon (1932) e Selye (1946) sulla Sindrome Generale di Adattamento (GAS), si pone progressivamente la questione di trovare un legame fra una risposta fisiologica aspecifica ad ogni richiesta di cambiamento (asse ipotalamo-ipofisi-surrene) e la specificità della dimensione soggettiva nella quale questa risposta si declina.

Negli studi sullo stress questo sforzo è ben rappresentato dalla Scala di resistenza allo stress (Hanson, 1985), che tiene conto delle potenzialità di fronteggiamento degli stressors, e cioè dello strumentario cognitivo ed emotivo che un soggetto ha a sua disposizione per reagire agli eventi stressanti (resilienza, capacità di copying, emotional awareness ecc.). La questione, dunque, non è solo nel “peso” dello stressor, ma nelle capacità soggettive di modulare l’eccesso (hyper) o il difetto (hypo) di arousal, meccanismo alla base della risposta fisiologica di adattamento.

Questo risultato apre la prospettiva teoretica che la nostra soggettività vive di un interscambio dinamico fra mondo interno e mondo esterno, per cui al rapporto tra psichico e somatico viene sempre più sostituendosi un modello di regolazione di questo interscambio.

Un contributo scientifico fondamentale a questo modello giunge dalla Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) (Bottaccioli, 2014), che dimostra l’inconsistenza della scissione mente-corpo, sostituita dall’interdipendenza fra i sistemi di regolazione dell’organismo (in particolare, sistema nervoso centrale, endocrino e immunitario). 

In tutto questo discorso, un paradosso ulteriore è come la psicosomatica si definisca “medicina psicosomatica”. Il prezzo di tale assimilazione a un modello epistemologico che di per sé manca di “psicologia”, ossia di un’attenzione alle componenti fenomenologiche, comportamentali, emotive e psico-sociali, è di rimanere ancorata a un paradigma focalizzato sull’estirpazione del sintomo, che si traduce in una giustapposizione di servizi specialistici e tecniche, riproponendo di fatto la parcellizzazione della medicina convenzionale (Scognamiglio, 2016). 

 

IL MODELLO SOMATIC COMPETENCE®

Quando dobbiamo ragionare su un modello dell’interscambio, un aspetto fondamentale è quindi la capacità di percepire i segnali di questo scambio. Somatic Competence® è un certo modo di stare dentro il corpo (Scognamiglio, 2009), è la capacità di cogliere i segnali somatici (sensazioni ed emozioni) e di usarli come strumenti metacognitivi. Tuttavia, il fatto che il corpo invii dei segnali non rende scontato che si sia in grado di coglierli e di farsene qualcosa.

È l’esempio di Aldo, 18 anni, che mi chiede aiuto per un disturbo di ansia con ripetuti momenti di panico durante tutto l’arco della giornata scolastica (Scognamiglio e Russo, 2018). Aldo non è consapevole delle circostanze predisponenti e nemmeno sa riconoscere nel corpo le avvisaglie di un attacco di panico.

Anche una volta individuati i presunti oggetti fobici, come la paura di non trovare parcheggio a scuola, l’agitazione al pensiero di andare in bagno, il terrore delle interrogazioni, lo stato di hyper-arousal permane nel suo corpo. Che fare, quando un intervento psicologico di razionalizzazione e contestualizzazione delle risposte ansiogene non sortisce alcun effetto? Aldo è alessitimico (Taylor et al., 1997), cioè non è in grado di percepire ed esprimere in termini di emozioni ciò che gli accade nel corpo, e così non si accorge di essere in uno “stato di resistenza cronica” (Selye, 1946), di cui l’ansia è il corrispettivo sul versante psichico. L’ansia è per Aldo l’unica cosa avvertibile, in quanto in lui manca l’attenzione a ciò che il corpo vive prima del manifestarsi del quadro ansiogeno.

Quando mi rivela che la mattina non fa mai colazione perché non sente la fame ma una morsa allo stomaco, restando a digiuno fino a pranzo, comprendo che il ragazzo vive inconsapevolmente una condizione metabolica in cui non ci sono sufficienti energie per affrontare le sfide della giornata. Trascorre il tempo in “battaglia” senza aver dato rifornimento al suo corpo. Anche se la diminuzione dei succhi gastrici è funzionale alla risposta di resistenza allo stress, è necessario recuperare energie per evitare la condizione di usura. A questo punto potremmo chiederci: Aldo soffre di un disturbo d’ansia o è a stomaco vuoto? La domanda è capziosa, poiché non fa altro che riproporre il dilemma della psicosomatica (è nato prima l’uovo o la gallina?), dimenticando che la risposta neurofisiologica allo stress è indipendente dalla specificità dello stimolo, tale per cui la paura di non trovare parcheggio è equivalente allo stare a digiuno. 

Sul versante di una clinica psicosomatica, invece, la questione si pone in termini di priorità di intervento. Per tale motivo il progetto terapeutico è partito con il regolare il substrato somatico di quest’ansia, abituando Aldo a introdurre alimenti al risveglio e a mantenere costanti durante il giorno i livelli glicemici con degli spuntini. L’idea è stata quella di creare uno stato di comfort nel corpo per contrastare lo schema di attivazione ansiogena che non gli permette di cogliere i segnali provenienti dal sistema gastrico. 

L’esempio di Aldo non porta ad affermare che l’ansia si curi solo ristabilendo il corretto livello glicemico, ma invita a pensare come delle problematiche psicologiche di natura cognitiva o emotiva possano dipendere reciprocamente da fattori di natura neurofisiologica, all’interno di un quadro somato-psichico disregolato. Questo richiede che qualunque fenomeno che si presenta agli occhi dello psicologo possa essere letto secondo il modello dell’interscambio, cercando ogni volta di stabilire quale livello, psichico o somatico, è preponderante nella sofferenza del soggetto.

DISTRESS O EUSTRESS?

Marco, 50 anni, mi chiede un incontro dopo aver già concluso un precedente percorso di psicoterapia. È affetto da una sindrome ignota che divide i medici fra una diagnosi di patologia autoimmune e una di mielopatia, la quale sorge in coincidenza di un periodo drammatico della sua vita, in cui perde sia il padre che il suocero.

La medicina, in genere, non indaga il versante personale della malattia, e omette non solo il vissuto, ma anche la storia del soggetto; d’altra parte, l’approccio psicologico si limita al vissuto, ma vive una sorta di impasse clinica rispetto alla malattia organica. Tuttavia, pur nella loro differenza epistemologica, entrambi gli approcci condividono una visione unitaria rispetto ai quadri degenerativi: quella di attuare manovre cautelative finalizzate a un’economizzazione degli sforzi per impedire l’usura dei sistemi. In casi così, l’indicazione psicoterapeutica, come pure quella medica, è di rallentare, di riposarsi, di prendere tempo. In una parola, di sgravarsi da tutto ciò che produce stress. 

Manager di alto livello, atleta di triathlon e allenatore di una squadra di sci, Marco rinuncia progressivamente ai suoi hobby e ridimensiona la sua vita per seguire l’impostazione terapeutica di cui sopra. In breve tempo si trova, dunque, deprivato delle sue stesse risorse che, in seguito alla malattia, vengono invece considerate fattori aggravanti. Questa prospettiva fa un uso ingenuo della parola “stress”, mancando di considerare la differenza tra stress negativo, distress, e stress positivo, eustress. Quando si presenta da me in seduta, Marco è in una condizione di freezing depressivo in cui tutto ciò è stato appunto “congelato”, poiché ritenuto, sia dalla medicina che dalla psicoterapia, troppo usurante per la sua condizione.

Marco, al contrario, è quello che io definisco un “adrenaline addicted” (Scognamiglio, 2016), una persona che nella continua ricerca di adrenalina ha trovato il miglior processo di adattamento. La sfida terapeutica è stata così quella di rompere la logica del senso comune e riattivare in Marco una spinta dopaminergica (Panksepp e Biven, 2012), recuperando per esempio i suoi hobby, in grado di rompere quell’inibizione dell’azione (Laborit, 1979) che lo stava cronicizzando nella posizione di malato.

Il caso di Marco riporta al centro della questione psicosomatica l’uso della Somatic Competence® come bussola per guidare il terapeuta nell’ascolto del network corpo-cervello-mondo esterno e, nello stesso tempo, costruire con il paziente una capacità di sintonizzazione non solo sui processi di rottura dell’omeostasi, ma soprattutto sulla possibilità di individuare gli elementi di recupero a partire dal corpo.

 

Riferimenti bibliografici

Bottaccioli F. (2014), Epigenetica e psiconeuroendocrinoimmunologia. Le due facce della Rivoluzione in corso nelle scienze della vita, EDRA LSWR, Milano.

Cannon W. B. (1932), The wisdom of the body, Norton, New York.

Engel G. (1977), «The need for a new medical model: A challenge for biomedicine», Science, 196 (4286), 29-136.

Groddeck G. (1923), Il libro dell’Es (trad. it.), Adelphi, Milano, 1966.

Hanson P. G. (1985), Stress, istruzioni per l’uso (trad. it.), Sperling & Kupfer, Milano, 1993.

Holmes T. H., Rahe R. H. (1967), «The Social Readjustment Rating Scale», Journal of Psychosomatic Research, 1 (11), 213-218.

Laborit H. (1979), L’inhibition de l’action. Biologie, physiologie, psychologie, sociologie, Masson-Presses de l’Université de Montréal, Montréal.

Lacan J. (1964), Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (trad. it.), Einaudi, Torino, 1979.

Panksepp J., Biven L. (2012), Archeologia della mente: origini neuroevolutive delle emozioni umane (trad. it.), Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.

Scognamiglio R. M. (2008), Il male in corpo. La prospettiva somatologica nella psicoterapia della sofferenza del corpo, Franco Angeli, Milano.

Scognamiglio R. M. (2009), «Dalla focalizzazione sul corpo all’intelligenza somatica: la nascita di un nuovo costrutto nel quadro alessitimico». In M. Vigorelli (a cura di), Laboratorio didattico per la ricerca, Raffaello Cortina Editore, Milano. 

Scognamiglio R. M. (2016), Psicologia psicosomatica. L’atto psicologico tra codici del corpo e codici della parola, Franco Angeli, Milano.

Scognamiglio R. M., Russo S. M. (2018), Adolescenti digitalmente modificati. Competenza somatica e nuovi setting terapeutici, Mimesis, Milano.

Selye H. (1936), «A syndrome produced by diverse nocuous agents», Nature, l, 138.

Selye H. (1946), «The general adaptation syndrome and the disease of adaptation», Journal of Clinical Endocrinology, 6, 117-130.

Taylor G. J., Bagby R. M., Parker J. D. A. (1997), I disturbi della regolazione affettiva. L’alessitimia nelle malattie mediche e psichiatriche (trad. it.), Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2000.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 269 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui