Fulvio Tassi

La magia del tatuaggio in orizzonti di vita incerti e sotto assedio

Con il tatuaggio, il simbolo nel quale si sceglie di identificarsi è letteralmente incorporato nella persona. Questo contrassegna per lei un canale di comunicazione tra Il proprio sé e il proprio corpo.

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Quando si parla del tatuaggio, in maniera ricorrente entra nella conversazione l’immagine della spiaggia estiva, dove tra sole e mare l’occhio viene sollecitato dal continuo avvicendarsi di corpi segnati da inchiostri indelebili. È facile che lo sguardo sia portato a orientarsi su ciò che tradisce l’istintiva aspettativa di trovare il corpo naturale e resti attratto dai diversi modi in cui ogni persona ha customizzato il proprio corpo, nel tentativo di renderlo unico e originale. Ma dopo un po’, a fronte della varietà degli artifici grafici impressi sulla pelle, la mente può essere portata ad andare nella direzione opposta: a fare di ogni erba un fascio, come si dice, e giungere alla conclusione che in fondo si tratta solo di una moda, che appiattisce ognuno su un registro ormai scontato

IL TEMPIO DEL SÉ

Oggi la pratica del tatuaggio è molto diffusa, trasversale rispetto all’età, all’estrazione socio-culturale e al genere; ma non si tratta affatto di una moda effimera e priva di senso. Diversamente da tante altre mode, che tipicamente durano una stagione o al massimo pochi anni, la capacità del tatuaggio di contaminare la cosiddetta normalità è ormai vecchia di mezzo secolo e continua ad avere spalle forti e fiato lungo. Ma soprattutto non si tratta di una moda dettata solo dalle politiche del marketing e dai mass media, come quelle di cui parlava Roland Barthes (1967) a proposito dell’abbigliamento, che in maniera arbitraria possono decretare un anno la moda del blu e l’anno successivo quella del beige. La moda del tatuaggio è diversa: essa è motivata da esigenze vitali profonde, strettamente connesse alla crisi del senso del Sé, che caratterizza la nostra età postmoderna. 

In un mondo in cui è fortemente in bilico la possibilità di ancorare la propria esistenza a quadri di significato generali e culturali, e in cui i contorni delle cose diventano liquidi e si fa minima la possibilità di lasciare la propria impronta, il corpo diventa la cosa più certa e stabile, la fortezza dalla quale fronteggiare l’assedio posto dal mondo esterno, il tempio entro cui celebrare la propria certezza di esistere e di essere sé stessi. La pratica del tatuaggio è a tutti gli effetti un’icona del Sé postmoderno. Essa rappresenta una delle vie più plateali e suggestive, protesa ad affermare un sentimento di coesione e stabilità del Sé, secondo una pretesa creativa che nel passato – quando il corpo era il tempio di Dio, e non del Sé – suonava come un’offesa sacrilega all’ordine universale (Tassi, 2016).

Le incertezze e i traumi che gravano sulla condizione attuale segnano il fallimento della modernità, mentre alimentano miti che vanno nella direzione opposta, come quello del “mondo primitivo”, per sua natura dedito alle body modification, tra cui spicca la pratica di imprimere sulla pelle segni permanenti. “Primitivi moderni” è l’ossimoro che accompagna negli anni Ottanta l’ingresso del tatuaggio nel cosiddetto ceto medio, e che dà il titolo a un volume ancora utile per comprendere le ragioni che sostengono la fortuna del tatuaggio al giorno d’oggi (Vale e Juno, 1989). “Primitivi moderni” non denomina una subcultura, caratterizzata da specifici look, gerghi, forme di aggregazione e attività ricreative, ma piuttosto un insieme eterogeneo di persone accomunate dall’obiettivo di ritrovare un rapporto intenso e autentico con sé stesse e con il mondo esterno. Questo ritorno alle basi dell’esistenza troverebbe una via di realizzazione primordiale entro due dimensioni, che nel tatuaggio diventano inscindibili l’una dall’altra: il corpo e il simbolo.

L’ANIMA E IL CORPO: IN PRINCIPIO ERA LA PELLE

La messa al centro e l’esaltazione del corpo non esprimono affatto un atteggiamento materialista; al contrario, incarnano un movimento rivolto verso una forma di spiritualità che si sostanzia nella ricerca del Sé, come dato primo del sentimento di esistere, del sentimento di essere dotati di una propria individualità e di essere in relazione con il mondo. In accordo con questo orientamento, un filone psicoanalitico argomenta come l’origine del Sé vada ricercata proprio in quella parte del corpo oggetto della tatuazione: la pelle (Anzieu, 1985).

La pelle delimita il Sé come un sacco, lo protegge come uno scudo ma anche come un setaccio; costitui­sce il più antico e potente tramite di comunicazione e scambio tra mondo interno e mondo esterno. La pelle riporta la memoria dei vissuti personali, degli stati interni e della relazione con il mondo esterno, in primo luogo dalla relazione con la madre, che inizia nella vita prenatale, quando il feto, già a partire dai primi mesi di vita, è dotato del senso del tatto, che lo pone in comunicazione con l’utero materno. La pelle è la madre del Sé, nucleare ed esistenziale; la cosa straordinaria del tatuaggio è che introduce nella pelle contenuti mentali, entrando così in gioco nella definizione e ridefinizione del Sé.

Il movimento dei Primitivi moderni, assieme al corpo, pone la centralità del simbolo, che attraverso l’immagine è in grado di esprimere in maniera vivida, quasi palpabile, sentimenti e pensieri complessi, filosofie di vita, aneliti alla trascendenza e alla spiritualità. Il simbolo costituisce una forma arcaica del sapere e della comprensione delle cose, che ha accompagnato il sorgere della civiltà e che si ripropone oggi come alternativa al pensiero scientifico della modernità. A differenza dei linguaggi razionali e logici, tipicamente convenzionali, il simbolo mantiene un rapporto profondo con ciò che rappresenta, fino ad azzerare la distinzione semiologica tra significante e significato. Prendiamo il fiore di loto, un simbolo antico, decisamente popolare fra le persone tatuate. Esso dà concretezza a una qualità straor­dinaria, che è quella di essere puri e incorruttibili, pur trovandosi immersi in un ambiente melmoso e insalubre come la palude. 

Il simbolo, in ragione del suo potere espressivo ed evocativo, presenta un potere magico. Diviene il tramite non solo per rappresentare qualcosa, ma anche per rendere questo qualcosa talmente presente da fare sbocciare il sentimento di possederlo e di assumerne il controllo. Così la rappresentazione del fior di loto può divenire il tramite per tenere con sé i principi esistenziali che esso è in grado di materializzare e, a un tempo, per ancorarsi ad essi. 

Quando il simbolo è tatuato, la magia che veicola è elevata al quadrato. Con il tatuaggio il simbolo viene letteralmente incorporato dalla persona, e questo amplifica enormemente il sentimento di appropriazione e controllo di ciò che è in grado di evocare. Con il tatuaggio si può originare il sentimento che il simbolo entri nell’anima, dato che entra nella pelle, la quale, come abbiamo visto, costituisce la madre del Sé (Gell, 1993).

NARCISO ERA TATUATO?

Il tatuaggio – in ragione della sua vocazione magica – è facile preda e solido sostegno di una personalità narcisista. Esso può costituire il mezzo per chiudersi nell’illusione di un Sé Grandioso, in cui si celebra lo strapotere di dominare la realtà. Questo può verificarsi, per esempio, quando ci si fregia dell’incoronazione del proprio nome, delle forze e delle bellezze della natura, di personaggi straordinari, o ancora di scenari gotici, che parlano di una sovraumana capacità di familiarizzare con l’orrore, la morte e l’aldilà. Nell’esaltazione di sé stessi, assieme al contenuto del tatuaggio si pone in risalto l’aspetto formale, ossia il fatto stesso di farsi dei tatuaggi, di farsene molti e di grandi dimensioni. Nel momento in cui si modifica la propria persona secondo un volere soggettivo, accanto alla convinzione di porsi al centro dell’attenzione si dà prova di un potere che ha del divino, affermando il sogno di essere i creatori di sé stessi, al di sopra dei genitori, della natura, di Dio e di ogni altra idea di un ordine delle cose precostituito e indipendente da sé.

Il tatuaggio è estraneo al mondo greco classico, così come al mito di Narciso; eppure l’idea di un Narciso che si bea della propria pelle tatuata è assai calzante. I narcisi di oggi, diversamente dal Narciso del mito greco, non si rispecchierebbero nell’acqua, bensì nel proprio corpo, che può testimoniare un Sé Grandioso, sia per i contenuti che ha incorporato sia per il fatto di portare i segni di una potenza creatrice.

L’IMMAGINE INTERIORE

La deriva narcisista non è affatto l’unica possibile. La magia del tatuaggio, infatti, può pure realizzarsi non tanto nell’illusione di poter manipolare la realtà proiettando sé stessi verso l’onnipotenza, quanto piuttosto nel sentimento di riuscire a organizzare e dare un senso ad aspetti significativi della vita soggettiva, proprio quando tali aspetti tendono alla disgregazione. Sotto il profilo psicologico, è il fondamento dell’arte; nello specifico, è il fondamento del tatuaggio come arte. 

In modo più analitico, la crisi del Sé può essere letta nei termini del contatto con una realtà traumatogena, che è tale quando viene percepita come caotica e incoerente, quando mette a repentaglio l’integrità e il senso di sicurezza della persona e quando non lascia spazio alla possibilità di interagire con essa in maniera attiva. L’esperienza del trauma tende a rendere il Sé evanescente, a suscitare un movimento psicologico che procede verso l’alienazione, verso un sentimento di distanza dalla realtà, la quale arriva ad essere percepita come fittizia, come svuotata di ogni tensione affettiva, positiva e negativa. In un contesto del genere, la crisi del Sé coincide con il sentimento di “perdere sé stessi”, mentre il rinascimento del Sé con quello di “ritrovare sé stessi”; il tatuaggio che aspira all’arte è quello che media questo ritrovarsi, diversamente da quello narcisista, il quale proietta il Sé verso simulacri grandiosi che vincono la sfida con la realtà, ma solo nella fantasia e nel delirio.

L’esperienza di “perdere sé stessi”, quale si verifica in maniera emblematica nel trauma, si sostanzia in una condizione di perdita di legami tra gli elementi psicologici del vissuto personale, che comprendono dati di realtà, pensieri, emozioni e sentimenti. La magia del simbolo – amplificata oltremisura quando il simbolo è incorporato nella pelle – può allora essere quella di ricostruire dei legami tra le cose, con la conseguente percezione del recupero della coesione del Sé. In accordo con i tatuatori più carismatici, come Jamie Summers e Don Ed Hardy, che hanno partecipato al movimento dei Primitivi moderni, l’obiettivo più alto è quello di imprimere sulla pelle un simbolo interiore; interiore in quanto rappresentativo, parte e risultato di un lavoro di rielaborazione del vissuto soggettivo (Rubin, 1988).

Fra i moltissimi esempi possibili ne riportiamo uno tratto da un reality televisivo, New York Ink (Tassi, 2016). Il tatuaggio raffigura una pin-up a cavallo decapitata, con la testa rotolata giù. L’uomo che ha richiesto questo tatuaggio spiega che è per il padre, morto vent’anni prima, separatosi dalla madre e con il quale egli passava i fine settimana. L’immagine è squisitamente simbolica, e come tale in grado di tenere insieme in un unico tessuto fili diversi dell’esperienza. La scena rappresentata nel tatuaggio rievoca i film horror degli anni Cinquanta, che l’uomo vedeva con il padre in un clima di grande divertimento e complicità. Ma, in termini altrettanto diretti, parla di un vissuto traumatico, che nella scena tatuata è rappresentato, come da manuale, con la dissociazione fra la testa e il corpo, fra la vita psichica e la vita reale. Il trauma della morte del padre era dato, oltre che dalla perdita di una figura centrale, anche dal fatto che tale perdita era accaduta quando l’uomo aveva appena 14 anni, e si era consumata entro scenari di vita che erano stati tenuti segreti, ma che probabilmente l’uomo aveva intuito fin da subito: come venne a sapere direttamente da adulto, il padre era gay ed era morto di AIDS.

La magia di questo tatuaggio è quella di ricomprendere l’esperienza traumatica entro una rappresentazione organica e coerente; una rappresentazione contratta nella forma entro un solo elemento, ma al tempo stesso in grado di attivare cascate di associazioni ed esperienze di vita. Attorno alla scena pulp tatuata della pin-up a cavallo decapitata si muovono tanto il ricordo delle ore liete trascorse col padre, quanto il trauma della perdita e del segreto. La magia di questo tatuaggio proietta la persona nella sfera di un’esperienza artistica nella misura in cui realizza la possibilità di rendere l’esperienza soggettiva della realtà nella sua immediatezza e originalità, che è proprio ciò che viene drasticamente meno nel trauma. L’arte non stravolge la realtà secondo un orientamento narcisista onnipotente, ma guarda alla realtà dei fatti; realtà che, tuttavia, viene incorporata all’interno di un sentire soggettivo, il quale restituisce al Sé un sentimento di comprensione profonda della vita e di padronanza spirituale dell’esistenza. Questa distinzione fra tatuaggio narcisistico e tatuaggio artistico presenta interessanti corrispondenze con quella di Winnicott (1971) tra fantasie ad occhi aperti e sogno. La fantasia ad occhi aperti può proiettare la persona in un mondo altro da sé, fi no a determinare una dissociazione tra il Sé reale e quello idea­­le. Diversamente, il sogno costituisce un discorso diretto sul vissuto soggettivo, pur facendo uso di un linguaggio immaginifico e metaforico. 

In definitiva, l’augurio che potremmo rivolgere a chi si tatua è quello di pensare ai propri tatuaggi non nell’ambito di fantasie grandiose ad occhi aperti, ma nei più radicati sogni ad occhi chiusi, in un’autentica ricerca di sé stesso. Che è una delle sfide cruciali poste alla gioia di vivere dalla nostra sconclusionata età postmoderna.

 

Riferimenti bibliografici

Anzieu D. (1985), L’Io-pelle (trad. it.), Borla, Roma, 2005.

Barthes R. (1967), Sistema della Moda (trad. it.), Einaudi, Torino, 1970. 

Gell A. (1993), Wrapping in images, Oxford University Press, Oxford.

Rubin A. (Ed., 1988), Marks of civilization: Artistic transformations of the humanbody, Museum of Cultural History, Los Angeles.

Tassi F. (2016), Il Rinascimento del tatuaggio. Il significato psicologico di un’arte millenaria, Maddali e Bruni, Firenze.

Vale V., Juno A. (1989), Modern primitives, Re/Search Publications, San Francisco.

Winnicott D. (1971), Gioco e realtà (trad. it.), Armando, Roma, 2006.

Fulvio Tassi è psicologo, ricercatore di ruolo e docente di psicologia all’Università di Firenze. Si occupa principalmente della condizione postmoderna in riferimento alla crisi del senso del Sé e alle subculture giovanili.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 271 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui