Alessandra Salerno

Le nuove famiglie

Sono sempre più diffuse forme alternative di famiglia, con o senza figli. E la società risulta averle ormai accettate. 

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Cos’è una famiglia normale? Quali sono le sue caratteristiche? Quali i criteri che possono indicare gli aspetti sani o disfunzionali di un nucleo familiare? Ecco alcuni dei quesiti che tutti coloro che si sono avvicinati allo studio, alla ricerca o all’intervento clinico con le famiglie si sono certamente posti e ai quali difficilmente viene data una risposta univoca.

La definizione che in campo scientifico ha messo d’accordo tutti è stata proposta dalla studiosa americana Froma Walsh, la quale afferma che la famiglia normale è quella che presenta un “buon funzionamento”, ovvero che si rivela capace di riorganizzarsi a seguito di ogni evento critico che incontra durante il suo ciclo vitale, riuscendo a trovare un nuovo equilibrio relazionale atto a consentire a tutti i suoi componenti di affrontare in maniera sana la nuova fase che inizia (Walsh, 1995). 

Per osservare e riflettere sui cambiamenti familiari non possiamo non partire dai mutamenti che hanno investito innanzitutto la coppia, intesa come punto nevralgico dell’intera impalcatura familiare (Andolfi, 2003): molte delle attuali tipologie familiari scaturiscono infatti dalle trasformazioni di precedenti forme relazionali che danno vita e impulso ad altre configurazioni, ove gli elementi distintivi sono legati alla discontinuità e alla precarietà dei legami, alla disgiunzione di funzioni fino ad oggi ritenute intrinseche l’una all’altra (genitorialità e coniugalità), a mancate transizioni che non determinano più blocchi o stalli bensì incastri relazionali alternativi (Bastianoni e Taurino, 2007).

Proviamo allora a delineare le peculiarità e le principali caratteristiche di alcune delle nuove “forme del vivere insieme” (Salerno, 2010).

 

LE FAMIGLIE RICOSTITUITE FRA APPARTENENZA E SEPARAZIONE

La prima alla quale vogliamo dare attenzione è la cosiddetta famiglia ricostituita, ossia quel nucleo composto da una coppia nella quale almeno uno dei partner (spesso entrambi) ha già avuto una precedente unione dalla quale sono nati dei figli. Quella ricostituita, pur rientrando tra le nuove forme familiari, è una famiglia che, in un certo senso, tutti conosciamo sin dalla nostra prima infanzia: rientrano in questa categoria, infatti, le famiglie delle protagoniste delle nostre fiabe più amate: Cenerentola e Biancaneve sono cresciute, loro malgrado, in famiglie nelle quali uno dei due genitori ha sposato una nuova partner iniziando una difficilissima convivenza dove i temi della rivalità, della gelosia e della sopraffazione hanno prevalso su altri.

Fortunatamente nella società attuale questa forma familiare è stata sempre più sdoganata anche dai mezzi di comunicazione; oggi non esiste fiction televisiva nella quale non siano presenti ex coniugi, nuove coppie, fratellastri e così via. È dunque frequente sentire bambini anche molto piccoli parlare di “casa di papà” o di “casa di mamma”, della “fidanzata di papà” o del “nuovo compagno della mamma”. 

L’aspetto più interessante di queste famiglie è la compresenza di ruoli da un lato sovrapponibili, dall’altro necessitanti di rimanere ben distinti, a cominciare da quello genitoriale. La disgiunzione di funzioni cui si accennava in precedenza, in questa forma familiare è perfettamente visibile: la nuova coppia condivide il piano coniugale ma non quello genitoriale, che viene invece spartito con l’ex partner, genitore dei propri figli.

Anche il sottosistema dei fratelli si delinea in maniera originale, in esso coesistendo legami biologici e sociali; chi nel nucleo d’origine è il primogenito può non esserlo più in quello ricostituito, se si è stati a lungo dei figli unici, adesso si condivide il sistema della fratria con altri bambini, e così via. Nel caso in cui, poi, la nuova coppia decida di mettere al mondo un figlio, questo sarà l’unico, in tutta la famiglia, ad avere un legame di sangue con tutti.

 

LA FAMIGLIA MISTA: UN PONTE FRA DUE CULTURE

Gli studiosi appaiono concordi nel ritenere che le principali ragioni alla base delle trasformazioni familiari debbano essere inquadrate nel più ampio contesto sociale e studiate secondo un’ottica che tenga conto di una complessa trama di aspetti storici, sociali, interpersonali e soggettivi. In questo scenario si colloca la famiglia interculturale, un fenomeno che spesso coinvolge individui provenienti da Paesi a forte pressione migratoria e che è destinato a diffondersi sempre di più.

Nella loro fase iniziale, quella della formazione della coppia, queste unioni incontrano di frequente alcuni ostacoli che le coppie con unione mono-culturale non vivono, a partire dalla reazione delle famiglie dei due partner che «è inizialmente di sorpresa, tramutandosi in “shock” quando le differenze con il partner sono molto evidenti o quando esistono differenze alle quali la famiglia di origine attribuisce un’importanza fondamentale.

Una delle preoccupazioni più comuni è che il figlio possa perdere il contatto con la cultura di origine, che la sua identità e quella della famiglia possano essere “contaminate” dal contatto con un mondo diverso dal proprio» (Garro et al., 2013, p. 22). È dunque necessario, per queste coppie, costruire una propria identità familiare attraverso una negoziazione delle rispettive visioni dell’essere coppia e famiglia, un fare comune e condiviso a partire dagli aspetti più semplici della vita quotidiana.

In questo processo risulta indispensabile riconoscere le differenze, prendersi cura del legame di coppia e accettare l’originaria e incancellabile differenza che caratterizza qualsiasi unione coniugale. Di grande rilevanza per l’identità stessa della coppia è la transizione alla genitorialità, che consente di acquisire consapevolezza sulla complessità della relazione interculturale e che sollecita aspetti che vanno oltre la relazione coniugale: facilmente emergono, infatti, paure o competizioni tra le famiglie di origine in merito all’“accaparramento” del bambino a cui poter tramandare il proprio bagaglio culturale, conflitti a proposito della scelta del nome da dargli, della lingua principale con la quale verrà cresciuto, del credo religioso di riferimento.

Molteplici sono anche gli aspetti di risorsa di tali famiglie e, in particolare, delle generazioni più giovani, le quali, proprio grazie all’appartenenza a famiglie bi-culturali, hanno la possibilità di far propria una prospettiva multirazziale e di sviluppare migliori capacità relazionali, mostrando sovente di possedere un approccio più pluralista e cosmopolita, che nella società attuale non può che agevolarle.

 

MANCATE TRANSIZIONI E NUOVE FORME DEL "VIVERE INSIEME"

La recente letteratura scientifica pone inoltre l’attenzione su alcuni aspetti peculiari dei moderni legami di coppia che contengono spesso elementi contraddittori e a volte paradossali; tra questi vogliamo concentrarci sul tema della fragilità del legame stesso e sulla coesistenza di desiderio/ricerca di una genitorialità “a tutti i costi” e scelta di non avere figli.

Riguardo al primo punto, l’aspetto di instabilità e precarietà che caratterizza oggi il rapporto amoroso viene frequentemente indicato come il fattore determinante i cambiamenti nella famiglia attuale ed è di certo alla base della coppia definita LAT (Living Apart Together): si tratta di una forma di relazione molto più diffusa di quanto si possa pensare, la cui peculiarità è la scelta dei due partner di non convivere, preferendo mantenere due differenti abitazioni per quanto spesso condivise per brevi periodi (weekend, vacanze ecc.). Si tratta quindi di una relazione di coppia affettiva e sessuale tra due persone che si considerano una coppia stabile e che come tale sono riconosciute dagli altri; la relazione LAT ha infatti caratteristiche di monogamia e stabilità e non è percepita come relazione aperta o precaria.

Cosa c’è alla base di tale configurazione relazionale? È importante distinguere quelle coppie nelle quali la convivenza è desiderata ma resa impossibile da eventi o particolari circostanze di vita, dalle coppie LAT, tali per scelta: nella prima categoria rientrano, per esempio, uomini e donne separati o divorziati con figli piccoli dei quali hanno l’affidamento; la loro vita quotidiana è dunque organizzata intorno agli impegni familiari con i bambini e ritengono importante non stravolgerla con l’ingresso di un nuovo partner – estraneo, per i figli –, che implicherebbe la ricerca di un nuovo assetto. Anche altri legami familiari possono condizionare tale scelta, per esempio la presenza di genitori anziani o malati dei quali il soggetto sente di avere la responsabilità e che, grazie alla relazione LAT, non sono costretti a modificare abitudini e stili di vita.

La coppia che invece decide intenzionalmente di mantenere due differenti contesti abitativi è spinta da altri presupposti: gli studi in merito (Salerno, 2010) affermano che spesso queste persone individuano dei potenziali rischi per la loro relazione nella convivenza, primo fra tutti il dover sacrificare indipendenza e autonomia, per loro ritenute fondamentali; questa sembra essere una ragione particolarmente frequente soprattutto tra le donne che affermano di avere la consapevolezza che, una volta iniziata una convivenza, ogni aspetto della gestione della vita quotidiana ricadrebbe prevalentemente su di loro e che, per tale ragione, ritengono indispensabile mantenere i propri spazi individuali.

Altre motivazioni riguardano infelici esperienze matrimoniali precedenti che spesso hanno avuto come esito separazioni particolarmente conflittuali; in tal senso, la percezione che in passato si sia investito troppo sul rapporto di coppia e poco sulla propria individualità e che si siano sacrificate parti di sé in nome di una relazione in seguito rivelatasi fallimentare conduce spesso alla scelta LAT, in grado di mettere questi soggetti al riparo da un coinvolgimento eccessivo, consentendo loro di mantenere uno spazio individuale, costituito da tempi e luoghi non necessariamente condivisi con il partner, pur investendo in termini affettivi e relazionali nel rapporto di coppia (Salerno, 2010).

FAMIGLIE “LIBERE DA FIGLI”

L’evento che per eccellenza segna la costituzione di un nucleo familiare è la nascita dei figli: nella percezione di molte persone la coppia non si può definire famiglia se non quando accoglie al suo interno una nuova generazione. Cosa accade quando tale transizione è volutamente negata? Quando la genitorialità non rientra nei progetti, nei desideri, nelle scelte dei due partner? Siamo di fronte al fenomeno delle coppie childfree, unioni caratterizzate da un non-evento.

In un Paese come l’Italia, forse più che in altri, la sterilità volontaria rimane un concetto di difficile comprensione e di ancor più problematica accettazione, dato il legame indissolubile tra femminilità e maternità, e tra matrimonio e genitorialità. La coppia childfree sceglie di non avere bambini per una serie di ragioni relative al lavoro, ai costi, al rapporto di coppia evidentemente ritenuto non del tutto stabile, alla mancata volontà di modificare uno stile di vita “individualista”.

Gli studi mostrano che, sebbene al loro interno queste coppie vivano con grande serenità la scelta, lo stesso non si può dire rispetto al contesto sociale e familiare nel quale si trovano immerse, dichiarando la loro difficoltà nel trovarsi costrette a convincere gli altri della inconvertibilità della loro decisione, nel dover fronteggiare la scarsa considerazione attribuita alle loro motivazioni, nel dover dover combattere gli stereotipi legati al concetto di scelta childfree come devianza e anormalità.

Con grande sofferenza spesso questi soggetti si trovano a dover spiegare ad amici e parenti che la loro decisione non è dovuta né a sterilità né, per le donne, all’assenza del tanto sopravvalutato istinto materno, che non si tratta di rifiuto o incapacità di provare amore nei confronti dei bambini o, ancora, di un interesse eccessivo per la carriera e il successo. Semplicemente, quello genitoriale non è un progetto che prevedono per la loro vita, la quale risulta, a differenza di quello che si possa pensare, piena e soddisfacente tanto quanto quella delle coppie con figli.

È importante concludere che, sebbene lo scenario attuale veda una molteplicità di nuove forme relazionali, queste si affiancano, senza mai sostituirla, alla famiglia tradizionale, che continua a restare prevalente nel nostro Paese. Per quanto siano a volte inaspettate e difficili da comprendere, la società, e non solo gli addetti ai lavori, sembra ormai pronta ad attraversare il cambiamento e ad accogliere le nuove unioni: basti pensare a come la famiglia viene rappresentata nelle pubblicità, nelle fiction televisive o nelle produzioni cinematografiche (Salerno e Lena, 2017) per verificare che le coppie di fatto, le famiglie ricostituite, miste, omogenitoriali ecc. sono già presenti nell’immaginario collettivo e dunque già note e parte della nostra quotidianità.

 

Riferimenti bibliografici

Andolfi M. (2003), Manuale di psicologia relazionale, Accademia di Psicoterapia della Famiglia, Roma. 

Bastianoni P., Taurino A. (a cura di, 2007), Famiglie e genitorialità oggi. Nuovi significati e prospettive, Unicopli, Milano.

Garro M., Salerno A., Sciortino D. (2013), «Indovina chi viene a cena? Questioni psico-socio-giuridiche nel ciclo vita della coppia mista», Psicologia di Comunità, 1 (1), 21-34. 

Salerno A. (2010), Vivere insieme. Tendenze e trasformazioni della coppia moderna, Il Mulino, Bologna.

Salerno A., Lena A. (2017), «Prodotto famiglia. Trasformazioni sociali e relazionali attraverso la pubblicità», Terapia Familiare, 114, 61-80.

Walsh F. (a cura di, 1995), Ciclo vitale e dinamiche familiari (trad. it.), Franco Angeli, Milano.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 268 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui