Guido Sarchielli

La psicologia e il “lavoro decente”

Ancora oggi, e non solo per i paesi più poveri, c’è bisogno di vegliare sulla dignità di base di alcuni lavori.

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Oltre vent’anni fa fu coniata dall’ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’espressione decent work (lavoro dignitoso). Nel senso comune essa sottolineava obiettivi di natura etica: cercare di migliorare la qualità del lavoro soprattutto in quei Paesi a bassissimo sviluppo socio-economico dove lo sfruttamento dei lavoratori e persino dei minori era all’ordine del giorno e il reddito da lavoro consentiva a malapena la sopravvivenza. Da allora le cose sono un po’ cambiate. Tuttavia l’esigenza di tutelare i lavoratori riconosciuti come soggetti particolarmente vulnerabili è stata ribadita con forza qualche anno fa dalla “Decent Work Agenda” della ILO (parte integrante della “Dichiarazione sulla giustizia sociale per una più equa globalizzazione”) e soprattutto è stata assunta dall’ONU nel 2015 tra gli “obiettivi per lo sviluppo sostenibile” dell’Agenda 2030 (un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto da 193 Paesi). (CONTINUA...)

La psicologia e il "lavoro decente" - Guido Sarchielli

Tra questi obiettivi comuni emerge l’ottavo, concernente la creazione di un lavoro decente: «Promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e lavoro dignitoso per tutti». Da notare l’espressione «per tutti», dal momento che il deterioramento delle condizioni di lavoro sta evidentemente minando la qualità delle esperienze lavorative anche nei Paesi a più alto reddito.

L’accesso a un lavoro decente appare ostacolato anche in Europa, e in Italia in particolare, dalla compresenza di barriere di natura economico-sociale, quali:

• il rallentamento della crescita;

• la diminuzione e le disparità di reddito;

• le turbolenze del mercato del lavoro (abnorme crescita del lavoro flessibile, di contratti non standard, di insicurezza delle carriere ecc.);

• l’intensificazione del lavoro per unità di tempo (in particolare dei ritmi);

• la diffusione dei rischi lavorativi di natura fisica e psicologica.

A ciò si aggiunge la crescita della disoccupazione e delle varie forme di inoccupazione, di occupazione informale e di “lavoro nero” che portano alla polarizzazione dei lavori (si allarga, cioè, la forbice tra lavori buoni e cattivi) offerti soprattutto ai giovani con più ridotto livello di istruzione. L’impoverimento del lavoro, ossia il deficit di lavoro dignitoso (vale a dire conforme alle norme morali del rispetto della propria e dell’altrui dignità), si evidenzia inoltre se crescono gli abusi dei diritti lavorativi, se esiste lavoro minorile, se la sicurezza e l’equità del reddito sono poco sostenute, se le diversità sociali, culturali, etniche, di età ecc. creano discriminazioni, se le ragioni dell’organizzazione sovrastano quelle delle persone, se il dialogo sociale è impedito, se il lavoro non è in equilibrio con le esigenze familiari. Perdipiù, oltre un decennio di crisi economico-finanziaria che ha colpito non solo l’Italia sembra aver accentuato le diseguaglianze di opportunità e provocato un degrado dello Stato sociale a seguito delle misure di austerità applicate in molti Paesi per ridurre la spesa sociale e previdenziale, con rischi di peggioramento nell’offerta di fondamentali servizi alla persona.

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A prima vista, questo tipo di problemi sembra richiedere contromisure solo di natura economico-sociale. Del resto, le riflessioni sul decent work si sono concentrate su aspetti strutturali come:
a) l’aumento di un’occupazione liberamente scelta;
b) la promozione dei diritti dei lavoratori;
c) un’adeguata protezione sociale;
d) un dialogo sociale costruttivo.

Dunque, cosa c’entra la psicologia con il decent work? Sebbene i fattori economici (e quelli legali e sindacali) siano sentiti come più salienti, ci sono anche importanti aspetti psicosociali che connotano il degrado della qualità della vita lavorativa nei Paesi più sviluppati, minacciando una soddisfacente interazione tra persona e lavoro. Tra questi, gli psicologi hanno segnalato: un elevato carico di lavoro fisico e mentale; l’accumulo di fatica; stress; orari di lavoro inadeguati; l’insufficiente ristoro dal lavoro; i danni psicologici da molestie o sfruttamento; i deleteri effetti di una leadership vessatoria, di comunicazioni autoritarie, dell’esposizione a rischi di infortunio, della scarsa formazione di competenze per padroneggiare le nuove tecnologie, del mancato coinvolgimento nei processi decisionali ecc. Tutti fattori di disagio lavorativo psicosociale, connessi con cambiamenti mal regolati nell’organizzazione del lavoro, con l’intensificazione lavorativa, l’eccesso di richieste e l’erosione dei confini tra lavoro e vita personale. A questo proposito, la ricerca psicologica ha confermato che il deterioramento del benessere e della salute mentale è sia una causa che una conseguenza della “povertà lavorativa”, la quale spesso determina percezioni di isolamento, sentimenti di bassa autoefficacia, pessimismo e ansia per il futuro. 

In altri termini, gli psicologi hanno progressivamente ampliato la nozione “oggettiva” di decent work includendo le dimensioni soggettive dell’esperienza lavorativa messe in pericolo dal lavoro impoverito odierno: il bisogno di sopravvivenza materiale (corrispondenza tra prestazione e ricavi), di connessioni e interazioni sociali adeguate, di autonomia e autodeterminazione. Bisogni che stanno alla base tanto dell’autorealizzazione quanto della salute e del benessere individuali e che sono oggetto di studio e intervento da parte degli psicologi del lavoro (si pensi agli interventi sul benessere organizzativo, sulla prevenzione dello stress, sul work-life balance – cioè il riequilibrio lavoro-vita personale –, su carichi di lavoro, salute e sicurezza) e degli psicologi dell’orientamento e delle risorse umane (per esempio: sviluppo dei fattori di occupabilità, incremento del capitale psicologico, progettazione delle carriere, consulenza di carriera ecc.). Contributi di conoscenza traducibili in pratica nella gestione rispettosa delle persone nelle organizzazioni e utili per una più sensata elaborazione delle politiche del lavoro a livello nazionale (e internazionale), come pure per l’orientamento professionale di giovani e adulti.

Guido Sarchielli è professore emerito di Psicologia del lavoro all’Università di Bologna.


Riferimenti bibliografici

Blustein D. L., Kenny M. E., Di Fabio A., Guichard J. (2019), «Expanding the impact of the psychology of working: Engaging psychology in the struggle for decent work and human rights», Journal of Career Assessment, 27 (1), 3-28.

Di Fabio A., Kenny M. E. (2019), «Decent work in Italy: Context, conceptualization, and assessment», Journal of Vocational Behavior, 110, 131-143.

Pouyaud J. (2016), «For a psychosocial approach to decent work», Frontiers in Psychology, 7 (422), 1-14.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 275 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui