Giorgio Nardone, Vittorio Porpiglia

È il futuro, più che il passato, a creare il nostro presente

Molto spesso, anche quando ci pare di scoprirlo, il futuro in realtà lo inventiamo noi. Per esempio, mediante le profezie che si autoavverano.

 

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Blaise Pascal, da sottile osservatore dell’animo umano, scrive nei suoi Pensieri: «Affinché le passioni non ci nuocciano, dovremmo pensare di avere solo otto giorni di vita». Con questa sorprendente indicazione il grande persuasore crea uno scenario ove il futuro influenza il presente orientandolo verso l’essenziale della vita del soggetto messo di fronte alla sua imminente dipartita. Ovvero proietta una prospettiva che fa leva su un futuro a termine, tale da influenzare la persona a fare, in quei pochi giorni che le restano, le cose per lei davvero più importanti. 

BURATTINI E BURATTINAI

Questo espediente filosofico svela il potere del futuro immaginato sul nostro agire presente, mostrando come le nostre aspettative siano più influenti di qualunque altra forma di sentire e pensare. Difatti, noi tutti temiamo ciò che può accadere, non ciò che è già accaduto e, anche quando abbiamo vissuto qualcosa di davvero traumatico, ciò di cui abbiamo più paura è che possa riproporsi. In altri termini, al contrario di ciò che troppo spesso la psicologia tradizionale induce a pensare, il passato influenza il presente molto meno del futuro, perché è quest’ultimo che rappresenta anche la proiezione di ciò che ci ha già fatto soffrire e che temiamo si ripresenti.

La gran parte, poi, degli approcci psicoterapeutici, basati su una causalità lineare che vede il presente e il futuro determinati dalle esperienze passate, considera la rielaborazione del passato il fondamentale atto da realizzare nel processo di cura del paziente. Questo a scanso del fatto che la moderna scienza da oltre cento anni abbia dimostrato l’inadeguatezza di tale criterio epistemologico alla rigorosa analisi dei fenomeni umani, poiché queste si reggono su dinamiche di causalità circolare e di reciproca influenza tra i fattori in gioco. Pertanto, se indubbiamente il nostro passato ci influenza è anche perché il nostro percepirlo presente lo modifica. 

Gli studi della memoria mostrano come questa spesso ci menta sul nostro passato, in quanto influenzata dai nostri stati d’animo attuali. Oppure mostrano come la speranza nel futuro ci faccia rileggere positivamente anche il peggiore dei passati.

Presente e futuro si influenzano reciprocamente all’interno di un gioco di circolare dinamica di influenzamento, attraverso il quale le cause producono effetti che retroagiscono su di esse rovesciando la dinamica, come già l’antico filosofo Eraclito aveva espresso, ossia il procedere della realtà attraverso il costante rotolare su se stessa, invertendo il funzionamento dei fenomeni nel loro mutuo influenzamento.

Tuttavia, all’interno di questa irriducibile complessità dello svolgersi temporale della nostra esistenza, c’è un fattore decisamente semplificante: il passato non può essere cambiato, tutt’al più può essere rielaborato, mentre il presente e soprattutto il futuro possono essere attivamente modificati.

Questa, che può sembrare una ovvietà, fa la differenza quando ci occupiamo della riduzione della sofferenza o della realizzazione di scopi importanti, poiché indica che ci si deve focalizzare su ciò che può essere cambiato e non sull’immutabile. Pertanto ogni intervento orientato a produrre cambiamenti dovrebbe essere focalizzato sul presente e sul futuro.

Una volta assunta questa prospettiva, che può parere addirittura banale ma che così non è, alla luce della tradizione della psicologia e della psichiatria, si deve considerare che, in contrasto con il senso comune e, di nuovo, con una visione di causalità lineare, è il futuro a influenzare come il presente venga gestito. Cioè, sono le nostre aspettative per il futuro a determinare le nostre azioni nel presente.

Se mi aspetto che una persona mi sarà ostile, mi porrò nei suoi confronti in termini difensivi; al contrario, se sono convinto di piacerle, mi porrò in modo da ricambiare il compiacimento.

Come afferma brillantemente la nota scrittrice J. K. Rowling, «Siamo legati con vincoli invisibili ai nostri timori, siamo il burattino e il burattinaio, vittime delle nostre aspettative». Infatti la maggioranza delle nostre azioni è determinata dai nostri tentativi di “controllare” gli eventi, vale a dire dal cercare di gestire il nostro futuro, sia a breve che a lungo termine, attraverso ciò che agiamo nel presente.

LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA

L’evoluzione dell’uomo nei millenni, con il suo crescente incremento della sua facoltà di manipolare la realtà, ha aumentato esponenzialmente la sua tendenza al “controllo” delle cose e degli eventi, facendo sì che le sue previsioni lo influenzino costantemente sul suo agire presente.

A questo riguardo mi sia permessa una nota tragicomica: il lettore deve sapere che la ricerca di informazioni messa in atto maggiormente dall’uomo moderno è quella relativa alle previsioni meteorologiche. Ciò indica il grande potere di preoccupare o di rassicurare di queste notizie, che a sua volta conferma l’influenza del futuro sul presente, soprattutto come il desiderio di controllarla causi la messa in atto anche di azioni decisamente poco ragionevoli.

Si pensi al successo senza tempo di cartomanti, astrologi e lettori della mano nonché all’onnipresenza dell’oroscopo in riviste e programmi televisivi: un dato che mette in evidenza come, nel tentativo di rassicurarsi rispetto al futuro, gli esseri umani credano pure nell’incredibile o si facciano abbindolare da ciarlatani disonesti.

O ancora – un dato davvero sconcertante – pensiamo a come circa la metà degli esami diagnostici richiesti al servizio sanitario risulti inutile, visto che si tratta solo di accertamenti tesi a rassicurare senza alcuna reale sintomatologia, frutto pertanto della paura di ammalarsi e del tentativo di controllare ciò con ricorrenti analisi mediche.

Al proposito è importante dire che all’interno delle dinamiche che l’uomo attiva nei confronti del suo futuro, tra i meccanismi individuati che si ripetono ridondantemente quella forse più sorprendente è l’effetto “profezia che si autoavvera”.

Essa è rappresentata dal fatto che una realtà creduta finisce per essere realizzata attraverso le azioni che il soggetto mette in atto per evitarla, se ne è spaventato, o per realizzarla, se ne è desideroso.

Da notare che il primo effetto è ben più frequente del secondo, ovvero siamo più bravi a realizzare ciò che temiamo di ciò che desideriamo.

Il primo esperimento formale a tal riguardo fu quello operato dal sociologo Merton, il quale sparse la voce di un imminente fallimento di una piccola banca di una cittadina statunitense innescando così la corsa dei correntisti a prelevare i loro risparmi e provocando il reale fallimento dell’istituto di credito.

Nello stesso modo annunci di scarsità di un bene commerciale conducono alla rincorsa del suo acquisto per garantirselo, tanto che questa è divenuta anche un’astuta modalità di vendita, un effetto ripetutamente dimostrato dalle ricerche e dagli esperimenti nella storia della psicologia.

Ma, ancora prima delle sperimentazioni scientifiche, la profezia che si autoavvera è ben nota fin dall’antichità. Si pensi alla tragedia di Edipo: tutto inizia con la profezia che l’oracolo di Delfi lancia a Laio, il padre di Edipo: «Tuo figlio ti ucciderà e giacerà con tua moglie, sua madre». Il re, per sfuggire al terribile vaticinio, allontana il figlio abbandonandolo nella foresta al limite del proprio regno, con i testicoli legati agli alluci dei piedi e le mani legate dietro la schiena. Fortunatamente egli viene salvato dai regnanti limitrofi che lo trovano semicongelato durante una battuta di caccia e ne restano così commossi da adottarlo. Edipo cresce alla loro corte divenendo forte e un principe determinato. Un giorno, mentre sfreccia sulla sua biga, si scontra con quella di Laio a un crocevia affrontato da entrambi ad alta velocità. Dall’incidente scoppia un alterco che finisce in uno scontro letale per il padre. Ciò dà il via a una guerra tra i due regni limitrofi, vinta dall’esercito di Edipo, il quale secondo tradizione si impossessa della regina del regno perdente trasformandola in sua concubina. Ebbene, la profezia si è realizzata proprio in virtù del tentativo di Laio di sfuggirvi.

L’INVENZIONE DEL FUTURO

Tornando alle sofferenze moderne, un esempio è dato dalla classe di problematiche legate al disturbo ipocondriaco. La persona che soffre di tale sindrome finisce per realizzare il proprio timore maniacale di ammalarsi, poiché nel suo continuo essere in allarme e nel suo continuo tentativo di controllare l’eventuale insorgere di una patologia mantiene l’organismo in uno stato di stress psicofisiologico abbattendone le difese immunitarie e finendo per ammalarsi davvero.

Tuttavia, sebbene siamo più capaci di realizzare profezie negative che positive, tramite particolari tecniche psicologiche è possibile conseguire importanti effetti terapeutici che utilizzano questo meccanismo. Si pensi, per esempio, al “placebo”, che, per quanto denigrato come strumento della medicina ufficiale, rappresenta forse il più importante ausilio, spesso involontario, nella maggioranza delle terapie. Cioè l’aspettativa che la terapia sia efficace.

Pertanto il saper comunicare con il paziente in maniera suggestiva in modo da alimentare le sue aspettative rappresenta un formidabile strumento terapeutico, il che vale tanto per la somministrazione di farmaci quanto per prescrizioni di comportamento. Nell’ambito della terapia psicologica, gli approcci strategici utilizzano forme di linguaggio suggestivo-persuasorio, allo scopo di far sì che il futuro influenzi il presente del paziente nella direzione terapeutica.

Paul Watzlawick negli anni Settanta, riprendendo la lezione di Pascal, elabora le tecniche del “come se”, ossia domanda ai suoi pazienti di immaginare cosa avrebbero fatto di diverso nelle loro giornate, come se il loro disturbo fosse già superato, esortandoli poi a mettere realmente in atto le azioni immaginate.

Steve de Shazer, riprendendo il lavoro di J. Weakland elabora la “miracle question”. La tecnica, finalizzata ad aiutare il paziente a proiettarsi al di là del problema, è così formulata: «Supponiamo che stanotte, mentre è a casa addormentato, accada un miracolo e il suo problema si risolva. Da cosa se ne accorgerebbe? Come saprebbe che il miracolo è accaduto? Che cosa noterebbe di diverso? Da cosa se ne accorgerebbero le persone intorno a lei?». Attraverso questa domanda, il paziente e il terapeuta, focalizzati sulla soluzione futura piuttosto che sul problema presente, iniziano una ricerca congiunta per scoprire tutti quei segnali che indicherebbero che il miracolo è avvenuto e il problema è scomparso.

Nel corso della mia ventennale collaborazione con il “maestro” Watzlawick, abbiamo elaborato ulteriormente la tecnica del “come se”, rendendola più applicabile ed efficace, facendo concentrare il paziente sul più piccolo cambiamento quotidiano da realizzare che fosse segno del superamento dei suoi problemi. In modo da rendere l’intervento più agevole e in grado di innescare una reazione a catena di cambiamento, paragonabile all’effetto valanga innescato dalla piccola palla di neve che rotolando si ingigantisce sino a trasformarsi nell’evento catastrofico.

Questa tipologia di intervento psicologico applicabile non solo in terapia ma anche nel campo della performance e del management utilizza strategicamente la forza del futuro per cambiare il presente, come pure il potere dell’immaginazione per superare i limiti della ragione.

Con le parole di Benjamin Franklin, «Il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo».

 

Riferimenti bibliografici
DE SHAZER S. (1994), Words were originally magic, Norton, New York.
NARDONE G. (2014), L’arte di mentire a se stessi e agli altri, Ponte alle Grazie, Milano.
NARDONE G., BALBI E. (2008), Solcare il mare all’insaputa del cielo, Ponte alle Grazie, Milano.
WATZLAWICK P. (2013), Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica (trad. it.), Feltrinelli, Milano.

Questo articolo è di ed è presente nel numero 267 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui