Non tutta la tecnologia viene per nuocere
Contro la demonizzazione a cui qualche volta sottoponiamo i più diffusi strumenti tecnologici, un atteggiamento da consigliare è quello di conoscerli meglio e senza preconcetti. Ci accorgeremo così che alcuni di loro, gestiti con equilibrio, possono solo aiutare la nostra quotidianità. Anche sotto un profilo psicologico.
Diverse persone nel mio studio sembrano avere un pensiero comune: “Non vedo l’ora che questa moda dei social media finisca, così almeno si tornerà alla normalità”. Sono affermazioni che tutti abbiamo sentito e forse pensato: il fatto che le nuove tecnologie stiano portando più disagio che agio.
Tuttavia, come abbiamo già ribadito in questa rubrica, si tratta di una diatriba antica quanto l’uomo: per Socrate la tecnologia della scrittura ci avrebbe portato tutti alla stupidità, ma allo stesso tempo senza tecnologia non ci saremmo evoluti e le parole dei sapienti non sarebbero giunte fino a noi.
Per alcuni filosofi contemporanei – tra cui Carlo Sini – il linguaggio stesso è una tecnologia, intesa come artefatto cognitivo co-costruito culturalmente. Solo che attualmente questo progresso è talmente rapido da farci pensare che si tratti di una sorta di aberrazione del pensiero.
Questa accelerazione tecnologica è dovuta a una rivoluzione in particolare, quella “digitale”, per la quale viviamo completamente immersi in realtà sempre più virtuali, spesso senza rendercene conto. Tutto ciò sta portando profondi cambiamenti nella nostra società e anche nella nostra psiche; per esempio, sono cambiate le metafore con cui rappresentiamo il nostro mondo interiore: qualche tempo fa un giovane ragazzo nel mio studio paragonava i «pensieri disturbanti» a «notifiche sgradite» (dove per “notifica” intendeva quella dello smartphone).
Non tutta la tecnologia viene per nuocere
Nell’arco della storia dell’evoluzione umana, mai come oggi la psicologia sembra prendere un posto tanto di rilievo e ciò proprio grazie alle nuove tecnologie. Se un tempo la forza era caratterizzata dalle capacità del corpo e dalla sua resistenza, oggi la “forza” è data dalle abilità sociali, dalla gestione delle emozioni e dal riuscire a tenere sotto controllo lo stress moderno.
Per illustrare al meglio questo concetto propongo spesso un figurato salto nel futuro, immaginando il ruolo di un chirurgo tra vent’anni anni. In questo scenario probabilmente non sarà più il medico a operare, non sarà lui ad aprire il paziente, fare ciò che si deve e richiuderlo, ma una macchina. Perché? Perché la macchina è molto più precisa e non si stanca, e attraverso i nuovi meccanismi di “machine learning” diventerà sempre più brava nel farlo. E allora il medico cosa farà? Sarà una sorta di controllore che osserva come l’intervento procede, ma soprattutto sarà un supporto umano al paziente. Supporto che oggi sappiamo avere un valore rilevante sia nell’ospedalizzazione che nel percorso post-operatorio.
Insomma, le nuove tecnologie potranno fare tutto tranne (forse) sostituire la “relazione”, aspetto squisitamente psicologico. Qualcuno potrebbe dubitarne, immaginando che forse un giorno ci saranno umanoidi così ben programmati da riuscire a dare quel supporto psicologico al posto degli esseri umani. Del resto, già oggi esistono software sperimentali di Intelligenza Artificiale che fungono da “consulenti psicologici” e che sembrano funzionare molto bene. Ma forse immaginare un umanoide che si spacci efficacemente per un essere umano è qualcosa di ancora troppo distante (malgrado le recenti simulazioni vocali di Google).
Per ora mi piace immaginare che le nuove tecnologie possano aiutare sia chi desidera “migliorare” tramite supporti digitali sia i professionisti di tali ambiti. Dopotutto, non lo stiamo già facendo? Non è grazie ai nostri computer che riusciamo a effettuare complessi calcoli statistici o più semplicemente a tenere un’agenda virtuale? In realtà sì, siamo immersi nelle nuove tecnologie e molti di noi fanno ancora fatica a crederci, eppure, come ogni cosa, quando viene conosciuta può portare enormi vantaggi.
E per la nostra cara “crescita personale” la tecnologia può fare qualcosa? Assolutamente – basti solo pensare ai wherable, quegli orologi digitali in grado di tenere traccia dei passi che facciamo, del battito cardiaco, della qualità del sonno ecc. Questi strumenti ci consentono di avere un feedback diretto sulla nostra attività fisica e sul nostro stato di salute. Lo so, è spaventoso immaginare di dover dare in pasto a delle macchine anonime i nostri parametri vitali, ma se queste macchine fossero più brave di noi a capire come ci sentiamo? Se durante un lungo viaggio in auto il tuo orologio o lo smartphone potesse dirti: “Caro, hai bisogno di una piccola pausa, è meglio accostare al prossimo autogrill”?
Nel campo della crescita personale, da anni vanno di moda apparecchi di biofeedback ad uso casalingo, che purtroppo non hanno la stessa validità di quelli professionali ma già rendono l’idea della richiesta di tecnologia in ambito psicologico. Esistono videogiochi con sensori progettati per allenare abilità quali il rilassamento, la concentrazione, la coordinazione. Per non parlare di quelli che promettono di monitorare la meditazione e le onde cerebrali, sui quali, come dicevo, siamo ancora un po’ indietro rispetto alle aspettative, ma che prima o poi appariranno sul mercato.
Attualmente il tuo cellulare, spesso al di fuori della tua consapevolezza, sta monitorando i tuoi spostamenti, quanti passi fai al giorno, se vai in palestra o meno, se ti muovi con i mezzi o in auto ecc. Oggi, se vuoi, per utilizzare uno smartphone e la Rete è necessario sacrificare parte della tua privacy, concetto che si sta modificando radicalmente, con profonde ripercussioni psicologiche. Sono convinto che di questa mole di dati (i famosi big data) possano usufruire non solo le grandi industrie per venderci qualsiasi cosa, come già accade, ma anche tutti noi a nostro vantaggio.
Mentre il diritto si occupa di comprendere come tutelarci da questo punto di vista, la psicologia dovrebbe pensare a quali sono e saranno le conseguenze psicologiche.
La crescita personale, come sempre, si lancia in avanti spesso fino a cadere nella banalità, come gli aggeggi del biofeedback casalingo descritto poco sopra, ma chi “cerca di guardare lontano” ogni tanto ci riesce davvero. Le nuove tecnologie non sono più dei giocattoli ad appannaggio degli adolescenti, tutti dovremmo imparare a usarle, questo è sicuramente un ottimo esercizio di auto-aiuto, soprattutto se dopo aver letto questa frase hai storto il naso e pensato: “Io non toccherò mai uno smartphone”. È ora di cambiare sguardo, presto o tardi quella cosa lì sarà la tua carta d’identità, il tuo portafogli. E forse il tuo assistente psicologico personale.
Questo articolo è di ed è presente nel numero 270 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui