Giuseppe Riva

Mamme blogger

Opportunità e rischi nel raccontare la propria famiglia online

Sono molte le mamme che parlano dei propri figli sul web e ogni tanto incorrono in un’incriminazione per lesione della privacy. Al di là di questo eccesso, il problema è che rischiano di spacciare il loro bambino per ciò che vogliono vedervi, più che per ciò che egli sente di essere.

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Un fenomeno crescente anche in Italia è il “mommy blogging”, la scelta di molte mamme di raccontarsi e di raccontare le vicende della propria famiglia online. Scrivere un diario è sempre stata una pratica comune per tante mamme. La psicologia ha infatti dimostrato da tempo che organizzare attraverso la scrittura i propri ricordi, emozioni e pensieri aumenta il benessere individuale e riduce il livello di stress. E dato che oggi praticamente tutte le mamme sono digitali – secondo una recente ricerca di FattoreMamma il 98% è dotato di smartphone – passare dalla scrittura di un diario al racconto su un blog è un processo indolore.

La ricerca di FattoreMamma descrive anche il profilo tipico delle mamme blogger: hanno tra i 35 e i 45 anni, per la maggior parte sono neomamme e nei loro blog parlano di maternità, figli e di come coniugare l’esperienza dell’essere mamma con il proprio percorso professionale. In generale, la principale motivazione che le spinge a raccontarsi in un blog è il desiderio di condividere la propria esperienza e di confrontarsi con chi sta facendo un percorso di vita simile.

Esempi di successo ce ne sono tanti: da Mammafelice  a Nonsolomamma, a Mamme a Spillo. Al punto che numerose di queste mamme hanno trasformato l’essere blogger in una professione in cui guadagnare dei soldi tramite la sponsorizzazione di prodotti e servizi per bambini.

Ma quali sono le insidie nel raccontare le vicende della propria famiglia online? Qualche mese fa ha fatto notizia l’ordinanza del Tribunale di Roma (ordinanza del 23.12.2017, procedimento 39913/2015) che ha condannato una madre a rimuovere le immagini del proprio figlio sedicenne dai social media e a risarcirlo con 10 000 euro per il disagio generato dai continui post e commenti su di lui.

Sebbene la multa sia un precedente ancora unico in Italia, situazioni simili sono comuni, con diversi tribunali che si sono mossi per vietare alle madri di mettere online le foto dei propri figli minorenni e ordinare loro di rimuovere quelle esistenti. E situazioni analoghe riguardano anche personaggi famosi.

Per esempio, ha generato molta curiosità la decisione di Rocco, figlio di Madonna, di eliminare la madre dai propri profili social per il numero eccessivo di post e foto in cui la cantante dichiarava il proprio amore per lui. Per comprendere come sia possibile decidere di portare la propria madre in tribunale per una sovra-esposizione sui media digitali bisogna ricordare che cos’è l’adolescenza: un periodo in cui il giovane cerca di costruire la propria identità, cioè la consapevolezza di essere un oggetto unico e coerente, mediante un progressivo adattamento all’ambiente fisico e sociale in cui si trova.

L’adolescenza è, infatti, un lungo processo di costruzione della propria soggettività, che passa per la comprensione di chi sono e cosa voglio. Per riuscirci, l’adolescente si osserva da dentro (Io) e da fuori (Me) e grazie a questo processo diventa progressivamente consapevole delle proprie caratteristiche individuali (identità personale) e della posizione che occupa all’interno della società (identità sociale).

Infatti, a caratterizzare l’identità sono due dimensioni. La prima è l’identità personale, ossia la consapevolezza dell’insieme di caratteristiche che definiscono il soggetto: da quelle fisiche, come l’altezza e il colore degli occhi, alle caratteristiche di personalità, come l’introversione. La seconda è l’identità sociale, ovvero la consapevolezza di appartenere ai diversi gruppi sociali di riferimento.

In termini più semplici, attraverso l’identità sociale comprendiamo e valutiamo le caratteristiche dei diversi ruoli – figlio, studente, amico e così via – che ciascuno di noi incarna ogni giorno. È evidente che la famiglia giochi un ruolo centrale nel permettere all’adolescente di comprendere la propria identità personale e di testare diverse identità sociali.

E in questo processo, che tipicamente avviene per prove ed errori, raccontare le vicende dei propri figli su un blog può generare diversi problemi. Il primo è dato dalla struttura narrativa del blog, che porta la mamma a descrivere i propri figli e i loro problemi dal suo punto di vista e non da quello dell’altro. Il risultato finale è una storia dei propri figli che non necessariamente li descrive, ma che piuttosto riflette l’immagine che abbiamo o che vorrebbero che avessero.

In particolare, i genitori hanno spesso difficoltà a rendersi conto dei cambiamenti dei figli e sono portati a pensarli e descriverli come se fossero sempre dei bambini. In quest’ottica il blog crea e condivide socialmente una storia dei propri figli, con la quale l’adolescente deve necessariamente confrontarsi, che può essere molto diversa da quella che il figlio vorrebbe seguire, generando sensi di colpa – “Io non sono come mia madre sperava” – e/o incomprensioni – “Non voglio essere come vuole mia madre”.

Per esempio, Madonna pubblicava sui social immagini del figlio Rocco bambino e preadolescente, con acconciature buffe ed espressioni infantili che entravano in conflitto con l’immagine di soggetto adulto e indipendente che Rocco stava cercando di costruirsi.

A questo si aggiunge la difficoltà di molte madri nell’accettare di separarsi dai propri figli. Con situazioni apparentemente paradossali, come quella di Cristina Giordana, madre di Luca Borgoni, ragazzo torinese di 22 anni morto in una gita in montagna, la quale per mesi, dopo la morte del figlio, ha continuato a pubblicare post sui social a nome di costui.

È dovuto intervenire Facebook per trasformare il profilo in una pagina commemorativa e bloccare i nuovi post della madre. Solo che un’attenzione eccessiva può spingere il figlio ad accentuare il desiderio di allontarsi e di conquistare una propria autonomia, oltre ad aumentare i conflitti.

Il secondo problema del blog è che rende visibile ed esplicito il conflitto, impedendone una gestione privata. Con il rischio che nelle scelte non conti più solo l’altro, ma pure l’opinione del pubblico che legge e commenta i post, e quindi che le parti coinvolte agiscano anche in modo da non perdere socialmente la faccia. Il risultato è un effetto valanga: questioni che privatamente sarebbero finite velocemente con un chiarimento e un abbraccio finale possono diventare delle vere e proprie questioni di principio, in grado di scavare fossati difficilmente colmabili. 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 267 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui