Giorgio Gronchi, Niccolò Mecacci

Come usare la matematica per studiare la mente

COME FANNO LE PERSONE A PRENDERE DECISIONI IN TEMPI RAPIDI? L’APPLICAZIONE DELLA PROBABILITÀ QUANTISTICA ALLO STUDIO DEL PENSIERO HA APERTO NUOVI AMBITI DI RICERCA

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Supponiamo di udire il suono dell’antifurto installato in giardino: c’è un ladro che sta cercando di entrare in casa? Oppure è il gatto del vicino? In questa situazione, ognuno di noi, pur non essendo un matematico o un esperto di calcolo delle probabilità, in pochi secondi è in grado di valutare la probabilità soggettiva delle diverse alternative. Se in città negli ultimi tempi c’è stato un aumento dei furti, penseremo seriamente alla presenza di un ladro. Viceversa, se poco prima ci è sembrato di udire un miagolio, probabilmente sarà il gatto. Sfruttiamo le nostre capacità intuitive di stimare la probabilità di eventi ogni qual volta prendiamo decisioni in condizioni di incertezza: pioverà stasera? Qual è la strada migliore da percorrere per arrivare all’aeroporto in tempo?

Gli psicologi hanno indagato queste capacità con metodi diversi: dai tradizionali esperimenti comportamentali (pensiamo agli studi di Jean Piaget) fino alle ricerche più recenti sulle basi cerebrali del ragionamento probabilistico. In questo contributo, ci focalizzeremo su un aspetto specifico: come è stata usata la matematica per descrivere i processi mentali alla base della capacità intuitiva di ragionare in condizioni di incertezza.

A partire dagli anni Settanta, gli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky hanno mostrato come le persone, quando prendono decisioni, spesso si affidano a euristiche, ovvero strategie di pensiero veloci e automatiche. Tuttavia, l’uso delle euristiche talvolta implica la violazione dei principi, anche molto semplici, del calcolo delle probabilità.

Per esempio, avendo un sacchetto di biglie rosse e nere, è banale osservare che è più probabile pescare una biglia rispetto a una biglia rossa: di fatti, le biglie rosse sono un sottoinsieme della categoria biglie. Supponiamo invece di considerare gli ordini di un ristorante giapponese: è più probabile trovare un ordine che includa aranciata oppure un ordine che includa sia sushi sia aranciata? Si osserva che le persone tendono a stimare “sushi e aranciata” come più probabile, violando i principi della probabilità. Questo errore prende il nome di “fallacia della congiunzione” perché si ritiene maggiormente probabile il verificarsi della congiunzione di due eventi (“sushi e aranciata”) rispetto alla probabilità del verificarsi di uno dei due insiemi più ampi (“aranciata”). Secondo Kahneman e Tversky, le persone rispondono in questo modo perché si affidano all’euristica della rappresentatività, ovvero stimano la probabilità sulla base di quanto le due opzioni assomiglino al prototipo mentale suggerito dalla descrizione (il ristorante giapponese).

La fallacia della congiunzione è una delle tante evidenze a favore della tendenza delle persone a violare i principi normativi del calcolo delle probabilità. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Novanta, gli scienziati cognitivi Josh Tenenbaum e Tom Griffiths hanno rovesciato questa prospettiva: dato che la mente umana è il risultato dell’evoluzione naturale, ci possiamo aspettare che ottimizzi un qualche obiettivo. In altri termini, a cosa serve prendere una decisione sulla base dei nostri prototipi mentali?

Nell’esempio precedente, affermare che “sushi e aranciata” sia più probabile è un errore se supponiamo che le persone confrontino P(aranciata) con P(sushi e aranciata). D’altra parte, è evidente che, se vogliamo mangiare del sushi, il luogo giusto dove andare è un ristorante giapponese! Formalmente, se consideriamo solo gli ordini che includono aranciata, i ristoranti giapponesi saranno una frazione molto bassa di tutti i possibili ristoranti in cui sono stati fatti quegli ordini. Viceversa, se consideriamo solo gli ordini che includono “sushi e aranciata”, i ristoranti giapponesi saranno estremamente più frequenti (e quindi più probabili) rispetto a tutti gli altri possibili ristoranti! Quindi, se riusciamo a capire qual è il paragone che le persone, a livello intuitivo, stanno facendo, possiamo riscontrare che effettivamente sono in grado di fornire risposte corrette dal punto di vista della teoria della probabilità!

Secondo Griffiths e Tenenbaum, la teoria della probabilità può rappresentare una sorta di “cassetta degli attrezzi” per sviluppare una vera e propria teoria formale di come funziona la mente quando deve prendere delle decisioni in condizioni di incertezza. Una delle evidenze più forti a favore di questa prospettiva è un famoso esperimento, nel quale è stato chiesto di determinare la grandezza finale di una certa variabile (supponiamo, la durata totale della vita di una persona) a partire dall’osservazione della medesima variabile in un periodo antecedente. Per esempio, supponiamo di valutare l’aspettativa di vita di una persona di 35 anni. Da un punto di vista matematico si tratta di un problema molto sofisticato che richiede l’applicazione della regola di Bayes. Senza entrare nei dettagli, secondo questa regola, la durata totale della vita a partire dall’età attuale (35 anni) è proporzionale al prodotto di due termini. Il primo è la probabilità di incontrare una persona di 35 anni con una vita totale (futura) pari a quella che ipotizziamo: gli autori assumono che questi incontri siano casuali e quindi tale quantità è uguale per tutti gli individui (nello specifico, si tratta di una distribuzione uniforme). Il secondo termine corrisponde alla distribuzione della durata massima della vita di un generico individuo: gli autori hanno considerato una vita media di 75 anni con una certa variabilità attorno a questa stima (nello specifico una deviazione standard di 15 anni). Il risultato di tale prodotto ci consente di stimare la durata totale della vita a partire dall’età attuale: si osserva che, fino a quando l’individuo in questione ha un’età inferiore alla vita media, la regola di Bayes predice una vita massima pari a questa quantità. Quando l’individuo ha un’età prossima o superiore a quella media, la stima aumenta progressivamente. Nella loro famosa pubblicazione, Griffiths e Tenenbaum hanno chiesto a persone che non conoscono il calcolo delle probabilità di effettuare tale stima e hanno osservato risposte in linea con la regola di Bayes! D’altra parte, fornire la stima corretta è intuitivo: se ci viene chiesto fino a quanto vivrà una persona di un’età X, se tale valore non è troppo alto, tenderemo a usare l’aspettativa di vita media come risposta. Nel caso in cui l’età X si avvicini all’aspettativa di vita media, incrementeremo di qualche anno questa stima iniziale basata sulla durata di vita media.

Questo ragionamento intuitivo, come abbiamo notato, è razionale dal punto di vista della teoria della probabilità: contrariamente a quanto osservato nelle ricerche di Kahneman e Tversky, siamo in grado di rispondere correttamente a complessi problemi di probabilità usando solo la nostra intuizione! Com’è possibile? Secondo Griffiths e Tenenbaum, la mente umana riesce a fornire delle risposte corrette a livello intuitivo se quella risposta ha un significato adattivo ovvero, se nell’arco della nostra storia evolutiva ci ha consentito di aumentare la possibilità di sopravvivenza nell’ambiente in cui vivevamo. È evidente che, per gli ominidi della savana, risolvere problemi di matematica o statistica non aveva alcun significato adattivo; viceversa, stimare la durata massima di un certo evento in modo più o meno accurato sì! Questo approccio si chiama analisi razionale perché, preliminarmente, è necessario determinare quale sia il criterio che la nostra mente “ottimizza” (nel senso che tende a rispondere in modo razionale) sulla base del proprio adattamento all’ambiente. Per stabilire la decisione ottimale che massimizza questo criterio viene usata la teoria della probabilità con un’enfasi particolare data alla regola di Bayes: per questo motivo, si usa l’espressione “modelli probabilistici Bayesiani” per indicare la prospettiva che negli ultimi vent’anni ha acquisito un ruolo centrale nell’ambito dello studio delle funzioni mentali.

Tuttavia, da circa dieci anni, è stato proposto un approccio alternativo ai modelli probabilistici bayesiani: Jerome Busemeyer, insieme a molti altri ricercatori, ha ipotizzato che la teoria della probabilità che si usa nell’ambito della fisica quantistica (che chiameremo probabilità quantistica) sia uno strumento maggiormente capace di spiegare le funzioni mentali rispetto alla teoria della probabilità classica/bayesiana. Quest’ultima si fonda sul modo in cui abbiamo imparato a calcolare la probabilità a scuola: fare il rapporto tra numero di eventi favorevoli e numero di eventi possibili. È utile ricorrere agli insiemi: dato l’insieme di tutti gli eventi possibili (per esempio, tutte le possibili carte in un mazzo da gioco italiano, ovvero 40 diverse carte), contiamo quanti elementi ci sono nel sottoinsieme degli eventi favorevoli (per esempio, le carte di cuori, cioè 10). Facendo il rapporto, è facile stabilire che la probabilità di estrarre una carta di cuori in un mazzo da 40 è 10/40, ovvero 1 su 4. La teoria della probabilità quantistica rappresenta la probabilità di un evento in un modo completamente diverso: semplificando molto, rappresentiamo lo stato di un sistema (supponiamo che rappresenti la mia decisione sull’acquisto di un’auto) con un vettore. In questa sede è sufficiente definire un vettore come un segmento con un verso: un’estremità del vettore è posta all’incrocio degli assi cartesiani mentre l’altra estremità è orientata in una particolare direzione. Gli assi rappresentano le decisioni che il sistema cognitivo può prendere: nella figura a sinistra, l’asse delle ordinate (ovvero quello verticale) rappresenta la mia scelta di acquistare l’auto, mentre quello delle ascisse la scelta di non acquistarla.

Grafico.png Finché il vettore di stato (in verde) non coincide con uno degli assi, sono in una condizione di indecisione circa il mio acquisto: questo riflette bene la natura incerta e ambigua delle nostre rappresentazioni mentali. Quando viene rivolta la domanda “Compri l’auto o no?”, il vettore di stato è forzato a collassare su uno dei due assi. La probabilità di rispondere “si” o “no” dipenderà dalla posizione del vettore di stato: più è vicino a uno degli assi, più è probabile che collasserà proprio su quell’asse e quindi sulla risposta corrispondente. Formalmente, la probabilità si calcola proiettando il vettore sull’asse e facendo il quadrato della proiezione: semplificando, per stabilire qual è la probabilità più alta è sufficiente osservare sull’asse corrispondente quale sia la proiezione più lunga. Nella figura a sinistra è facile verificare che, essendo il vettore di stato più vicino all’asse “Acquisto SI”, la sua proiezione su quest’ultimo è più lunga rispetto alla proiezione sull’asse “Acquisto NO”.

Le potenzialità dell’applicazione della probabilità quantistica per studiare il pensiero si coglie considerando più coppie di assi contemporaneamente. Riprendendo l’esempio del ristorante giapponese, nella figura a destra è possibile osservare la rappresentazione del problema in termini di probabilità quantistica. L’asse “sushi SÌ” è stato posto più vicino all’asse “aranciata NO” perché è raro che vengano ordinati entrambi. Inoltre, trovandoci in un ristorante giapponese, il vettore di stato (in verde) è vicino all’asse “sushi SÌ”. Per calcolare la probabilità di “aranciata”, dobbiamo proiettare il vettore di stato sull’asse corrispondente (linea rossa). Per calcolare la probabilità di “sushi e aranciata”, dobbiamo prima proiettare il vettore di stato sull’“asse sushi SÌ” e poi fare un’ulteriore proiezione sull’asse “aranciata SÌ” (linea blu). È evidente che la linea blu “sushi e aranciata” sia più lunga della linea rossa “aranciata” e ciò predice le risposte che usualmente forniscono le persone: per la probabilità quantistica “sushi e aranciata” è più probabile di “aranciata”, analogamente a quanto ci suggerisce la nostra intuizione!

L’uso di rappresentazioni vettoriali per creare modelli del pensiero è strettamente collegato al problema della simulazione delle funzioni cerebrali. Un esempio notevole è Spaun (Semantic Pointer Architecture Unified Network), creato da Chris Eliasmith e il suo gruppo: si tratta di un modello che, nella sua versione più recente (2.0), è composto da 6.6 milioni di neuroni artificiali. Al 2018, Spaun, in termini di neuroni, è la più grande simulazione funzionale mai realizzata: esistono modelli con un numero maggiore di neuroni, ma essendo una simulazione funzionale Spaun è in grado di svolgere compiti specifici (come riconoscere e ricordare numeri o completare sequenze numeriche). Alla base del suo funzionamento abbiamo delle rappresentazioni vettoriali: sebbene le modalità di calcolo impiegate da Spaun non siano equivalenti a quelle viste precedentemente nella cognizione quantistica, futuri tentativi di riconciliare questi differenti mondi (Spaun e le applicazioni della probabilità quantistica in psicologia) potrebbero consentire di integrare in una simulazione cerebrale anche processi decisionali più complessi che caratterizzano il pensiero umano. L’importanza di tale integrazione trova riscontro nelle ricerche che hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale per comprendere le basi neurali del ragionamento probabilistico. Per esempio, De Neys et al. (2008) hanno osservato che persone che commettono errori da un punto di vista bayesiano (e quindi adottano delle euristiche) hanno un’attivazione ridotta nelle aree prefrontali associate al controllo inibitorio rispetto a chi risponde in modo corretto.

 

Giorgio Gronchi è ricercatore presso l’Università di Firenze, dove insegna Psicologia generale e Psicologia cognitiva e della percezione. È stato visiting scholar presso la Brown University negli Stati Uniti. Si occupa di pensiero e modelli computazionali in psicologia.

Niccolò Mecacci frequenta il corso di laurea in Matematica dell’Università degli Studi di Firenze, si interessa dei modelli matematici applicati allo studio di sistemi complessi.


Bibliografia

De Neys W. D., Vartanian O., Goel V. (2008), «Smarter than we think: When our brains detect that we are biased», Psychological Science, 19 (5), 483-489.
Eliasmith C. (2013), How to build a brain: A neural architecture for biological cognition, Oxford University Press, Oxford.
Griffiths T. L., Tenenbaum J. B. (2006), «Optimal predictions in everyday cognition», Psychological Science, 17 (9), 767-773.
Kahneman D., Slovic P., Tversky A. (Eds., 1982), Judgment under uncertainty: Heuristics and biases, Cambridge University Press, Cambridge.
Pothos E. M., Busemeyer J. R. (2013), «Can quantum probability provide a new direction for cognitive modeling?», Behavioral and Brain Sciences, 36 (3), 255-274.

 

Questo articolo è di ed è presente nel numero 286 della rivista. Consulta la pagina dedicata alla rivista per trovare gli altri articoli presenti in questo numero. Clicca qui