Silvia Bonino

La relazione tra figli e genitori: sviluppo e situazioni

Per provare sensi di colpa o di vergogna bisogna essere ben calati in un contesto sociale e conoscerne le regole. Una acquisizione complessa che il bambino vive piano piano, a seconda delle sue fasi.

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Senso di colpa e vergogna (come imbarazzo e orgoglio) sono emozioni complesse o secondarie, definite anche “sociali”. A differenza delle emozioni semplici o primarie (come paura, rabbia o gioia), queste emozioni nascono dalla consapevolezza di sé e del proprio comportamento nella relazione sociale e richiedono quindi, per poter emergere, un sufficiente grado di sviluppo del Sé. In specifico, per provare un senso di colpa è necessaria una valutazione delle conseguenze del proprio comportamento sugli altri, così come delle proprie intenzioni, in riferimento anche alle norme sociali. Per queste ragioni, i primi segni della capacità di sentirsi in colpa emergono solo verso i 2 anni e diventano più chiari intorno ai 3, grazie a una maggiore consapevolezza di sé e degli effetti del proprio comportamento sugli altri, come pure degli stati emotivi altrui.

LO SVILUPPO DEL SENSO DI COLPA

Negli anni seguenti, aumenta la capacità di comprendere sia l’intenzionalità sia le norme sociali, con un’adesione alle regole dapprima eterodiretta dall’adulto, poi sempre più interiorizzata. Nella fanciullezza, intorno agli 8 anni, il bambino diventa capace di sperimentare l’emozione della colpa in modo ormai simile all’adulto. L’adolescenza, con lo sviluppo del pensiero formale e l’approfondimento della riflessione su di sé, sulle relazioni con gli altri e sulle norme sociali, rende il vissuto di colpa ancora più articolato e complesso. 

Lo sviluppo del senso di colpa avviene molto precocemente in famiglia nella relazione del bambino con i genitori, i primi “altri” con cui egli interagisce; anche la successiva relazione con i coetanei è mediata inizialmente dai genitori, cui si affiancheranno poi altri adulti, figure secondarie di attaccamento. I genitori svolgono quindi un ruolo decisivo, in positivo o in negativo, nello sviluppo del senso di colpa, con un’impronta forte e durevole.

Va ricordato che i genitori, e in primo luogo la mamma, sono per il bambino figure di attaccamento indispensabili per la sua sicurezza. Con loro il piccolo stabilisce forti legami di affetto, per la cui costruzione è biologicamente predisposto, con la tendenza a mantenere non solo la vicinanza fisica ma anche una sintonia emotiva positiva. L’importanza di questo legame rende ragione della decisa impronta lasciata dai vissuti emotivi che hanno origine nella relazione con le figure di attaccamento. Pensiamo, per esempio, alle forti reazioni – disappunto, disgusto, ritiro – di una mamma di fronte al bambino di 1 anno che contravviene al divieto di mettere in bocca un oggetto attraente ma pericoloso, e ai vissuti emotivi altrettanto forti che esse possono suscitare nel piccolo. 

DAL SENSO DI COLPA AL SENSO DI RESPONSABILITÀ

Il senso di colpa costituisce un’emozione centrale nello sviluppo morale, vale a dire nella capacità di regolare il proprio comportamento nelle relazioni sociali. Siamo esseri primariamente sociali, e il nostro stesso benessere deriva dal saper instaurare relazioni positive con gli altri, senza fare danno né a noi stessi né a loro. Per questo l’evoluzione ci ha dotati della capacità di provare sensi di colpa: questi stati emotivi sono di certo soggettivamente penosi, ma proprio in quanto tali ci spingono a cambiare i comportamenti lesivi o ad evitarli. La capacità non solo di comprendere che una nostra azione è stata di danno per un’altra persona, ma anche di soffrire per tale consapevolezza, è di conseguenza una componente essenziale della vita sociale e della coscienza morale. È, questo, un aspetto che va sottolinea­to, per contrastare l’erronea convinzione che il senso di colpa sia di per sé qualcosa di necessariamente negativo, la cui comparsa va evitata a tutti i costi nell’educazione di un bambino. Sono le degenerazioni, gli eccessi e la cronicità del senso di colpa a dover essere evitati, ma non il personale senso di responsabilità verso gli altri che esso comporta: quest’ultimo non è mai soltanto una fredda valutazione cognitiva, ma è sempre anche un vissuto emotivo, con tutto il coinvolgimento fisiologico che ciò comporta.

Per sviluppare un senso morale sano, capace di attenzione agli altri e alle conseguenze dei propri atti senza sentimenti di colpa distruttivi e pervasivi, è importante mettere l’accento sulla responsabilità individuale. A detto scopo viene in aiuto la basilare capacità degli esseri umani di condividere le emozioni negative altrui, cui siamo biologicamente predisposti: la compartecipazione emotiva, dalle forme primitive di contagio fino all’empatia evoluta, costituisce una forza potente nel contrastare le azioni dannose per gli altri e nel sentirci responsabili quando lo facciamo intenzionalmente. L’empatia permette di collegare in modo positivo il senso di colpa alla propria responsabilità, sia in maniera diretta, attraverso la constatazione degli effetti del proprio agire (vedere le espressioni di sofferenza dell’altro), sia attraverso la riflessione indotta dall’adulto (che invita il bambino a mettersi nei panni dell’altro e lo fa riflettere su cosa proverebbe se fosse lui la vittima). 

Il richiamo alla responsabilità permette di circoscrivere l’attivazione emotiva, pur sempre di tipo negativo, a situazioni specifiche e contingenti; si favorisce così il riconoscimento del nesso puntuale tra la propria azione e le conseguenze sugli altri. Il riferimento a situazioni precise aiuta a riconoscere la fondatezza della responsabilità che viene attribuita e a comprendere l’importanza dell’intenzionalità. Per esempio, è ben diverso far cadere un compagno di proposito, per dispetto, oppure farlo cadere senza averne l’intenzione, nella foga del gioco, a causa di un movimento maldestro. La riflessione su queste due diverse situazioni aiuta a capire il differente grado di responsabilità individuale che esse implicano e a comprendere gli effetti che le proprie azioni possono comunque avere sugli altri, anche quando l’intenzione non è malevola. L’obiettivo è di aiutare il bambino prima e il ragazzino poi ad agire in modo responsabile, senza però bloccarlo su sensi di colpa immotivati. 

L’attenzione alla responsabilità evita l’emergere di sentimenti negativi generalizzati, non specificamente legati ad azioni ben individuabili, i quali tendono a diventare pervasivi (ci si sente in colpa senza motivo per qualunque evento negativo) e cronici (il sentimento di colpa permane nel tempo). La focalizzazione sulla responsabilità specifica rende anche possibili azioni riparatorie concrete e adeguate, che vanno dal chiedere scusa – atto che segnala la propria ammissione di responsabilità – al risarcire in vario modo la parte lesa (per esempio, comprare a una compagna delle matite nuove, come riparazione per avere fatto cadere le sue, che di conseguenza si sono rotte).

Mettere in atto questi gesti concreti permette di superare le emozioni negative sia in chi ha agito male sia nel coetaneo che ne è stato vittima, ristabilendo una relazione sociale positiva. Essi realizzano così una forma di rito di riparazione e riconciliazione che ha effetti benefici sulla relazione, consentendo di “fare pace”. Affinché tutto ciò si realizzi è però necessario un clima di sicurezza, affetto e accettazione da parte dell’adulto, senza denigrazioni e umiliazioni del bambino. 

I RISCHI DEL RICATTO AFFETTIVO

Come abbiamo detto, i genitori, e in particolare la mamma, sono le prime e principali figure di attaccamento. Esse fondano nel bambino vissuti decisivi per il suo sviluppo: la fiducia in sé stessi e negli altri, il senso del proprio valore, la sicurezza nell’affrontare la realtà. Un clima affettivo sereno, fatto di attenzione e accettazione, garantisce al bambino di non vivere con emozioni troppo negative e travolgenti gli inevitabili momenti critici di conflitto con il genitore, che potrebbero generare precoci vissuti di colpa generalizzati e invasivi. Pensiamo, per esempio, a un bambino piccolo che, a fronte della proibizione dell’adulto, cerchi egualmente di giocare con un oggetto pericoloso; una reazione negativa ferma ma pacata della mamma non provocherà in lui la forte ansia di perdere il suo affetto a causa del proprio comportamento “colpevole”, ma lo indurrà ad adeguarsi alla sua richiesta. Nel bambino più grande, la fiducia nell’accettazione permetterà di riconoscere di aver sbagliato disubbidendo (per esempio, ha trasgredito il divieto di giocare al pallone in camera e ha rotto un oggetto) e di accettare il rimprovero e la punizione, focalizzandosi sulla riparazione e sul comportamento futuro, anziché stare a rimuginare su ciò che ha fatto. 

Proprio per l’importanza della relazione di attaccamento nello sviluppo infantile, le modalità educative basate sul ritiro dell’affetto sono rischiose. Se è vero che il bambino dev’essere progressivamente aiutato, mano a mano che il suo sviluppo cognitivo prosegue, a comprendere la responsabilità delle proprie azioni e le conseguenze che queste hanno sugli altri, e quindi anche sui genitori, ciò va fatto in un clima di sostegno emotivo. Il continuo ricorso, esplicito o implicito, al ricatto affettivo («Se disubbidisci, la mamma non ti vuole più bene») toglie ai bambini sicurezza e fiducia, e può indurre sensi di colpa pervasivi, con effetti controproducenti. Infatti, il senso di colpa che ne deriva, fondato sulla paura di perdere le figure di attaccamento, può paralizzare il bambino nello stato d’animo negativo, togliendogli la spinta positiva al cambiamento e alla riparazione, che deriva dal riconoscimento della propria responsabilità.

Più in generale, i genitori devono anzitutto chiarire a sé stessi quali sono i comportamenti dei figli che ritengono di dover promuovere e quali censurare, in base ai valori cui si ispirano: per esempio, se rimproverare una bambina di 6 anni per aver sporcato il vestito nuovo, oppure per aver detto una bugia che ha danneggiato una compagna. Le reazioni a queste situazioni rimandano alle norme morali che il genitore ritiene importanti nella vita sociale e che vuole trasmettere ai figli. In questo senso, l’educazione dei figli è anche un’occasione di crescita per i genitori stessi, chiamati a riflettere sui valori della vita sociale e sulle regole che la governano. Bisogna ricordare che i bambini sono attenti osservatori delle reazioni verbali e non verbali dei genitori, e non solo di quelle esplicite; non contano quindi solo le approvazioni e i rimproveri, ma anche l’indifferenza. Per esempio, se il figlio di 3 anni strappa di mano un oggetto a un coetaneo che stava tranquillamente giocando e che ora si mette a piangere, l’assenza di reazione da parte del papà che ha osservato la scena dà l’implicito messaggio che l’azione di prevaricare gli altri è consentita. Allo stesso modo, i comportamenti positivi (per esempio, aver aiutato un compagno caduto) vanno approvati esplicitamente, sia per rafforzarne l’apprendimento sia per valorizzare il figlio.

SENSI DI COLPA DEI GENITORI E CONSUMISMO

Spesso i genitori si sentono in colpa perché non danno sufficiente tempo o beni materiali ai figli. Nell’attuale ricca società consumistica questa tendenza è potentemente sfruttata dalla pubblicità per vendere una miriade di prodotti, attraverso la rappresentazione di famiglie ideali da imitare e di beni presentati come indispensabili perché i figli siano accettati dai pari. Sono quindi più che mai necessarie la consapevolezza di queste trappole e la scelta dei valori cui informare le proprie decisioni.

LE ATTRIBUZIONI ERRONEE DI COLPA

Come ha mostrato Jean Piaget, i bambini, soprattutto i piccoli fino ai 6 anni, sono dominati da egocentrismo cognitivo e tendono di conseguenza a riferire a sé gli eventi in cui sono coinvolti. Questa tendenza può portarli facilmente ad attribuire a sé la responsabilità di eventi negativi che riguardano i genitori e la famiglia. Ne sono esempi la morte o la malattia del papà o della mamma, ma anche la loro separazione o divorzio, con l’allontanamento di uno di loro due; egualmente, anche i frequenti litigi o il disinteresse di un genitore possono essere ricondotti dal bambino a proprie mancanze. Da tutte queste esperienze possono quindi derivare dolorosissimi e persistenti sensi di colpa, privi di alcun fondamento, talmente incomprensibili per gli adulti da essere per lo più ignorati.

Nell’attribuire a sé colpe infondate svolge un ruolo potente, insieme all’egocentrismo, l’attaccamento per i genitori. Come abbiamo visto, essi sono il primo affetto per il bambino e le loro presenza, cura e serenità gli garantiscono fiducia, sicurezza e benessere, sia fisico che emotivo. Quando il bambino avverte il rischio di perderli, e a maggior ragione quando la perdita si realizza, egli vive un grande sconvolgimento interiore. Non comprendendo le ragioni reali per cui la mamma o il papà si sono allontanati, o sono presenti ma non si curano dei figli (per esempio, perché depressi), il bambino le attribuisce egocentricamente a sé stesso e al suo presunto cattivo comportamento. Nel caso della malattia cronica, il bambino può così ritenere che la mamma sia stata ricoverata in ospedale perché lui non è stato ubbidiente, oppure può interpretare la sua stanchezza e il diniego a giocare con lui come i segni che lei non gli vuole più bene come prima. Anche i litigi tra i genitori e il loro comportamento violento verso i figli danno facilmente luogo alle stesse interpretazioni distorte autoriferite. È quindi necessario che gli adulti che hanno responsabilità educative (genitori, ma anche nonni) prestino particolare attenzione a tali rischi, chiarendo le vere cause degli eventi che stanno coinvolgendo la famiglia. Se i genitori non sono in grado di farlo, è utile l’intervento di altri adulti anche al di fuori della famiglia; e nei casi più seri è indispensabile chiedere aiuto a professionisti.

VERGOGNA E SENSO DI COLPA

Vergogna e senso di colpa, peraltro spesso sovrapposti, si differenziano soprattutto per la diversa focalizzazione dell’attenzione. Nella colpa, questa è posta su ciò che è o non è stato fatto, mentre nella vergogna la valutazione negativa riguarda prevalentemente il Sé e il giudizio altrui su di sé. Di conseguenza, la vergogna induce all’autosvalutazione, al nascondersi agli altri, al rimuginare, all’immobilismo; la colpa, invece, apre maggiormente a comportamenti costruttivi riparativi e pro-sociali.

 

Silvia Bonino è professore onorario di Psicologia dello sviluppo all’Università di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Amori molesti (Laterza, 2019) e Mille fili mi legano qui (Laterza, 2019).

www.silviabonino.it
 


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Bonino S. (2012), Quando i bambini sono piccoli, Fabbri, Milano.
Di Blasio P., Vitali R. (2001), Sentirsi in colpa, Il Mulino, Bologna.
Lewis M. (2008), «Self-conscious emotions: Embarrassment, pride, shame, and guilt». In M. Lewis, J. M.
Haviland-Jones, L. F. Barrett (Eds.), Handbook of emotions, Guilford Press, New York, pp. 742-756.
Tangney J. P., Dearing R. L. (2003), Shame and guilt, Guilford Press, New York.
Tangney J. P., Fischer K. W. (Eds., 1995), Self-conscious emotions: The psychology of shame, guilt, embarrassment, and pride, Guilford Press, New York.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 284 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui