Sara Gabri

Fare psicologia a distanza per accogliere il cambiamento

La recente quarantena ci ha obbligati a riorganizzare la distanza anche sul piano della consulenza psicologica e psicoterapeutica, proponendo dei setting online. Una sfida da sviluppare anche dopo l’emergenza.

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Con la pandemia che ha colpito l’Italia e il mondo dall’inizio del 2020, la maggior parte delle persone si è connessa sempre più in network virtuali per sentirsi unite pur restando distanti. In realtà, questo stare in Rete – che pure va contestualizzato nel bisogno, accentuato dal confinamento a casa, di surrogare a livello informatico quei contatti dal vivo che per tanti mesi non ci siamo potuti dare – rappresenta un’esasperazione di comportamenti sociali che caratterizzano almeno un decennio: essere online ovunque e sempre. Nel solo ambito italiano, sono quasi 50 milioni i soggetti online che restano connessi circa 6 ore al giorno (We Are Social, 2020): a documentare quanto la tecnologia e il web siano una prassi consolidata, quasi indispensabile. Numeri ancor più rilevanti se si considera che la ricerca riporta i dati di un contesto precedente al Covid-19, il quale per molto tempo ci ha appunto imposto il distanziamento sociale e un aumento delle connessioni virtuali.

In uno scenario di questo tipo anche il rapporto tra paziente e psicologo trova risposta nel virtuale, nonostante le barriere e le incertezze che ne possono derivare. Ma quali sono i cambiamenti nella pratica quando la terapia “va online”? Riguardano soltanto i neofiti o hanno riguardato anche i professionisti che già operavano attraverso gli strumenti digitali prima della pandemia? È importante considerare i 4 aspetti principali di ciò che rappresenta il fenomeno del cosiddetto “going online & getting digital” della psicologia in Italia: le persone, il contesto, gli strumenti, il mindset del professionista.

COME CAMBIA L’UTENZA

L’utilizzo delle tecnologie nel rapporto terapeutico ha trovato spazio e si è evoluto per rispondere ai continui cambiamenti sociali, lavorativi e individuali a cui le persone sono chiamate. Agende piene di impegni, frequenti trasferte, variazioni di sede o di residenza hanno portato il bacino di clienti a pensare di affidarsi alle nuove tecnologie per poter proseguire, o iniziare, un percorso psicologico. Un servizio utile anche agli italiani all’estero, che potrebbero incontrare difficoltà nel descrivere l’ampio spettro di sensazioni o emozioni in una lingua che per quanto fluente non è la propria e con un retroterra culturale lontano. Sono molti, quindi, i casi in cui le nuove tecnologie hanno rappresentato un valido supporto alla pratica, ma con la pandemia e il lockdown che ne è derivato l’utenza con cui lavorare non è più stata composta solamente da persone che avevano maturato una consapevolezza nell’uso di questa modalità come risposta pratica alle proprie esigenze di vita. Gli strumenti a distanza sono diventati una necessità anche per i clienti abitualmente ricevuti in studio, i quali sono dovuti passare a sedute virtuali per rispettare il distanziamento sociale, ma non avevano deliberatamente scelto un percorso online.

Viene da chiedersi cosa accada alla relazione terapeutica in questi casi e come vada gestita: improvvisamente ci si trova davanti al computer con pazienti che seguiamo magari da anni di persona, oppure con persone che, se non indotte dalla situazione, non avrebbero mai scelto di collegarsi da casa, perché andare dallo psicologo significava anche lasciare alcuni pensieri lì, in uno spazio altro. È doveroso leggere tali cambiamenti ed essere proattivi nell’attuare soluzioni che permettano di proseguire un percorso psicologico a distanza, accompagnando il paziente all’impiego delle tecnologie di supporto, approntando significati e pratiche condivise che mirino a eliminare le barriere che potrebbero insorgere nel paziente. Per il professionista, ciò significa dover attivare risorse nuove e interrogarsi sulle possibili risposte delle persone che ha in carico, costruendo strategie mirate.

ADATTARE LE PRASSI A SETTING INEDITI

Parlare di pratiche condivise è più semplice quando ci si riferisce a contesti in cui la gestione del setting presenta delle analogie: lo studio del professionista, un consultorio o uno spazio dedicato e organizzato in cui il cliente decide di effettuare la seduta online. Certamente la pratica a distanza richiede alcune accortezze, come per esempio esplicitare l’impostazione del setting, co-costruire lo spazio di lavoro e condividere le dinamiche attivate. La competenza del professionista nella gestione di situazioni, più o meno tipiche, nella pratica a distanza è ciò che ha sempre reso possibile intervenire con efficacia.

Nel panorama attuale, di tipico c’è ben poco: gli spazi in casa sono spesso condivisi con gli altri componenti della famiglia e quand’anche non è così può accadere che per la persona lo stesso spazio nell’arco della giornata assuma valenze differenti; un attimo prima della seduta online quella stessa stanza era la cucina-ufficio in cui la sera si guarda anche un film, da soli o con tutta la famiglia. In effetti, dallo schermo del nostro device vedremo non più sfondi neutri, spaccati di sale riunioni prenotate ad hoc e pazienti vestiti “da ufficio”, oppure case vuote in cui il paziente si dedica il proprio tempo mentre i familiari sono a lavoro, a scuola o in giro per commissioni concordate per riservare quel momento di privacy, ma potremmo confrontarci anche con spazi angusti magari ricavati in una camera da letto, sedili di auto parcheggiate nel vialetto, abbigliamento da casa e “interferenze” esterne, come intrusi che entrano nello schermo.

Naturalmente questa promiscuità di significati rende difficile connotare quel luogo come uno spazio “sicuro” e non è sempre facile che le persone riescano a percepirlo come tale se sentono le voci dei propri familiari nella stanza accanto. Perciò occorrono un’attenzione ancora maggiore alla gestione dei contesti con cui si entra in contatto e una capacità di lettura critica di tutte le combinazioni possibili entro le quali ci si potrebbe trovare a operare. Appare sempre più necessario creare una buona pratica condivisa con il paziente, che permetta una migliore costruzione di significati e un più efficace lavoro terapeutico: la parola chiave è esplicitare.
Lo sforzo del terapeuta, in tal caso, è quello di leggere la situazione e fornire delle strategie al paziente in modo che lo spazio per il lavoro psicologico venga preservato.

Soprattutto in un periodo di quarantena, è importante raccomandare la tutela di spazi personali, siano essi fisici o mentali, connotati da un significato e da unintenzione attribuiti consapevolmente dal soggetto. Questo processo può sicuramente assumere una valenza positiva anche in termini di resilienza.
Quando il paziente si reca presso lo studio del professionista ha un tragitto da compiere, un avvicinamento progressivo, un’attesa e uno spazio di allontanamento pure fisico; è compito dello psicologo quello di costruire e rimodulare tali momenti anche nella pratica a distanza. Le modalità di attuazione possono naturalmente variare in base alla sensibilità professionale e all’approccio adottato, l’importante è evitare il rischio di un taglio netto tra il momento della seduta e il ritorno alla quotidianità.

NUOVI STRUMENTI PER NUOVI BISOGNI

Fino a poco prima dell’avvento della crisi epidemiologica, sia chi era solito effettuare sedute online sia chi non aveva mai preso in considerazione questa pratica, riferendosi agli strumenti idonei per interventi a distanza citava sicuramente (e quasi unicamente) Skype: una piattaforma efficace, gratuita, con funzionalità adatte alla tipologia di videochiamate, abbastanza sicura sotto il profilo della privacy. In realtà, gli strumenti e le piattaforme a disposizione per rimanere in contatto anche a distanza sono molti, e a partire dallo scorso febbraio ne siamo diventati sempre più consapevoli. Quello che conta davvero è esplorarle e conoscerle per poter proporre sempre la soluzione adatta alla situazione che abbiamo davanti: open source o a pagamento, user friendly e basic o superperformante ma complessa, solo chiamata voip o con funzioni tipo pool e survey, singola o di gruppo?

Nell’intervento online, come in ogni intervento in ambito psicologico, è il professionista a dover selezionare la strategia di lavoro e lo strumento da adottare. Ancora una volta lo sforzo di esplicitazione genera consapevolezza e condivisione di intenti tra paziente e psicologo.
Parlando di strumenti e risorse ci si riferisce, ovviamente, a tutto ciò che ci permette di affrontare la complessità e di gestirla in modo adeguato, includendo gli strumenti di comprensione dei fenomeni. In quest’ottica sono tante le iniziative di formazione messe in campo nel periodo di emergenza dalla comunità professionale, con un aumento dei webinar (seminari via web) e di contenuti proposti su differenti canali, a livello regionale o nazionale. Sono stati promossi tutorial per la pratica online, indicazioni operative e indagini sui vissuti dei professionisti, fino ad arrivare a promuovere un numero di telefono nazionale per il supporto psicologico a distanza e la fondazione di nuove realtà per la psicologia online.

Tutto ciò a testimoniare un momento di grande fermento per la comunità professionale, che è probabile si traduca anche in una spinta alla ricerca scientifica, come già si comincia a vedere dalla moltitudine di questionari e condivisioni sui canali social.

SE TUTTO CAMBIA, SAREMO IN GRADO DI CAMBIARE?

I primi a doversi confrontare con l’introduzione della tecnologia sono stati proprio i professionisti. Infatti, dopo almeno vent’anni di analisi scientifica e pratica sull’efficacia della telepsicologia, ancora molti psicologi non si erano mai avvicinati a questa tipologia di seduta, prima dell’emergenza Coronavirus; altri non l’hanno fatto nemmeno durante la pandemia. Se in altre sfere del lavoro psicologico, come per esempio colloqui di assunzione o mentoring, la prassi online non vede barriere nell’adozione, per quanto riguarda la pratica clinica tanto spesso si sono trovati ostacoli, forse dovuti alla difficoltà di approccio terapeutico.

La percezione di mancanza di basi teoriche, la scarsa formazione anche in ambito universitario e l’abitudine hanno di fatto allontanato numerosi professionisti dall’utilizzo delle nuove tecnologie nel proprio lavoro clinico. Eppure, l’attuale pandemia ha portato a dover ripensare a tutte le nostre certezze personali e professionali, quasi obbligandoci a prendere in considerazione il lavoro a distanza con i colleghi e con i pazienti, a informarci e formarci. Il mindset di riferimento si è ampliato ed esteso, rompendo anche quelle barriere che potevano esistere in precedenza.

L’imperativo è elaborare questi nuovi ancoraggi con i pazienti e gli utenti di un qualsiasi percorso psicologico, lavorare con loro sui significati in modo da renderli nuovamente condivisi e ricreare con loro una prassi. La tecnologia fa già parte della quotidianità di tutti, va consolidata la possibilità di renderla adatta anche al rapporto terapeutico, lavorando sulla costruzione di senso e sulla pensabilità di tale opzione.

La condizione in cui ci troviamo a vivere (pazienti e professionisti) in questo particolare contesto storico è accompagnata da un portato di emozioni e insicurezze che ci spinge a controllare il controllabile attraverso routine e setting nuovi che includono pratiche inimmaginate fino a poco tempo fa. In assenza di situazioni drammatiche e con una gestione consapevole, ciò ha aspetti molto più positivi che negativi. Per fare un esempio, se è lecito aspettarsi dal paziente una narrazione assai centrata sul contesto e un aggiornamento sulla situazione legata all’emergenza, è anche naturale assistere a manifestazioni di sincero interesse per le condizioni del terapeuta. Basta questo per testimoniare il cambiamento a cui la relazione è sottoposta.

La capacità di vedere opportunità e di favorire nuove letture è una competenza fondamentale per lo psicologo, che accoglie punti di vista diversi e si misura quotidianamente con vissuti complessi e articolati, contribuendo a dipanare gli elementi per affrontarli e gestirli. Proprio ciò ci è richiesto di fare anche adesso, senza dimenticare una caratteristica fondamentale dell’attuale situazione: siamo tutti immersi in questo contesto e ne condividiamo le fatiche e i risultati.

TRASFORMARE LE BARRIERE IN OPPORTUNITÀ

Un fenomeno che potrebbe accadere nella fase di ripartenza anche a chi ha abbracciato questa modalità in fase di emergenza è l’abbandono repentino in favore di un ritorno alle pratiche abituali. Sarebbe una reazione comprensibile, ma porterebbe a perdere un’opportunità di evoluzione della pratica. Il “diritto alla disconnessione” va sempre preservato, ma la consapevolezza rimane la strada più efficace: quando mantenere pratiche a distanza? In quali ambiti e con quali modalità?

Guidare il cambiamento con apertura e competenza è il futuro della psicologia, se sarà capace di evolvere. Ché, di fatto, non si può più prescindere dall’utilizzo delle tecnologie nel lavoro terapeutico, e non solo perché questa crisi ci ha obbligati a cambiare tante delle nostre routine, prassi e probabilmente anche delle nostre certezze. La tecnologia e le nuove forme di connessione a distanza sono parte integrante della vita dell’individuo e gli psicologi, operando e agendo con l’individuo, non possono prescindere dal prendere in considerazione tali strumenti, pratiche e significati.

Se, da una parte, è possibile sentirsi spaesati pensando a queste nuove possibilità, magari per la mancanza di formazione e di basi teoriche su cui appoggiarsi oppure per i cambiamenti avvenuti nel contesto di lavoro, dall’altra parte si assiste a un grande incremento delle proposte e delle attività della comunità degli psicologi.

L’emergenza ci presenta una realtà ancora in mutamento, ma una cosa è importante: se la crisi ci ha portati a imparare sul campo, dobbiamo cogliere l’opportunità per continuare a far crescere la conoscenza teorica non solo nella comunità scientifica, ma anche nella formazione dei nuovi professionisti.

Sara Gabri è psicologa e collabora con l’Università Cattolica di Milano come cultrice della materia per Psicologia del lavoro. Ha conseguito un dottorato di ricerca sull’utilizzo delle nuove tecnologie nelle organizzazioni.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Algeri D., Gabri S., Mazzucchelli L. (2018), Consulenza psicologica online. Esperienze pratiche, linee guida e ambiti di intervento, Giunti Psychometrics, Firenze.

CNOP – Consiglio Nazionale Ordine Psicologi (2020), «Strumenti per lo Psicologo 2.0», https://www.youtube.com/watch?v=05kwR-N51jw&feature=youtube

CNOP – Consiglio Nazionale Ordine Psicologi (2020), «Linee di indirizzo per l’intervento psicologico a distanza a favore della popolazione nell’emergenza Covid-19», https://d66rp9rxjwtwy.cloudfront.net/wp-content/uploads/2020/04/LINEE-DI-INDIRIZZO-PER-LINTERVENTO-PSICOLOGICO-A-DISTANZA-A-FAVORE-DELLA-POPOLAZIONE-NELLEMERGENZA-COVID-19.pdf

OPL – Ordine Psicologi Lombardia (2017), «Stato dell’arte della ricerca scientifica sulle prestazioni psicologiche a distanza al 2017», https://www.opl.it/come-fare-per/Stato-dell-arte-della-ricerca-scientifica-sulle-prestazioni-psicologiche-a-distanza-al-2017.php?t=3729

We Are Social (2020), «Digital 2020 Italia», https://wearesocial.com/it/digital-2020-italia

Questo articolo è di ed è presente nel numero 280 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui