Roberta Milanese

La giada e il mattone

La facoltà di strutturare la comunicazione in modo da portare l’interlocutore a leggere diversamente i fatti è fondamentale, specie quando non è possibile incidere sul fatto in sé.

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«Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che abbiamo delle cose», sosteneva Epitteto, ricordandoci quanto la nostra percezione della realtà e il modo in cui vi reagiamo dipendano essenzialmente dal nostro punto di vista. Quasi duemila anni più tardi, Paul Watzlawick tracciava la fondamentale distinzione tra «realtà di prim’ordine» e «di second’ordine». La prima, riferita alle proprietà fisiche degli oggetti; la seconda, alla nostra percezione di tale realtà. Esemplificativa è la famosa battuta sul fatto che, di fronte a un bicchiere pieno a metà, il pessimista lo vede mezzo vuoto e l’ottimista mezzo pieno. Stessa realtà di prim’ordine, opposte realtà di second’ordine. Ed effettivamente è esperienza comune rilevare come le persone reagiscano in maniera differente di fronte agli eventi della vita. Basti pensare a come dinanzi a situazioni decisamente drammatiche, quali un lutto o una malattia grave, alcuni riescano a trarre addirittura una spinta positiva e un senso più profondo dell’esistenza. 

La capacità di comunicare in maniera da guidare l’altro a cambiare il modo in cui percepisce gli eventi (ossia la sua realtà di second’ordine) è quindi cruciale, in particolar modo quando non ci è possibile intervenire direttamente su quella di prim’ordine. Con le parole di Proust, «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi».

Cambiare la cornice al dipinto. La tecnica comunicativa principe per raggiungere questo scopo è la ristrutturazione. Ristrutturare significa cambiare lo sfondo in relazione a cui è esperita una situazione, ponendola entro un’altra cornice che si adatta, ugualmente bene, o meglio, ai “fatti” della medesima realtà. Cambiare la cornice al quadro non ne cambia il contenuto, cioè il dipinto in sé, ma inevitabilmente determina un cambiamento nell’impressione globale che il quadro provoca nell’osservatore. Di fronte a un carico di lavoro impegnativo, per esempio, la situazione emotiva di chi deve svolgerlo è completamente differente se la sua percezione è quella di essere ingiustamente vessato dal capo, piuttosto che di essere il suo collaboratore più stimato e proprio per questo di ricevere gli incarichi più delicati e importanti. 

Per ristrutturare si possono usare narrazioni suggestive, domande strategiche, parafrasi riassuntive, aforismi e tutte le forme del comunicare che permettono di indurre “esperienze emozionali correttive”. Tramite la ristrutturazione possiamo suscitare avversione nei confronti di ciò che la persona dovrebbe cambiare o enfasi verso ciò che dovrebbe incentivare, conducendola a percepire le cose da un altro punto di vista e aggirando così la sua resistenza al cambiamento

Ristrutturare l’“altruista patologico”. Prendiamo, per esempio, la situazione della persona che si lamenta delle proprie relazioni affettive. Disponibile con tutti, non dice mai di no, è sempre presente, ma quando si tratta dei propri bisogni gli altri per lei non ci sono. Nonostante questo, la persona continua a dare aspettandosi, invano, di ricevere analoghe attenzioni. Se l’equilibrio tra “dare” e “ricevere” si sbilancia troppo, amareggiata e irritata può arrivare a chiudere il rapporto, ma finisce poi per replicare lo stesso copione nelle nuove relazioni. Di fronte a questa situazione, in cui le relazioni affettive sono effettivamente molto sbilanciate, di solito la persona si sente vittima di un mondo cattivo che non è in suo potere cambiare, visto che lei è nel giusto e sono sempre gli altri ad essere sbagliati ed egoisti.

Una maniera alquanto efficace di ristrutturare questa realtà di prim’ordine è guidare l’individuo a scoprire che è proprio il suo essere un “altruista patologico” ciò che finisce per rendere l’altro un “insano egoista”. Una complementarità disfunzionale in cui, al suo dare incondizionato, corrisponde un abituarsi a prendere da parte dell’altro, che finirà addirittura per scambiare queste cortesie per un diritto, diventando sempre più pretenzioso e meno incline al proprio dare.

Ristrutturare la situazione come una sorta di involontaria complicità tra il nostro altruista e l’egoista crea innanzitutto avversione verso la sua tendenza a dare sempre e comunque. Parallelamente, togliendolo dal ruolo di vittima, gli restituisce il potere di cambiare le proprie relazioni iniziando a comportarsi in modo differente. 

In linea con l’antico stratagemma cinese «Tirare il mattone per avere indietro la giada», invece di continuare a elargire “giada” e ricevere “mattoni”, possiamo suggerire alla persona di iniziare a lanciare piccole “mattonate”: far mancare qualche attenzione, opporre piccoli rifiuti di fronte alle richieste altrui, e così via. A poco a poco, percependo in lei questi cambiamenti, le altre persone saranno dolcemente indotte a iniziare a dare “giada”, per ristabilire la perduta vicinanza relazionale. Alla fine, questa sottile danza tra il dare e il ricevere porterà alla creazione di rapporti più equilibrati e connotati da una sana reciprocità

L’abile ristrutturazione della realtà di second’ordine rende così possibile anche il cambiamento di quella di primo, mirabile esempio di quanto espresso da Pascal nei suoi Pensieri: «Le parole ordinate diversamente danno luogo a significati diversi; e i significati ordinati diversamente producono effetti diversi».

Roberta Milanese, autrice di numerose pubblicazioni, è docente nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica di Arezzo e Firenze e in master di specializzazione in Italia e all’estero.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Milanese R. (2020), L’ingannevole paura di non essere all’altezza, Ponte alle Grazie, Milano.

Nardone G. (2020), Ipnoterapia senza trance, Ponte alle Grazie, Milano.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 283 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui