Redazione Psicologia Contemporanea

Luca Mazzucchelli intervista Umberta Telfener

Con un’esperta di relazioni di coppia, vediamo quali sono le dinamiche disfunzionali che tanto spesso oggi affliggono le relazioni sentimentali. Relazioni dove la colpa non è mai da una parte sola.

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La prima domanda che vorrei farti è cosa s’intende per “relazione tossica”.

Una relazione invischiatissima dalla quale è impossibile uscire. Potremmo quasi parlare di co-dipendenza: lo stare insieme sembra inevitabile, malgrado la relazione faccia male. In una relazione tossica ci sono due persone che, per ragioni anche molto differenti, non riescono a lasciarsi. È da più di quarant’anni che lavoro con le coppie, ne ho viste tantissime e in questo momento posso dire che le relazioni tossiche sono aumentate. Assisto a due fenomeni opposti: coppie che fanno tante cose insieme, dopodiché uno dei due se ne va a comprare le proverbiali sigarette e non torna più, oppure relazioni assai invischiate. Queste ultime si presentano con due sintomi principali: litigi frequentissimi, anche su temi banali e futili, e accuse che squalificano il/la partner. Per esempio, l’altro giorno ho visto una coppia che ha deciso di lasciarsi. Invece di parlare di dove andare a vivere o di come organizzarsi con i figli, lui raccontava senza tregua tutti gli aspetti stressanti del carattere di lei: era un tentativo di tagliarle le gambe per non farla parlare della separazione. Tornando un attimo ai litigi, in queste coppie l’intimità è raggiunta sui contrasti: si fa l’amore dopo il litigio, ma non si riesce a fare l’amore perché si ha desiderio. In sostanza, si confonde il pathos del litigio col pathos della sessualità. Mostrare il proprio desiderio diventa spesso un segnale interpretato da sé stessi come debolezza. Si tratta di relazioni tra persone immature psichicamente. Ci sono anche una forte violenza verbale e fisica, una frequentissima mancanza di fiducia, gelosia, la convinzione che l’altro ci lascerà ineluttabilmente. E queste paure non dipendono dal comportamento dell’altro, ma dalla propria insicurezza o da un imprinting di abbandono alquanto precoce. Entro le relazioni tossiche abbiamo due giochi individuali, due persone che fanno i conti ciascuna con sé stessa, non con l’altra. Ognuno è ossessivo rispetto alle proprie fantasie, alle proprie paure e ai propri deliri personali.

Ci sono delle personalità per le quali è più facile sviluppare relazioni tossiche?
Non amo parlare di “personalità”. Non mi è mai capitato, in quarant’anni che faccio questo mestiere, che la responsabilità di una relazione fosse solo da una parte. La responsabilità di una relazione è al 100% di ognuno. In una coppia, quindi, non ci sono colpevoli o vittime, ma due persone che danzano come sanno danzare. Per questo non mi piacerebbe parlarti di “dipendenti” o di “narcisisti”, mi sembra una trappola troppo facile. Diciamo che in queste relazioni troviamo donne e uomini egoisti, prepotenti, insicuri. Molto spesso rintracciamo un imprinting di abbandono. Un abbandono può essere vissuto anche se una mamma, dopo una relazione molto stretta per cinque, sette, otto mesi, di colpo si va a occupare di un genitore che si è ammalato, o si coinvolge in una storia extraconiugale, o si ammala. Questi aspetti di abbandono precocissimo non ci verranno mai raccontati in terapia. Li dobbiamo andare a cercare, e non emergono attraverso la narrazione, ma grazie a strumenti non verbali, come agiti o storie co-costruite dalle quali poi emergono dei significati.

Quando hai a che fare con queste coppie in terapia, lavori di più per cercare di tenerle insieme o per aiutarle a separarsi? Possono stare insieme le persone con le caratteristiche che mi hai detto prima?
È una domanda difficile. Naturalmente, ti dicono loro cosa vogliono fare. Comunque, quando le persone ammettono che la relazione è tossica siamo già a metà dell’opera. Credo che tante relazioni tossiche debbano passare da un momento di allontanamento, che sia fisico o psichico. È molto facile chiedere a una coppia ricca di separarsi anche fisicamente per uscire dalla ineluttabilità della relazione, fare i conti con la propria paura di rimanere soli e promuovere uno sviluppo personale. Altre coppie basta che si allontanino solo psichicamente, facendo un po’ di più ognuno la propria vita o lavorando su aspetti differenti di sé. Infatti, le persone in queste coppie non sono identiche, anzi a volte abbiamo un persecutore e una vittima, altre volte solo un egoista e l’altro che, pur di rimanere, protegge e nasconde quello che sta avvenendo.

In base alla tua esperienza, in che modo le persone che sono all’interno di una relazione tossica possono trovare una via d’uscita? Qual è la resistenza più forte?
La resistenza più forte molto spesso è l’inconsapevolezza. Una delle due persone agisce il proprio egoismo, la propria presunzione, la propria tirannia, mentre l’altra resta invischiata con una fantasia. C’è un modo per uscirne? Credo che noi terapeuti possiamo indicare chiaramente dei segnali cui prestare attenzione, cioè mettere in guardia dal rischio di entrare in questo tipo di rapporti, che spessissimo sono dei rapporti in cui la vittima presuntuosamente pensa di rimanere volendo che l’altro cambi. C’è il mito del cambiamento, o il mito del «lo/la rivoglio come i primi tre mesi»: io dico ai miei pazienti che quella persona non tornerà mai com’era. La cosa interessante, sempre come terapeuti, è quella di andare a vedere l’“incastro”, perché c’è quasi sempre un incastro che mantiene uniti. Eccone alcuni esempi: «Io ti salverò», «Io ho avuto un padre identico a te e, facendo i conti con te, ho la fantasia di fare i conti anche con mio padre», «Ho visto questa relazione a certi livelli tra mamma e papà, e quindi ci voglio entrare fino in fondo perché quando ero piccola la sentivo ma non la capivo». In sostanza, più la persona si comporta in quel modo e più permette al partner di comprendere aspetti di sé. Anche il guadagno secondario nel restare invischiati nella relazione va trovato ed esplicitato.

È sempre necessaria una terapia di coppia all’interno di una relazione tossica? Oppure ogni tanto può bastare intervenire anche sul singolo e, se cambia lui, poi qualche cosa si può smuovere anche nella coppia?
Proprio perché non do mai la responsabilità a uno solo, direi che se si lavora singolarmente devono lavorare tutti e due, ma a quel punto è molto importante che i due terapeuti siano in contatto. Infatti, ci sono delle relazioni tossiche che non possono venire sciolte: come i nodi gordiani, si possono solo spezzare. Nella terapia di coppia non ci occupiamo solamente dell’aspetto comportamentale, perché se restiamo a quel livello non sollecitiamo alcun cambiamento. Piuttosto, lavoriamo sul rapporto tra l’aspetto comportamentale e, per esempio, l’aspetto mitico di una coppia: la relazione tra questi aspetti ci dà delle informazioni.

Intorno ai protagonisti della relazione tossica ci sono altre persone – i figli, gli amici, i familiari  – che comunque entrano in contatto con il veleno dei due partner. Tu quali consigli ti senti di dare a chi vive vicino a persone che hanno una relazione tossica?
È importantissimo che i figli non vengano messi in mezzo. Gli insegnanti, gli psicoterapeuti, i medici che frequentano la coppia e hanno accesso a tale narrazione devono tenere i figli fuori. Infatti, i figli adulti che hanno vissuto delle relazioni tossiche le riproducono, se le vanno a cercare, come un tossico cerca l’eroina. Gli amici possono parlare chiaramente, purché non pensino che questa relazione possa essere sciolta in termini razionali. Però, se c’è violenza, possono mettere in sicurezza uno dei due, o imporre che ci si lasci, o dare dei consigli. Insisto parecchio sulla differenza tra i terapeuti e gli amici: la psicoterapia è un’operazione riflessiva che non lavora sui dati crudi, mentre gli amici lavorano sui dati crudi e prendono delle posizioni che sono inevitabilmente ingenue. Quindi, agli amici suggerirei: non provate a risolvere il problema, ma state vicini emotivamente.

Perché le relazioni tossiche sono in aumento?
È aumentata la paura dell’amore e si è perso l’erotismo. Una risposta più completa a questa domanda si trova nel mio libro Letti sfatti (Giunti, 2018) che parla di ciò che sta succedendo nella nostra società ipermoderna, in cui il rapporto con l’amore è completamente cambiato. Da una parte c’è una grande paura di coinvolgersi, dall’altra il rischio di coinvolgersi in rapporti assai faticosi perché ognuno ci mette dentro le sue nevrosi, paure e idiosincrasie.

I fatti di cronaca sempre più frequentemente riportano esempi di relazioni tossiche finite in modo tragico. Credi che possano esistere delle contromisure a livello sociale o individuale per prevenire queste tragedie?
Sicuramente i bambini a scuola dovrebbero essere alfabetizzati all’educazione non violenta, e andrebbe insegnata la comunicazione non violenta. Poi, metterei in guardia le donne da uno “sport” che praticano ultimamente, quello di parlare male degli uomini: ciò sta creando un divario e una separazione molto netti tra maschi e femmine, che fanno male alla nostra cultura. Ancora, metterei in guardia le donne dall’onnipotenza. In molte di queste storie le donne, a livello di pancia, si accorgono del rischio di pericolosità del partner, eppure insistono, provano a convincere, si mettono in situazioni a rischio. Il libro Ferite a morte di Serena Dandini (Rizzoli, 2013) racconta questo tipo di relazioni e secondo me andrebbe letto nelle scuole. Infine, credo che se i maschi cominciassero a incontrarsi tra loro e a poter piangere, a parlare di emozioni e a confrontarsi, ci sarebbe un cambiamento sociale meraviglioso.

Umberta Telfener, psicologa clinica, insegna Epistemologia e Psicoterapia sistemica alla Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute alla Sapienza – Università di Roma.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 272 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui