Giorgio Nardone

L'arte di un buon inizio

Per raggiungere uno scopo che ci siamo prefissi bisogna programmare una strategia che preveda tutto ciò che è necessario per il conseguimento. Vediamo alcune proposte al riguardo.

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«Anche il più lungo dei viaggi comincia con un piccolo passo», come ci indica l'antica saggezza cinese con le parole di Lao Tse. Il problema è scegliere bene il primo passo; difatti, nella stragrande maggioranza dei casi, le persone sanno quello che vogliono ma non sanno bene come ottenerlo, oppure sanno come ottenerlo ma sbagliano nel muoversi in quella data direzione. L'errore più frequente è proprio nell'inizio dell'agire verso lo scopo desiderato. 

Questo, in virtù del fatto che, o spinte dall’entusiasmo, accelerano troppo il processo e vanno fuori strada, o al contrario, limitate dalla paura, incedono troppo lente e insicure. O ancora, convinte troppo delle proprie teorie, procedono senza considerare i feedback di ogni loro azione e finiscono per inciampare su ciò che non hanno considerato.

C’è poi chi, che per paura di sbagliare, rimane bloccato come l’asino di Buridano e, posto in mezzo a due bisacce di fieno, non sa decidere quale delle due iniziare a mangiare, finché non muore di fame. Insomma, dare il via a un processo composto da una serie di azioni per raggiungere un obiettivo sembra essere una cosa semplice, ma il più delle volte è qualcosa di ingannevole o fonte di dubbi e timori.

Pertanto, imparare a valutare strategicamente come dare avvio a un progetto, appare un argomento decisamente rilevante, anche se usualmente poco considerato: sembrerebbe, infatti, ovvio fare ciò che viene spontaneo, ma questo per certi aspetti è ancora più ingannevole poiché la spontaneità non è altro - per dirla con Nietzsche - che «l'ultimo apprendimento diventato acquisizione» e farsi guidare da lei nella convinzione che sia una nostra naturale propensione non influenzata dalle nostre esperienze è davvero una pia illusione che rende l'affisarsi ad essa poco affidabile.

Non è un caso, pertanto, che ci sia una vasta letteratura relativa, oltre che al decision making, anche allo strategies planning; la pianificazione di una strategia prevede di valutare tutto ciò che è necessario realizzare per raggiungere una finalità prevista

La teoria più rilevante al riguardo è la “teoria dei giochi” di von Neumann, il quale nella prima metà del secolo scorso formulò con il rigore del logico e del matematico un modello strategico per la pianificazione delle azioni da intraprendere composto da tattiche, tecniche e singole manovre atte a raggiungere la vittoria di un gioco.

Ciò che rende ancora attuale la teoria dei giochi è il fatto che inviti a mettere a punto la strategia non sulla base di una teoria da rispettare nel pianificare le azioni, bensì sul fatto che quest’ultima venga a costruirsi in virtù dell’obiettivo da raggiungere. La teoria, inoltre, si autocorregge nell’interazione con gli effetti che produce; in altri termini, come nel gioco degli scacchi, ogni mossa si adatta alle contromosse dell’avversario e dunque non si irrigidisce mai su ciò che si dimostra inefficace.

Dalla prima formulazione di von Neumann i modelli strategici si sono evoluti in diverse direzioni e applicazioni disciplinari: dal mondo dell’economia a quello della medicina, da quello degli studi strategici a quello della psicoterapia, da quello della comunicazione a quello delle dinamiche intrapsichiche.

Purtroppo negli ultimi anni, sulla scia di un utilizzo estremo della operazionalità statistica, a tutto questo il più delle volte si sostituisce un algoritmo standardizzato, il quale, se può essere più efficiente, spesso corre però il rischio di non essere efficace, poiché non calzato alla specifica realtà e allo specifico contesto applicativo, oppure perché incapace di autocorreggersi sulla base dei feedback della sua stessa applicazione.

Si dovrebbe considerare che l’efficienza, ossia il rapporto tra lo sforzo impiegato e il risultato ottenuto, è qualcosa che si può considerare solo ad efficacia garantita, cioè sul riscontro della capacità di raggiungere effettivamente lo scopo. Quindi, focalizzarsi più sull’efficienza che sull’efficacia risulta essere un errore metodologico, come mettere il carro davanti ai buoi. Questo è un effetto dell’eccessiva fiducia che negli ultimi decenni è riposta nei procedimenti di quantificazione delle procedure e dei processi atti a raggiungere scopi prefissi.

Ciò che tuttora appare il metodo strategicamente più valido e attendibile per mettere a punto una strategia una volta stabilito un obiettivo da raggiungere, è uno strumento operativo che gli esseri umani hanno realizzato millenni or sono e che Paul Watzlawick ha denominato «tecnica dello scalatore» (Nardone, 2008): si riferisce alla metodica utilizzata da sempre dalle guide alpine per costruire il percorso più  funzionale per raggiungere una cima.

Se il metodo può apparire davvero molto semplice, la sua realizzazione lo è assai meno, ma la sua efficacia, una volta applicato, è davvero alta. Si tratta, come da indicazione di von Neumann, di prendere avvio non dal punto di partenza, bensì dal punto di arrivo del nostro viaggio.

In altri termini, si ponga alla cima di un immaginario picco montano l’obiettivo da raggiungere e si immagini lo scenario che lo rappresenti; ovvero quale sarebbe la realtà in tutte le sue caratteristiche, una volta raggiunto lo scopo prefisso e quali sarebbero tutti i cambiamenti da realizzare per concretizzarlo.

Una volta effettuata questa opera di immaginazione strategica, si immagini il percorso a ritroso dalla cima del picco che corrisponde all’obiettivo al passo subito prima, al passo subito dopo quello subito prima, gradualmente tornando così indietro fino al punto in cui ci troviamo attualmente. Così facendo, si costruisce, dal punto di arrivo al punto di partenza, tutta la serie di micro-obiettivi da conseguire, fino a individuare il più piccolo cambiamento concreto da mettere in atto come buon inizio del percorso che ci porterà a realizzare lo scopo desiderato. 

Come il lettore può ben intendere, questo è un metodo controintuitivo per pianificare una strategia preposta a raggiungere un obiettivo stabilito che sia strutturata sulla base delle caratteristiche della meta da raggiungere e di tutti i passi necessari per giungervi senza perdersi e per individuare il migliore degli inizi secondo l’indicazione del filosofo e teologo Guglielmo di Ockham, «Tutto ciò che può essere fatto con poco, invano viene fatto con molto». 

 

Riferimenti bibliografici

NARDONE G. (2008), Problem solving strategico, Ponte alle Grazie, Milano.

Giorgio Nardone, fondatore, insieme a Paul Watzlawick, del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, è internazionalmente riconosciuto sia per la sua creatività che per il suo rigore metodologico.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 265 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui