Marco De Veglia

Pensavo fosse realtà invece era marketing

Forse i nostri pensieri e le nostre azioni sono solo il prodotto del marketing. In questo caso, che fare per pensare con la nostra testa?

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In questi ultimi tempi, seguendo alcuni avvenimenti di cronaca, mi sono trovato a fare alcune riflessioni su concetti che a prima vista sembravano scontati, ma che invece a una seconda analisi io ritengo importanti. Tanto da volere scrivere il presente articolo. In questa rubrica, come sai, parlo di marketing. O, meglio, di come il marketing, e la psicologia che lo guida, influenzino e si rapportino con la nostra vita. In altri contributi ho parlato di come, spesso, il marketing sia nascosto. Oppure di come sia indispensabile. O di come ci faccia agire senza che ce ne rendiamo esattamente conto. Perciò questa rubrica potremmo definirla “dietro le quinte del marketing: come influenza la nostra vita”. E tuttavia le riflessioni che ho fatto di recente vanno oltre.

«E se il marketing non esistesse?». Ammetto che questa domanda è un po’ ambigua, ma l’ho scritta così volutamente. È un artificio retorico che ho usato per suscitare curiosità nella tua lettura e portarti a leggere quanto sto per dirti. Se avessi scritto la domanda completa, non sarebbe stata altrettanto efficace. Ma ora è il momento di scriverla, la domanda completa: «E se il marketing non esistesse come elemento separato dalla vita? Se la vita fosse essa stessa, fondamentalmente, marketing?».

Wow.

 

Ti dico la verità, io stesso, quando sono arrivato a pormi questa domanda, mi sono risposto immediatamente: «Ma che assurdità! È ovvio che la mia vita non è marketing. Sono io che la vivo e nessuno la crea per me; certamente non chi mi vuole vendere qualcosa».

Certo, certo. È una critica lecita e, direi, naturale. Ma facciamo una premessa per capirci. Noi definiamo il marketing come una combinazione di messaggi prodotti da terzi che ci vendono un’idea. Perché una marca è un’idea: l’idea per la quale quella marca soddisferà di più i nostri bisogni funzionali ed emotivi, rispetto alle altre marche. Che ci vogliano vendere una marca di pelati, di automobili, una località di vacanza, un candidato politico, un’idea su come va il mondo. Sono idee. E il marketing è lo strumento per “venderci” un’idea. Se non ti piace il concetto di farti vendere un’idea, usa “considerare un’idea”. Sei d’accordo, dunque, con questa definizione di marketing? La ripeto: «Marketing è una combinazione di messaggi (prodotti da terzi) per farci considerare un’idea (invece che un’altra) al fine di ottenere quello che vogliamo ottenere». E quello che vogliamo ottenere è molto più legato alla sfera emotiva e psicologica, che a quella pratica e razionale. Ne ho parlato altre volte, su queste pagine, e non vorrei aprire un altro argomento, ma la sintesi è che “scegliamo semplificando” (e quindi tagliando, distorcendo) le informazioni perché è l’unico modo che abbiamo per gestire la complessità del mondo.

Come dicevo, ciò che vogliamo ottenere è molto più legato alla sfera psicologica ed emotiva, che a quella razionale e funzionale. Quando scegliamo le idee che facciamo entrare nella nostra sfera di considerazione e che poi diventano parte delle nostre convinzioni, e quindi dei nostri comportamenti, della nostra identità, di solito ci vengono da fuori, almeno come spunto o conferma. Qualcuno – magari anche, genericamente, “la società” – ci presenta queste idee e se esse risuonano nella nostra mente con la nostra esperienza e con le altre idee che abbiamo, le consideriamo e magari le facciamo nostre. E queste nuove idee ci vengono presentate appunto con una combinazione di messaggi. Ci vengono presentate con attività di marketing. E quindi se...

… Se invece la realtà fosse l’effetto del Marketing? E siamo arrivati al punto a cui sono arrivato anch’io con le mie riflessioni. Sono partito da avvenimenti di cronaca che hanno smosso persone, coscienze, convinzioni. E lo hanno fatto con messaggi. Messaggi semplici, messaggi forti, messaggi a cui dire sì o no. Messaggi che creano un movimento d’opinione, con milioni di persone che pensano all’unisono. Ma tutto ciò è la real­tà? O, appunto, non è solo un’altra campagna di marketing, non dissimile dallo spot in TV per vendere un collutorio? Ma se la risposta è «Sì, lo è», allora ogni cosa che capita nella nostra vita è guidata da una campagna di marketing? Tutta la nostra realtà è un avvicendarsi di campagne di marketing? Un po’ angosciante come prospettiva, no? Per me lo è. Io sono un professionista del marketing. Ovvero una persona che di mestiere si domanda: «Come faccio a influenzare il target X affinché compia l’azione Y (= compri il prodotto Z)?».

Tuttavia, prima delle mie riflessioni degli ultimi tempi, qui condivise con te, non ho mai visto le implicazioni della mia attività fino a questo livello. Fino al livello in cui, di fatto, tutta la realtà che viviamo potrebbe essere solo una campagna di marketing di cui siamo il target. Certo, potrebbe essere quella che in filosofia si chiama una reductio ad absurdum e, come tale, solo un discorso ipotetico; la realtà è probabilmente diversa. Nella realtà, siamo in grado di capire cosa è vero e cosa è propaganda. Ma lo siamo veramente? Tu lo sei veramente? Io stesso, che sono del mestiere, ho dubbi sulle mie capacità di riconoscere il marketing dalla realtà. La verità è che, di tutto, sappiamo troppo poco rispetto alle informazioni che riceviamo

Oggi, con Internet, le informazioni sono disponibili, anche se non sempre facili da reperire. Ma siamo noi che spesso non sappiamo di aver bisogno di avere più informazioni. E se è possibile che la realtà sia una serie di campagne di marketing orientate a influenzare i nostri pensieri, c’è qualcosa che possiamo fare per “pensare con la nostra testa”? Una cosa l’hai già fatta ed è leggere questo articolo, appartenente a una rubrica dove appunto si perlustra il backstage del marketing. Significa che sei già una persona che si fa domande. Un atteggiamento che personalmente adotto e che raccomando è questo: «Quando ti trovi d’accordo con la maggioranza è il momento di fermarti e riflettere» (Mark Twain). Uno scetticismo “di default” sulle informazioni che ci colpiscono è una sana abitudine. Da qualsiasi parte provengano. E anche senza necessariamente cercare risposte, ma semmai cercando dentro di noi cosa ci dice l’esperienza vissuta. E cosa ci dice la pancia. Perché magari è anche divertente partecipare alla sfilata dei vestiti invisibili, ma è saggio tenere a mente che molto probabilmente il re è nudo.

Marco De Veglia è riconosciuto come il massimo esperto italiano di Brand Positioning. Dal 2009 vive negli Stati Uniti, prima a New York, attualmente a Miami, e da oltre venticinque anni aiuta le aziende italiane a ridefinire le loro attività di marketing.  marco@brandfacile.com

www.brandfacile.com

Questo articolo è di ed è presente nel numero 277 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui