Caterina Arcidiacono

L’approccio della psicologia sociale e di comunità: cambiamenti e contesti globali

Le interazioni tra individui e ambiente sociale sono al centro di indagini diversificate e in continua evoluzione, che ricorrono a costrutti come l’empowerment, la resilienza, il mattering ovvero la fiducia, la speranza, la generatività

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La psicologia sociale è, sin dalle origini, uno strumento per leggere la relazione individuo-contesto e gruppi. Questo articolo, senza presumere di fornire un repertorio analitico dell’intera disciplina, vuole argomentare i suoi contributi più recenti per la comprensione dei processi sociali nell’approccio della psicologia di comunità, descrivendo costrutti e metodologie d’analisi e intervento utili a delineare nuovi scenari globali di salute per tutti.

UNA BREVE STORIA

La psicologia sociale del secolo scorso ha dato una spiegazione scientifica dei comportamenti dell’individuo nei contesti collettivi. Al confine con l’Ottocento, Wundt (1900), ritenuto il fondatore della psicologia sperimentale, con l’opera enciclopedica sulla psicologia dei popoli apre lo sguardo sulle caratteristiche soggettive delle persone di società differenti, sul rapporto tra i fatti oggettivi e la loro percezione. Kurt Lewin (1948) negli anni Quaranta propone una lettura innovativa dei fenomeni umani analizzando il variare dei comportamenti nelle diverse condizioni ambientali: il suo intervento con gruppi di discussione composti da casalinghe per promuovere nella popolazione civile l’uso di carne di seconda scelta in tempi di guerra ha aperto un nuovo stile di ricerca e di intervento.

Per l’interpretazione dell’influenza dell’altro e dell’altro sociale nei comportamenti individuali, la ricerca in psicologia sociale ha offerto importanti costrutti quali Rappresentazione, Atteggiamento, Attribuzione, Stereotipo e Pregiudizio. Essi descrivono variabili che influenzano il comportamento individuale in relazione a dimensioni condivise non sempre evidenti. Per esempio il pregiudizio sottile (Pettigrew e Meertens, 1995) descrive e spiega quei comportamenti di apparente accettazione che invece nascondono una discriminazione “sottile” verso l’altro: «Io non sono razzista ma preferirei che mia figlia sposasse un bianco». Pregiudizio sottile, appunto: non c’è una discriminazione formale, ma siamo in presenza di un comportamento discriminante.

E ancora, se facciamo riferimento alla lettura condivisa della realtà da parte dei diversi soggetti, il contributo geniale di Moscovici (1984, 2000) e dei suoi epigoni ha aperto la strada per leggere i fenomeni sociali nell’interpretazione che le persone ne danno e ci spiega come la rappresentazione di un evento diventa più significativa delle variabili oggettive che lo caratterizzano.

Anche l’azione dei ruoli sociali sull’individuo che li assume spiega come l’individuo modella il proprio comportamento. In proposito è noto l’esperimento di Zimbardo, magistralmente descritto nel film Effetto Lucifero, in cui studenti posti nel ruolo di guardie carcerarie abusano del proprio potere con studenti posti nel ruolo di detenuti.

Gli studi fin qui citati aprono alla comprensione degli eventi sociali, i fatti, nella interpretazione di individui e gruppi. Tale approccio unito al contributo della psicologia culturale nelle sue diverse declinazioni (Vygotskij e Cole, 1978; Mantovani, 2004) pone l’attenzione sul ruolo dei diversi fatti culturali, propri dei contesti, delle organizzazioni e delle società, e porta il lettore a indagare i fenomeni psicologici fuori dalla sfera dell’Io mostrando quali fattori interferiscono nella costruzione della relazione tra l’Io e l’altro, il noi e gli altri. Alcuni di essi hanno origine all’interno della disciplina, quali i costrutti di empowerment, resilienza e mattering, altri invece s’inscrivono in una lettura multidisciplinare dei fenomeni individuali e sociali, come vedremo più avanti.

EMPOWERMENT

L’empowerment è un costrutto di matrice statunitense che spiega e definisce gli obiettivi dei processi di cambiamento sociale; dà voce alle risorse positive e alla costruzione di processi di potenziamento dei singoli e dei gruppi. A livello collettivo l’empowerment è «un processo intenzionale e continuo centrato sulla comunità locale, che implica rispetto reciproco, riflessione critica, cura e partecipazione del gruppo, attraverso cui le persone che hanno minori risorse ottengono un maggior accesso e controllo su quelle risorse» e «un processo tramite cui le persone acquisiscono il controllo delle loro vite, partecipazione democratica della loro comunità, una comprensione critica del loro ambiente» (Perkins, 2010, 207).

Le organizzazioni empowering aumentano, infatti, il benessere personale, la conoscenza del funzionamento organizzativo, il coinvolgimento del processo decisionale, la qualità delle relazioni, il benessere collettivo, attraverso una maggiore consapevolezza degli aspetti politici, economici e sociali (Zimmerman, 2000).

RESILIENZA

La resilienza psicologica è un processo attivo di risposta alle crisi e alle difficoltà, che si esprime nella capacità di non soccombere nelle avversità e anzi superarle con rinnovata energia.

La resilienza di comunità è la capacità dei membri di una organizzazione di impegnarsi insieme in azioni condivise per contrastare avvenimenti e strutture avverse (Kulig et al., 2005).

Per Ungar (2011) tale resilienza determina il capitale sociale di una comunità che consente di far fronte a cambiamenti ed eventi traumatici e traumatizzanti acquisendo nuove capacità di crescita; essa può anche essere descritta come la capacità di adattamento a situazioni nuove e ostili in forma innovativa. In breve essa consiste nel resistere di una comunità all’impatto delle avversità; la capacità, velocità e abilità di far fronte agli stressor, ossia la capacità di recuperare dallo stressor unitamente allo sviluppo di nuove potenzialità creative che migliorino il funzionamento dell’organizzazione comunitaria (Kimhi e Shamai, 2004).

MATTERING

Vogliamo ora introdurre un recente costrutto utile a comprendere il modo di relazionarsi del singolo in relazione ai contesti di vita che supera e completa il concetto di autostima: il mattering. Esso può essere definito come «uno stato di cose ideale costituito da due esperienze psicologiche complementari: sentirsi apprezzati e aggiungere valore. Gli esseri umani possono sentirsi apprezzati e aggiungere valore a se stessi, agli altri, al lavoro e alla comunità (Prilleltensky 2014, p.151)». Sentirsi apprezzati significa sentirsi notati, rispettati; aggiungere valore significa contribuire, migliorare, aiutare o arricchire la propria vita o quella degli altri (Elliot et al., 2004).

Essere importanti per gli altri dà senso alla vita degli individui, perché ci percepiamo come una parte significativa del mondo intorno a noi. Se noi non contiamo per qualcuno ci possiamo sentire come una “non persona”.

L’esperienza di avere valore promuove benessere e felicità e previene il realizzarsi di quelle che vengono chiamate le 4 D: Devaluation (Svalorizzazione), Disconnection (Disconnessione interpersonale), Disengagement (Disimpegno), Disintegration (Disintegrazione della comunità). La disconnessione viene infatti espressa da isolamento, solitudine, rottura delle relazioni. Il declino del capitale sociale e l’aumento di ineguaglianza e segregazione porta alla disintegrazione della comunità (Costa e Kahn, 2001).

La proposta è quindi di creare una cultura del “noi” che favorisce il dare valore e il sentirsi di valore, in cui bilanciare diritti e responsabilità, benessere e equità. Pertanto è necessario promuovere mattering a casa, nei luoghi di lavoro, nella comunità e nelle politiche sociali. In tal modo contrastiamo depressione e disimpegno rendendo le persone un valore e aiutandole ad aggiungere valore. L’obiettivo è così di creare una società in cui eguaglianza e equità rimpiazzano nazionalismo e narcisismo (Humphrey et al., 2019).

FIDUCIA, SPERANZA E GENERATIVITÀ

Con una specifica lente psicologica analizziamo ora i temi della convivenza umana, e il contributo che la psicologia nel suo insieme apporta allo studio di fenomeni globali che incidono sul benessere e sulla qualità della vita. Tale orientamento può far pensare a una perdita identitaria della disciplina psicologica, ma in realtà questo è un banco di prova per dimostrare l’importanza dei processi psicologici all’interno dei fenomeni sociali, la necessità di scoprirli e di tenerne conto attraverso metodologie di analisi dei bisogni, di ricerca di intervento e di processi collaborativi che la psicologia di comunità persegue e propone (Arcidiacono et al., 2021). Si vuole pertanto concludere questo contributo delineando alcuni peculiari costrutti della psicologia di comunità che introducono una specifica visione psicologica, la quale si integra con le dimensioni valoriali, sociali ed economiche nel perseguimento di benessere, fiducia, speranza e generatività.

La fiducia (aspettativa positiva dei membri della comunità verso il contesto in cui essi vivono e agiscono) e la speranza (avere l’aspettativa che qualcosa potrà accadere) sono da considerare fattori determinanti per garantire la qualità di vita degli individui, come pure delle organizzazioni e delle comunità. Anch’esse si declinano a livello collettivo nell’interazione tra soggettività e opportunità. Breakwell (2021) di recente ha enfatizzato l’importanza della fiducia sociale e ha definito la sfiducia uno dei maggiori problemi del XXI secolo, offrendo un modello della sfiducia individuale e collettiva basata sulle teorie dell’identità e della rappresentazione sociale.

Scioli et al. (2011) vedono la speranza come un sistema multilivello organizzato secondo principi sociali. La peculiarità del modello di Scioli è nel dare rilevanza alla dimensione contestuale nella formazione della speranza, superando una prospettiva meramente individualistica, e, in questa accezione, assume che i valori culturali influenzano la costruzione della speranza nel colmare il divario tra necessità e realtà, nello sperimentare forme idealizzate di connessione, salvezza e potere nel futuro.

Si intende infine con generatività il prendersi cura della generazione successiva alla propria e, attraverso questo, della comunità nel suo complesso. Questa prospettiva persegue la costruzione di comunità eque, sostenibili, all’insegna dei valori della solidarietà, della valorizzazione della differenza e della convivenza: le associazioni, le organizzazioni e i servizi sono i mediatori relazionali e organizzativi che ne permettono la costruzione. Infine, è compito della ricerca psicologica individuare gli indicatori che meglio definiscono quali elementi contribuiscono a creare comunità generative.

Il distanziamento sociale realizzato come misura di contrasto alla diffusione del Covid-19 ha focalizzato il ruolo dei legami: di quelli del presente, con il futuro nostro e del pianeta e con le generazioni precedenti. Ci ha indotto a comprendere le vulnerabilità individuali e collettive che si determinano quando viene a mancare la possibilità di essere-con, e si perde la connessione con l’altro, l’ambiente e i contesti di appartenenza.

BENESSERE ED EQUITÀ: DALLA PSICOLOGIA POSITIVA ALLA PROSPETTIVA ECOLOGICA

La psicologia positiva, nata negli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000) si proponeva come “scienza del benessere” in quanto, sia dal punto di vista teorico sia da quello applicativo, è fondamentale passare da un’ottica riparativa, basata esclusivamente sul superare le difficoltà, a un’ottica costruttiva, mirata a sviluppare qualità positive individuali come l’autodeterminazione, l’autoefficacia, l’ottimismo e la felicità individuale e sociale. Ma la sua attenzione è prevalentemente sulle caratteristiche di personalità e sulle risorse individuali (Aspinwall e Tedeschi, 2010).

La psicologia di comunità ha introdotto invece, in una chiave critica, la prospettiva ecologica in cui l’analisi delle transazioni tra la persona e l’ambiente è centrale; in essa è considerato il contesto in tutti i suoi aspetti, comprese la dimensione fisica e quella sociale, ma anche culturale e storica, e le caratteristiche e i comportamenti della gente all’interno dello stesso contesto, con una particolare attenzione ai criteri di equità ed eguaglianza (Torres-Harding et al., 2012). In tale cornice Prilleltensky et al. (2015) suggeriscono un modello multidimensionale di benessere che include sette domini: generale, interpersonale, di comunità, occupazionale, fisico, psicologico e economico.

 

Caterina Arcidiacono è psicologa, psicoanalista IAAP e professora ordinaria di Psicologia di comunità. Tra le sue pubblicazioni in italiano: Psicologia di comunità per le città, Liguori, Napoli, 2017.

Bibliografia
Arcidiacono C., De Piccoli N., Mannarini T., Marta E. (2021), Psicologia di comunità, I, II, Franco Angeli, Milano.
Bond M. A., Serrano-García I., Keys C. B., Shinn, M. (a cura di, 2017), APA handbook of community psychology: Methods for community research and action for diverse groups and issues, American Psychological Association, Washington.
Kagan C., Akhurst J., Alfaro J., Lawthom R., Richards M., Zambrano A. (a cura di, 2022), The Routledge International Handbook of Community Psychology, Routledge, Londra.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 287 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui