Silvia Bonino

Meglio cooperare che aggredire

Spesso i piccoli mostrano comportamenti cooperativi con i coetanei. Come accade quando con un giocattolo conteso da due di loro finiscono per giocarci insieme.

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Gli esseri umani si distinguono dagli altri primati non solo per le loro caratteristiche cognitive uniche, ma anche per la loro ricchissima socialità. I due aspetti sono strettamente connessi e molti studiosi ritengono che la capacità di pensiero si sia evoluta proprio in relazione alla vita sociale, per la necessità di immaginarsi che cosa passava per la mente dei nostri simili. Questa ricca socialità si sviluppa sia in famiglia sia in altri gruppi, con adulti e coetanei. In particolare nelle interazioni con i coetanei accade facilmente che i desideri contrastanti pongano i bambini in conflitto. Prendiamo, per esempio, un bambino che si trova con altri coetanei nel nido ed è molto attratto da un bellissimo giocattolo tenuto in mano da un altro bimbo. (CONTINUA...)

Vi sono bambini che, spinti dal desiderio, vanno decisamente dal compagno e cercano di togliergli di mano l’oggetto ambito. Può accadere che il compagno ceda il prezioso gioco oppure che resista ai tentativi dell’intruso, e quindi difenda tenacemente il possesso del proprio giocattolo. Può allora accadere che l’invasore o il difensore o entrambi ricorrano all’aggressione fisica; trattandosi di bambini piccoli, vi possono essere colpi, pugni e talvolta anche morsi, con pianti e l’intervento degli educatori.

Molti adulti sono convinti che quella descritta sia la più frequente, se non inevitabile, situazione che si verifica quando due bambini desiderano entrambi la stessa cosa. La realtà, invece, è piuttosto diversa. Sono infatti molti i modi con cui i bambini cercano di risolvere queste situazioni, e la prevaricazione e l’aggressione non sono le più frequenti, anche se sono le più vistose. Di certo esse non sono la via più utile per ottenere un risultato soddisfacente. Non solo può succedere che il giocattolo, strattonato dai contendenti, si rompa, ma soprattutto si finisce per avere un vincitore e un perdente: di fatto uno dei due bambini non ottiene lo scopo desiderato. Nemmeno la soluzione, spesso adottata dagli adulti, di far giocare i bambini alternativamente è risolutiva, per un soggetto che ha una rappresentazione del tempo del tutto diversa da quella dell’adulto, molto vincolata all’immediato presente. Dire: «Adesso ci giochi tu per cinque minuti e dopo dai il giocattolo a lui» può essere una frase priva di senso per un bambino molto piccolo.

Alcuni bambini – tanti di più di quanto gli adulti comunemente pensino – risolvono queste situazioni in modo molto più gratificante: inventano un gioco in cui entrambi possano giocare con lo stesso giocattolo. È una soluzione non aggressiva definibile a pieno titolo “cooperativa”, sebbene si tratti di una cooperazione ancora limitata e sovente poco duratura, data l’età dei bambini, non ancora capaci di tener conto in modo differenziato del punto di vista dell’altro. Nonostante questi limiti, il termine “cooperazione” non è esagerato, perché si tratta pur sempre di agire insieme senza accapigliarsi. E, cosa assai importante, si tratta di ottenere un risultato positivo per entrambi i bimbi: non c’è un vincitore o un perdente, ma un’attività gratificante per tutti e due. 

Perché alcuni bambini riescono a mettere in atto soluzioni cooperative, più creative, intelligenti e soddisfacenti, invece di ricorrere all’aggressione? Entrano in gioco numerosi fattori. Un elemento molto importante è la fiducia in sé stessi, che nasce dall’aver fatto positive esperienze di fiducia negli altri, primi fra tutti gli adulti. Come hanno mostrato gli studi sugli stili di attaccamento, un bambino che stabilisce fin dai primi mesi di vita un buon rapporto con la persona che si prende cura di lui – anzitutto la madre, ma non solo lei – mostra anche fiducia nel mondo sociale e nella propria capacità di esplorarlo, nella convinzione che la realtà sia affrontabile e che vi sia sempre una base sicura su cui contare in caso di difficoltà. Bambini insicuri hanno invece paura di confrontarsi con il mondo esterno, che interpretano come minaccioso anche quando obiettivamente non lo è. Ma nello sviluppo dei bambini non contano solo gli adulti. Almeno dalla fine del primo anno di vita svolgono un ruolo importante anche i coetanei o quasi coetanei. Di fatto si impara a cooperare non tanto nel rapporto con gli adulti, con i quali le differenze di capacità e di ruolo sono troppo grandi, ma soprattutto nel rapporto con gli altri bambini e bambine. Se in passato questa esperienza avveniva con fratelli, cugini o vicini di casa, oggi avviene nel nido e nella scuola dell’infanzia. 

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È in questi contesti che il bambino può sperimentare situazioni di incontro positive, e anche di scontro, che sono determinanti per il suo sviluppo sociale. Sarebbe però un errore ritenere che basti mettere i bambini insieme perché le loro relazioni sociali si sviluppino in modo positivo, dando all’adulto una generica funzione di custodia. Egualmente, sarebbe un errore interpretare il ruolo dell’adulto come colui che interviene in continuazione e in modo direttivo nelle attività dei bambini. L’attiva presenza dell’adulto è, sì, indispensabile, ma per costruire il quadro generale in cui i bambini agiscono: dallo spazio fisico ai tempi della giornata, dalle diverse attività al tipo di comunicazione, dalle regole al clima emotivo. L’adulto, insomma, esercita il suo ruolo positivo non tanto attraverso un intervento continuo nelle attività sociali dei bambini, con il rischio di comportarsi come il classico elefante nella cristalleria, quanto nell’organizzare e garantire un clima sereno e attività adeguate.

Nello specifico, proprio riguardo alla cooperazione, le ricerche hanno mostrato che i bambini risultano maggiormente collaborativi là dove gli adulti esercitano un ruolo educativo forte ma indiretto, volto a progettare e costruire in maniera attenta l’ambiente di vita dei piccoli. In concreto, in questi climi educativi, anche nelle situazioni di potenziale conflitto per il possesso di un oggetto, come quella sopra descritta, i bambini sono maggiormente disponibili a cambiare l’attività che stanno facendo, includendo un altro bambino nel loro gioco. Per esempio, se stavano giocando da soli con un bambolotto, propongono al compagno una qualche attività comune («Io lo tengo in braccio e tu lo imbocchi»), senza timore di perdere il possesso del giocattolo e senza vedere in ogni altro bambino una minaccia. Si tratta allora, per gli educatori, di lavorare molto prima che i bambini siano presenti, per poi osservare attentamente che cosa succede durante il gioco e modificare eventualmente la loro programmazione. Tutto ciò richiede professionalità, nella consapevolezza che la responsabilità educativa è sempre dell’adulto. 

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo nell’Università di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2015).

www.silviabonino.it

Questo articolo è di ed è presente nel numero 274 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui